1. DISTURBI DELLA NUTRIZIONE

La nutrizione č la scienza degli alimenti e del loro rapporto con la salute.

4. CARENZA E TOSSICITĀ DEI MINERALI

RAME

TOSSICOSI DA RAME

MALATTIA DI WILSON

(Tossicosi da rame ereditaria)

Sommario:

Introduzione
Patogenesi e storia naturale
Diagnosi
terapia


Il morbo di Wilson è una malattia progressiva e costantemente fatale del metabolismo del rame che colpisce 1 persona ogni 30000 a causa di una coppia di mutanti del gene ATP7B localizzato sul cromosoma 13. I sintomi non si verificano mai nei portatori eterozigoti, che hanno un solo gene mutante e che sembrano essere circa l'1,1% di ogni popolazione etnica e geografica studiata.

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Patogenesi e storia naturale

La tossicosi da rame del morbo di Wilson è caratterizzata, fin dalla nascita, da una concentrazione epatica media di rame 20 volte superiore al normale e dalla carenza della proteina plasmatica del rame, la ceruloplasmina, che è in media il 30% del normale. Questi valori, sebbene diagnostici della malattia, sono presenti in tutti i neonati nei primi 2-3 mesi di vita, rendendo inaffidabile la diagnosi prima dei 6 mesi di età. Tuttavia, poiché le manifestazioni cliniche non sono mai state osservate prima dei 5 anni di età, gli studi per confermare o escludere la diagnosi, nei bambini a rischio significativo, possono essere tranquillamente rimandati al secondo anno di vita.

In circa il 40-50% dei pazienti, le prime manifestazioni cliniche della malattia coinvolgono il fegato. Inizialmente, la malattia si può presentare con un episodio di epatite acuta, a volte erroneamente diagnosticata come mononucleosi infettiva. Anche se il paziente può essere asintomatico per anni, un'epatite acuta, cronica attiva o fulminante, si può verificare in qualunque momento. Comunque, che si verifichi o meno l'epatite, l'epatopatia progredisce verso la fibrosi e poi verso la cirrosi. La diagnosi di morbo di Wilson è praticamente certa in tutti i pazienti che presentano un'epatite fulminante, un'anemia emolitica Coombs-negativa, un deficit di ceruloplasmina e un'ipercupriuria.

Nel 40-50% dei pazienti, l'organo interessato per primo dalla malattia è il SNC. Anche se il rame passa dal fegato nel sangue e quindi negli altri tessuti, ha degli effetti disastrosi solo sul cervello. A questo livello può causare una malattia neurologica motoria, caratterizzata da una qualche combinazione casuale di tremori, distonia, disartria, disfagia, corea, scialorrea, mandibola cadente e incoordinazione. Alcune volte, la tossicità cerebrale da rame si manifesta inizialmente come un comportamento grossolanamente inappropriato, un improvviso peggioramento della resa scolastica o, raramente, come una forma di psicosi indistinguibile dalla schizofrenia o dalla malattia maniaco depressiva. Durante il passaggio dal fegato al cervello, una parte del rame si deposita sempre nella membrana di Descemet della cornea, producendo dei semicerchi o anelli di Kayser-Fleischer di colore verde-oro o dorati. A eccezione della cefalea, non si riscontrano disturbi sensoriali.

Nel 5-10% dei pazienti la malattia di Wilson si manifesta con gli anelli di Kayser-Fleischer osservati durante un esame rifrattivo oculare; con un'amenorrea o aborti multipli; o con un'ematuria franca o microscopica dovuta ai depositi renali di rame o con dei livelli sierici anormalmente bassi di acido urico, dovuti all'anomala ed eccessiva escrezione urinaria.

Indipendentemente da come evolve, il morbo di Wilson è sempre mortale dopo anni di sofferenza, di solito prima dei 30 anni di età, a meno che non venga precocemente attuato un trattamento specifico, continuato per tutta la vita.

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Diagnosi

La diagnosi del morbo di Wilson, spesso non viene fatta a causa della sua rarità. Dovrebbe essere sospettata in ogni individuo < 40 anni di età con uno dei seguenti sintomi:

  • Un'inspiegabile patologia epatica, neurologica o psichiatrica
  • Un persistente aumento delle transaminasi, asintomatico e non altrimenti giustificato
  • Un germano, genitore o cugino affetto dal morbo di Wilson

Quando viene sospettato il morbo di Wilson, la diagnosi può di solito essere inequivocabilmente confermata se il paziente presenta una delle seguenti coppie di anomalie:

  • Un deficit plasmatico di ceruloplasmina ossidasi-attiva (< 20 mg/dl) e un eccesso di rame epatico (> 250 mg/g [3,9mmol/g]di fegato essiccato) accompagnati da alterazioni istopatologiche compatibili con il morbo di Wilson
  • Un deficit di ceruloplasmina e la presenza degli anelli di Kayser-Fleischer confermata da un oculista con l'uso di una lampada a fessura
  • La presenza confermata degli anelli di Kayser-Fleischer e delle anomalie neurologiche motorie del tipo elencato prima
  • Un eccesso epatico di rame e un'incorporazione anormalmente bassa di 64Cu nella ceruloplasmina, nonostante una normale concentrazione di ceruloplasmina (20-30 mg/dl)
  • Un deficit di ceruloplasmina e un'escrezione urinaria > 100 mg di rame nelle 24 h (> 1,6 mmol), senza la somministrazione di penicillamina

Nota: la diagnosi non può essere basata sul solo deficit di ceruloplasmina poiché circa il 20% dei portatori eterozigoti del morbo di Wilson ha un deficit di ceruloplasmina, anche se non presenta mai i sintomi o i segni della malattia. Gli eterozigoti non devono essere sottoposti ad alcuna terapia. La diagnosi non può essere basata nemmeno sul solo eccesso epatico di rame, poiché concentrazioni altrettanto elevate di rame si riscontrano anche nella cirrosi biliare primitiva e in altre sindromi colestatiche.

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Terapia

Ogni paziente affetto con sicurezza dal morbo di Wilson, sintomatico o meno, deve essere sottoposto alla terapia per tutta la vita. Altrimenti la morte è certa, causata dalle alterazioni epatiche e del SNC. È quindi essenziale un monitoraggio periodico per essere certi della compliance con il regime terapeutico. La penicillamina, la trientina e l'acetato di zinco sono i farmaci approvati per la terapia del morbo di Wilson.

Penicillamina: il farmaco di scelta è la penicillamina. Le dosi raccomandate per i pazienti con più di 5 anni sono di 1 g/die PO, somministrato in due o quattro dosi frazionate, a stomaco vuoto. (I bambini più piccoli devono assumere 0,5 g/die.) Il paziente deve assumere anche 25 mg/die di piridossina PO, in singola dose, e ridurre al minimo l'assunzione di cibi ricchi in rame (p. es., crostacei, cioccolata, fegato, funghi e noci), sebbene non sia necessaria una dieta stretta, povera di rame.

Circa il 20% dei pazienti presenta una reazione allergica alla penicillamina nelle prime 2 o 3 sett. di trattamento (p. es., febbre, eruzioni cutanee, linfoadenopatia, granulocitopenia e trombocitopenia). Durante il primo mese si devono controllare 2 volte/sett. la temperatura, la cute, i linfonodi e l'emocromo del paziente. Se si verifica una reazione allergica, la penicillamina deve essere sospesa fino a quando la reazione non scompare e quindi ripresa gradualmente con dosi di 250 mg/ die per 1 sett., poi aumentate di 250 mg/die alla settimana fino a raggiungere la dose di 1 g/die. Se la reazione si ripete, la successiva desensibilizzazione deve essere accompagnata dalla contemporanea somministrazione di 20 mg/die di prednisone. Tuttavia, se si presenta una granulocitopenia, la penicillamina deve essere sospesa e il prednisone non deve essere somministrato. Quando il numero dei leucociti è tornato quasi alla norma, si deve somministrare la trientina al posto della penicillamina. Le altre reazioni allergiche generalmente possono essere controllate e raramente richiedono la sospensione della terapia con penicillamina.

Durante le prime settimane di trattamento con penicillamina possono comparire o peggiorare i sintomi neurologici. Il paziente deve essere informato di questa possibilità prima di iniziare la terapia, anche se i sintomi quasi sempre migliorano con il proseguo della terapia. Se persiste il peggioramento, si deve sostituire la penicillamina con la trientina.

Il morbo di Wilson è compatibile con una gravidanza normale, purché il danno epatico sia minimo e la dose di penicillamina sia ridotta a 0,75 g/die. Se è programmato un parto cesareo, la dose deve essere ulteriormente ridotta a 0,5 g/die per minimizzare l'interferenza con la guarigione della ferita. Qualunque sia il dosaggio indicato, la penicillamina deve essere proseguita durante la gravidanza.

Trientina cloridrato: in circa il 5% dei pazienti la penicillamina provoca delle gravi reazioni, in genere nella prima settimana o nel primo mese di trattamento; la più frequente è la sindrome nefrosica o la proteinuria di 1-2 g/die. Se si sospende la penicillamina, si deve iniziare subito il trattamento con la trientina. La dose è di solito di 1 g/die (non è necessario ridurla durante la gravidanza), somministrata in 2-4 dosi frazionate, a stomaco vuoto. L'anemia sideroblastica è il solo effetto collaterale riportato per la trientina. In due pazienti affetti dal morbo di Wilson, che stavano assumendo la trientina alla dose di 2 e di 2,25 g/die rispettivamente, l'anemia, i siderociti circolanti e l'aumentata distribuzione dei globuli rossi sono scomparsi quando la dose è stata ridotta a 1 g/die.

Dimercaprolo (BAL): nei pazienti con sintomi neurologici che sono peggiorati o che non sono migliorati in modo apprezzabile dopo mesi di trattamento con la penicillamina o con la trientina, nonostante la riduzione del rame plasmatico libero (cioè, rame non ceruloplasminico) a < 20 mg/dl (< 3,14 mmol/l), la terapia con dimercaprolo può esitare in un significativo (a volte straordinario) miglioramento neurologico. Un ciclo di terapia consiste in 300 mg di dimercaprolo iniettato nei muscoli glutei 5 giorni alla settimana, per 4 sett. La prima iniezione deve essere fatta nel quadrante superiore esterno, per esempio, del gluteo sinistro; la seconda, nel gluteo destro; la terza, 2 cm sotto la prima; la quarta, 2 cm sotto la seconda e così via, per poi iniziare una nuova serie, 2 cm lateralmente o medialmente alla serie iniziale, al fine di evitare il nervo sciatico. Ogni ciclo di 4 sett. deve essere seguito da un'interruzione di 2 sett. e poi da un altro ciclo se il precedente era stato efficace. Possono essere necessari anche più di 6 cicli per ottenere il massimo effetto terapeutico.

Sali di zinco: alcuni lavori clinici suggeriscono che l'uso PO dello zinco solfato, acetato o gluconato, alla dose di 100-150 mg/die di zinco elementare, possono mantenere i pazienti nella condizione raggiunta con il precedente trattamento con penicillamina o trientina. Inoltre, in alcuni pazienti non trattati precedentemente, la terapia con lo zinco può migliorare le manifestazioni epatiche e neurologiche.

La penicillamina o la trientina non devono mai essere somministrate insieme allo zinco poiché entrambi i farmaci possono legare lo zinco, formando così un composto senza effetti terapeutici.

Trapianto di fegato: un trapianto di fegato è indicato (e può salvare la vita) nei pazienti affetti dal morbo di Wilson che hanno un'epatite fulminante come presentazione iniziale o come conseguenza del mancato rispetto della terapia. I pazienti che hanno una grave insufficienza epatica, che non risponde alle terapie combinate con la chelazione e i diuretici, possono anche essere candidati al trapianto.

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