2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE

13. DISORDINI DEL METABOLISMO DEI CARBOIDRATI

DIABETE MELLITO

Sindrome caratterizzata da iperglicemia conseguente alla diminuzione assoluta o relativa della secrezione e/o dell'azione dell'insulina.

(Per il diabete gestazionale, v. Diabete mellito nel Cap. 251.)

Sommario:

Introduzione
Classificazione e patogenesi
Sintomi e segni
Diagnosi
Terapia


I pazienti con diabete mellito (DM) di tipo I, conosciuto anche come DM insulino-dipendente (Insulin-Dependent Diabetes Mellitus, IDDM) o diabete giovanile, possono andare incontro a chetoacidosi diabetica (Diabetic KetoAcidosis, DKA). I pazienti con DM di tipo II, conosciuto anche come DM non insulino-dipendente (Non-Insulin-Dependent DM, NIDDM), possono andare incontro a coma iperglicemico-iperosmolare non chetosico (NonKetotic Hyperglycemic-Hyperosmolar Coma, NKHHC). Le complicanze microvascolari tardive di comune riscontro comprendono la retinopatia, la nefropatia e la neuropatia periferica e autonomica. Le complicanze macrovascolari comprendono l'arteriopatia aterosclerotica coronarica e periferica.

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Classificazione e patogenesi

Le caratteristiche generali delle forme principali di DM sono elencate nella Tab. 13-1.

DM di tipo I: sebbene possa insorgere a qualunque età, il DM di tipo I si sviluppa più comunemente durante l'infanzia o l'adolescenza ed è la forma predominante di DM diagnosticato prima dei 30 anni. Questo tipo di diabete costituisce il 10-15% di tutti i casi di DM ed è caratterizzato clinicamente da iperglicemia e tendenza alla DKA. Il pancreas produce insulina in quantità molto scarsa o nulla.

Circa l'80% dei pazienti con DM di tipo I è portatore di specifici fenotipi HLA associati con la presenza nel siero di anticorpi diretti contro componenti citoplasmatiche e componenti di superficie delle cellule insulari (anticorpi contro la decarbossilasi dell'acido glutammico e contro l'insulina vengono ritrovati più o meno nella stessa percentuale di casi).

In questi pazienti, il DM di tipo I è la conseguenza di una distruzione selettiva immuno-mediata di più del 90% delle cellule b insulino-secernenti, alla quale essi sono geneticamente predisposti. Le loro insule pancreatiche mostrano la presenza di insulite, che è caratterizzata da infiltrazione di linfociti T accompagnati da macrofagi e linfociti B e dalla perdita della maggior parte delle cellule b, senza coinvolgimento delle cellule a secernenti glucagone. Si ritiene che nella distruzione delle cellule b il ruolo principale sia svolto da meccanismi immunitari cellulo-mediati. Gli anticorpi presenti al momento della diagnosi solitamente diventano indosabili a distanza di alcuni anni. Essi potrebbero costituire soprattutto una risposta al danno delle cellule b, ma alcuni sono citotossici per queste cellule e possono contribuire alla loro distruzione. In alcuni pazienti l'esordio clinico del DM di tipo I può avvenire a distanza di anni dall'inizio inapparente del processo autoimmunitario sottostante. La ricerca di questi anticorpi è stata inclusa in numerosi studi di prevenzione attualmente in corso.

Nelle popolazioni di razza bianca esiste una forte associazione tra il DM di tipo I diagnosticato prima dei 30 anni di età e specifici fenotipi HLA-D (HLA-DR3, HLA-DR4 e HLA-DR3/ HLA-DR4). Si ritiene che uno o più geni responsabili della suscettibilità al DM di tipo I siano localizzati in prossimità o in corrispondenza del locus HLA-D sul cromosoma 6. Specifici alleli HLA-DQ sembrano essere più strettamente correlati, rispetto agli antigeni HLA-D, al rischio di sviluppare un DM di tipo I o alla possibilità di risultare protetti nei suoi confronti e i dati suggeriscono che la suscettibilità genetica al DM di tipo I è probabilmente poligenica. Solo dal 10 al 12% dei bambini con diagnosi recente di DM di tipo I ha un parente di primo grado affetto dalla malattia e il tasso di concordanza per questa forma di diabete nei gemelli monozigoti è _ 50%. Pertanto, in aggiunta alla predisposizione genetica, fattori ambientali condizionano lo sviluppo del DM di tipo I. Tali fattori potrebbero essere virus (rosolia congenita, parotite e virus coxsackie B possono promuovere la distruzione autoimmunitaria delle cellule b) e l'allattamento con latte vaccino invece che con latte materno durante l'infanzia (una specifica sequenza dell'albumina presente nel latte vaccino può reagire in maniera crociata con le proteine insulari). Nell'esposizione a essi potrebbero avere un ruolo alcuni fattori geografici, dal momento che l'incidenza del DM di tipo I è particolarmente elevata in Finlandia e in Sardegna.

DM di tipo II: il DM di tipo II è la forma di diabete diagnosticata abitualmente nei pazienti di età superiore a 30 anni, ma può comparire anche nei bambini e negli adolescenti. Esso è caratterizzato clinicamente da iperglicemia e resistenza all'insulina; la DKA è rara. Sebbene la maggior parte dei pazienti venga trattata con la dieta, l'esercizio fisico e gli antidiabetici orali, alcuni necessitano in modo saltuario o permanente dell'insulina per controllare l'iperglicemia sintomatica e prevenire il NKHHC. Il tasso di concordanza per il DM di tipo II nei gemelli monozigoti è > 90%. Esso è generalmente associato all'obesità, specialmente della parte superiore del corpo (viscero-addominale), e spesso compare dopo un periodo di incremento ponderale. L'alterazione della tolleranza al glucoso associata all'invecchiamento è strettamente correlata al tipico incremento ponderale. I pazienti affetti da DM di tipo II con obesità viscero-addominale possono tornare a livelli di glicemia normali dopo aver perso peso.

Il DM di tipo II è in realtà un gruppo eterogeneo di disordini nei quali l'iperglicemia è il risultato sia di un'alterazione della risposta secretoria insulinica al glucoso sia di una riduzione della capacità dell'insulina di stimolare la captazione del glucoso da parte del muscolo scheletrico e di inibire la produzione di epatica glucoso (resistenza all'insulina). Tuttavia, il fenomeno della resistenza all'insulina è molto diffuso e la maggior parte dei pazienti con insulino-resistenza non sviluppa il diabete, poiché l'organismo vi si adatta aumentando opportunamente la secrezione dell'ormone. La resistenza all'insulina che si osserva nella forma comune del DM di tipo II non è il risultato di alterazioni genetiche del recettore insulinico o del meccanismo di trasporto del glucoso. Ciò nonostante, è probabile che vi svolgano un ruolo alterazioni post-recettoriali intracellulari determinate geneticamente. L'iperinsulinemia che ne deriva può portare alla comparsa di altre frequenti condizioni, come l'obesità (addominale), l'ipertensione, l'iperlipidemia e la malattia coronarica (sindrome da insulino-resistenza).

I fattori genetici sembrano essere i principali determinanti per lo sviluppo del DM di tipo II, anche se non è stata dimostrata alcuna associazione tra questa forma della malattia e specifici fenotipi HLA o anticorpi citoplasmatici contro le cellule insulari. (Un'eccezione è rappresentata da un sottogruppo di adulti non obesi con presenza di anticorpi citoplasmatici contro le cellule insulari, i quali sono portatori di uno dei fenotipi HLA e possono alla fine sviluppare un DM di tipo I.)

Nel DM di tipo II le insule pancreatiche mantengono una proporzione tra cellule b e cellule a pressoché normale e una massa b-cellulare normale sembra essere conservata nella maggior parte dei pazienti. In un'elevata percentuale di pazienti con DM di tipo II si dimostra all'esame autoptico la presenza di amiloide nelle insule pancreatiche, derivante dalla deposizione di amilina, ma la sua relazione con la patogenesi della malattia non è stata chiaramente stabilita.

Prima che il diabete si sviluppi, i pazienti generalmente perdono la risposta secretoria insulinica precoce al glucoso e possono secernere quantità relativamente elevate di proinsulina. Nel diabete ormai stabilitosi, sebbene i livelli plasmatici di insulina a digiuno possano essere normali o anche aumentati nei pazienti con DM di tipo II, la secrezione insulinica indotta dal glucoso è chiaramente diminuita. I bassi livelli insulinici riducono la captazione del glucoso mediata dall'insulina e sono insufficienti a contenere la produzione epatica di glucoso.

L'iperglicemia può essere non solo una conseguenza,ma anche una causa di ulteriore diminuzione della tolleranza al glucoso nel paziente diabetico (tossicità da glucoso), perché essa diminuisce la sensibilità all'insulina e aumenta la produzione epatica di glucoso. Appena il controllo metabolico del paziente migliora, la dose di insulina o di ipoglicemizzanti viene solitamente diminuita.

Alcuni casi di DM di tipo II si verificano in giovani adolescenti non obesi (diabete giovanile di tipo adulto [Maturity-Onset Diabetes of the Young, MODY]) con ereditarietà autosomica dominante. Molte famiglie con MODY hanno una mutazione a livello del gene per la glucochinasi. In questi pazienti è stata dimostrata la presenza di alterazioni della secrezione insulinica e della regolazione del glucoso epatico.

Insulinopatie: alcuni rari casi di DM con le caratteristiche cliniche del DM di tipo II derivano dalla trasmissione ereditaria eterozigote di un gene difettivo, responsabile della secrezione di un'insulina che non si lega normalmente al suo recettore. Questi pazienti hanno livelli plasmatici estremamente elevati di insulina immunoreattiva associati con risposte glicemiche normali all'insulina esogena.

Diabete dovuto a malattie pancreatiche: la pancreatite cronica, in particolare negli alcolisti, è frequentemente associata al diabete. Tali pazienti perdono sia le insule che secernono insulina sia quelle che secernono glucagone. Pertanto, essi possono essere lievemente iperglicemici e sensibili a basse dosi di insulina. Data l'assenza di una controregolazione efficace (l'insulina esogena non viene contrastata dal glucagone), essi vanno spesso incontro a ipoglicemia a rapida insorgenza. In Asia, in Africa e nei Caraibi, il DM è di comune riscontro in pazienti giovani marcatamente denutriti affetti da grave malnutrizione proteica e malattia pancreatica; questi pazienti non hanno tendenza alla DKA, ma possono necessitare di terapia insulinica.

Diabete associato ad altre patologie endocrine: il DM di tipo II può essere secondario alla sindrome di Cushing, all'acromegalia, al feocromocitoma, al glucagonoma, all'iper-aldosteronismo primitivo o al somatostatinoma. La maggior parte di questi disordini è associata a una resistenza periferica epatica all'insulina e molti pazienti diventano diabetici non appena viene compromessa anche la secrezione dell'ormone. La prevalenza del DM di tipo I è aumentata nei pazienti affetti da alcune malattie endocrine su base autoimmunitaria, p. es., il morbo di Graves, la tiroidite di Hashimoto e la forma idiopatica del morbo di Addison.

Diabete insulino-resistente associato ad acanthosis nigricans (sindromi da resistenza insulinica di tipo A e di tipo B): due rare sindromi sono dovute alla marcata insulino-resistenza a livello del recettore per l'insulina che si osserva nell'acanthosis nigricans. Questa malattia consiste in un'iperpigmentazione di consistenza vellutata localizzata al collo, alle ascelle e all'inguine ed è probabilmente la manifestazione cutanea di una grave iperinsulinemia cronica. Il tipo A è la conseguenza di alterazioni genetiche a carico del recettore per l'insulina. Il tipo B è dovuto ad anticorpi circolanti diretti contro questo recettore e può essere associato con la presenza di altre patologie autoimmunitarie.

Diabete lipoatrofico: questa è una sindrome rara nella quale il DM insulino-resistente è associato a un'estesa scomparsa simmetrica o pressoché completa del tessuto adiposo sottocutaneo. Essa è stata messa in relazione con alterazioni genetiche del recettore insulinico.

Diabete indotto da sostanze tossiche per le cellule b: il vacor, un topicida comunemente utilizzato in Corea nei tentativi di suicidio, è citotossico per le insule pancreatiche umane ed è in grado di provocare l'insorgenza di DM di tipo I nei sopravvissuti. La streptozocina può indurre la comparsa di un diabete sperimentale nei ratti, ma raramente è causa di diabete nell'uomo.

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Sintomi e segni

Il DM ha diverse modalità di esordio. Il tipo I esordisce solitamente con un'iperglicemia sintomatica o una DKA. Il tipo II può presentarsi con un'iperglicemia sintomatica o un NKHHC, ma viene frequentemente diagnosticato in soggetti asintomatici durante un controllo medico di routine, oppure quando i pazienti si presentano con le manifestazioni cliniche di una complicanza tardiva.

Spesso, dopo l'esordio acuto del DM di tipo I, si osserva una secrezione di insulina ancora consistente. I pazienti con questa forma di diabete possono andare incontro a un periodo, chiamato di "luna di miele", caratterizzato da una lunga fase durante la quale la glicemia rimane pressoché normale anche in assenza di qualunque terapia.

Iperglicemia sintomatica: quando l'innalzamento dei livelli di glucoso plasmatico causa glicosuria marcata e diuresi osmotica, con conseguente disidratazione, compare poliuria seguita da polidipsia e perdita di peso. L'iperglicemia può inoltre provocare annebbiamenti della vista, astenia e nausea e favorire la comparsa di varie infezioni fungine e batteriche. Nel DM di tipo II l'iperglicemia sintomatica può persistere per giorni o settimane prima che venga richiamata l'attenzione del medico; nelle donne, il DM di tipo II con iperglicemia sintomatica è frequentemente associato a prurito dovuto a candidosi vaginale.

Complicanze tardive: le complicanze tardive compaiono diversi anni dopo che si è stabilita un'iperglicemia scarsamente controllata. I livelli di glucoso sono aumentati in tutte le cellule, tranne in quelle in cui la sua captazione è mediata dall'insulina (principalmente il tessuto muscolare), con conseguente aumento della glicosilazione e dell'attività di altre vie metaboliche, che può essere causato dalle complicanze. La maggior parte delle complicanze microvascolari può essere ritardata, prevenuta o anche fatta regredire mediante uno stretto controllo della glicemia, cioè ottenendo livelli di glucoso a digiuno e postprandiali pressoché normali, cui conseguono concentrazioni praticamente normali di emoglobina glicosilata (Hb A1c). La patologia macrovascolare come l'aterosclerosi può condurre a coronaropatia sintomatica, claudicatio, necrosi cutanee e infezioni. Sebbene l'iperglicemia possa accelerare l'aterosclerosi, molti anni di iperinsulinemia prima della comparsa del diabete (con insulino-resistenza) possono svolgere un ruolo fondamentale come iniziatori. La necessità dell'amputazione di un arto inferiore a causa di una grave vasculopatia periferica con claudicatio intermittens e gangrena rimane un'evenienza comune. La retinopatia di fondo (le modificazioni iniziali della retina osservate all'esame oftalmoscopico o con le fotografie retiniche) non altera la capacità visiva in maniera significativa, ma può evolvere verso l'edema maculare o la retinopatia proliferativa con distacco o emorragia retinica, che può provocare cecità. Circa l'85% di tutti i diabetici sviluppa alla fine un certo grado di retinopatia (v. Retinopatia diabetica nel Cap. 99).

La nefropatia diabetica si sviluppa in circa un terzo dei pazienti con DM di tipo I e in una percentuale minore di quelli con DM di tipo II. Nei pazienti con DM di tipo I, la GFR inizialmente può essere aumentata con l'iperglicemia. Dopo circa 5 anni di malattia, può comparire un'albuminuria clinicamente evidente (_ 300 mg/l) che non trova spiegazione in altre patologie dell'apparato urinario. L'albuminuria è il segnale di una progressiva riduzione della GFR, con un'elevata probabilità di sviluppo di un'insufficienza renale allo stadio terminale entro un periodo di tempo variabile fra i 3 e i 20 anni (mediana, 10 anni). L'albuminuria è quasi 2,5 volte più elevata nei pazienti con DM di tipo I con PA diastolica > 90 mm Hg che in quelli con PA diastolica < 70 mm Hg. Quindi, sia l'iperglicemia sia l'ipertensione accelerano la progressione verso la nefropatia allo stadio terminale. La nefropatia diabetica è solitamente asintomatica fino al momento in cui si sviluppa un'insufficienza renale terminale, ma può essere causa di sindrome nefrosica. L'albuminuria e la malattia renale possono essere prevenute o ritardate con il captopril, un ACE-inibitore. Se il trattamento aggressivo dell'ipertensione previene il deterioramento della funzione renale, gli ACE-inibitori hanno mostrato di possedere vantaggi aggiuntivi rispetto alle altre classi di antiipertensivi. Essi infatti prevengono la comparsa di proteinuria sia nei diabetici ipertesi sia nei non ipertesi. Dati recenti suggeriscono che gli ACE-inibitori contribuiscano anche a prevenire la retinopatia.

La neuropatia diabetica si presenta abitualmente come una polineuropatia prevalentemente sensitiva, simmetrica, distale, la quale provoca deficit di sensibilità che cominciano e sono di solito prevalentemente caratterizzati da una distribuzione a calza e a guanto. Essa può causare intorpidimento, formicolii e parestesie agli arti e, meno frequentemente, un dolore profondo intenso e debilitante e iperestesie. I riflessi achillei sono di solito diminuiti o assenti. Devono essere escluse altre cause di polineuropatia (v. Cap. 183). Le mononeuropatie acute dolorose che colpiscono il III, il IV o il VI nervo cranico e altri nervi come quello femorale, possono migliorare spontaneamente nel volgere di settimane o mesi, insorgono con maggiore frequenza nei diabetici più anziani e vengono attribuite a infarti dei nervi. La neuropatia autonomica insorge principalmente nei diabetici con polineuropatia e può causare ipotensione posturale, disturbi della sudorazione, impotenza ed eiaculazione retrograda negli uomini, compromissione della funzione vescicale, ritardo dello svuotamento gastrico (talvolta con dumping syndrome), disfunzioni esofagee, stipsi o diarrea e diarrea notturna. Nei diabetici, una riduzione della risposta della frequenza cardiaca alla manovra del Valsalva o all'ortostatismo e una mancanza di variazione della frequenza cardiaca durante la respirazione profonda sono un segno di neuropatia autonomica.

Le ulcere dei piedi e i problemi articolari sono cause importanti di morbilità nel DM. La causa predisponente più importante è la polineuropatia diabetica: la denervazione sensoriale compromette infatti la percezione dei traumi minori provocati da cause banali come le scarpe che calzano male o i sassolini. Le alterazioni della sensibilità propriocettiva conducono ad anomalie di distribuzione del carico corporeo e talvolta allo sviluppo di un'artropatia di Charcot.

Il rischio di infezioni da funghi e batteri è aumentato a causa della depressione dell'immunità cellulare provocata dall'iperglicemia acuta e dai deficit circolatori indotti dall'iperglicemia cronica. Le infezioni cutanee periferiche e il mughetto orale e vaginale sono le forme più frequenti. Un'infezione micotica può essere il processo iniziale che porta alla formazione di lesioni interdigitali umide, rotture, fissurazioni e ulcerazioni che favoriscono l'invasione batterica secondaria. I pazienti con ulcere dei piedi infette spesso non sentono dolore a causa della neuropatia e non hanno sintomi sistemici fino alle fasi avanzate di un decorso che viene in genere trascurato. Le ulcere profonde, e particolarmente le ulcere associate a una cellulite identificabile, richiedono il ricovero ospedaliero immediato a causa del rischio di sviluppo di una tossicità sistemica e di un'invalidità permanente. La presenza di un'osteomielite deve essere esclusa mediante indagini radiografiche dell'osso. La pulizia chirurgica precoce è una parte essenziale del trattamento, ma talvolta è necessaria l'amputazione.

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Diagnosi

Nei pazienti asintomatici, la presenza di DM viene stabilita quando risulta soddisfatto il criterio diagnostico per l'iperglicemia a digiuno raccomandato dal National Diabetes Data Group (NDDG): un livello plasmatico (o sierico) di glucoso _ 140 mg/dl (_ 7,77 mmol/l) dopo un digiuno di una notte, riscontrato in due occasioni diverse, nell'adulto o nel bambino. Recentemente, l'American Diabetes Association ha raccomandato che venga considerato diagnostico di DM un livello plasmatico di glucoso > 126 mg/dl (> 6,99 mmol/l).

Un test di tolleranza al carico orale di glucoso (Oral Glucose Tolerance Test, OGTT) può essere di aiuto per la diagnosi di DM di tipo II nei pazienti la cui glicemia a digiuno è compresa tra 115 e 140 mg/dl (tra 6,38 e 7,77 mmol/l) e in quelli con una condizione clinica che potrebbe essere correlata a un DM non ancora diagnosticato (p. es., una polineuropatia, una retinopatia). Comunque, varie condizioni diverse dal DM, come gli effetti di alcuni farmaci, e il normale processo di invecchiamento possono provocare alterazioni del OGTT.

Il NDDG raccomanda anche i criteri per la diagnosi di ridotta tolleranza al glucoso nei pazienti che non soddisfano i criteri diagnostici per il DM al OGTT. I pazienti con ridotta tolleranza al glucoso possono avere un aumento del rischio di sviluppare iperglicemia a digiuno o sintomatica, ma in molti pazienti tale condizione non progredisce o si risolve. I criteri diagnostici del NDDG sono illustrati nella Tab. 13-2.

 

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Terapia

Considerazioni generali: il Diabetes Control and Complications Trial (DCCT) sul IDDM ha dimostrato che l'iperglicemia è responsabile della maggior parte delle complicanze microvascolari a lungo termine del diabete. Esso ha dimostrato l'esistenza di una relazione lineare tra i livelli di Hb A1c (v. più avanti) e la frequenza con la quale si erano sviluppate le complicanze. Altri studi hanno suggerito che una Hb A1c < 8% costituisce una soglia al di sotto della quale la maggior parte delle complicanze può essere prevenuta. Di conseguenza, la terapia del DM di tipo I dovrebbe essere volta all'intensificazione del controllo metabolico allo scopo di diminuire la Hb A1c evitando al contempo gli episodi ipoglicemici. Tuttavia, il trattamento deve essere individualizzato e va modificato quando le circostanze rendono inaccettabile il rischio di ipoglicemia (p. es., nei pazienti con una ridotta aspettativa di vita e in quelli con malattie cerebrovascolari o cardiache) oppure quando il rischio di ipoglicemia è aumentato (p. es., nei pazienti instabili o con neuropatia autonomica).

Il trattamento dietetico volto alla riduzione del peso corporeo è particolarmente importante nei pazienti sovrappeso con DM di tipo II. Se non si ottiene un miglioramento dell'iperglicemia con i provvedimenti dietetici, bisogna avviare un tentativo terapeutico con un farmaco ipoglicemizzante orale.

L'educazione del paziente, insieme alla dieta e all'esercizio fisico, è essenziale per assicurare l'efficacia della terapia prescritta, per riconoscere le indicazioni alla necessità di rivolgersi immediatamente a un medico e per garantire una cura appropriata delle estremità inferiori. In occasione di ogni visita medica, il paziente deve essere esaminato alla ricerca di sintomi o segni di complicanze, compresi un controllo delle estremità inferiori, dello stato dei polsi arteriosi e della sensibilità dei piedi e delle gambe e un dosaggio dell'albumina nelle urine. I controlli periodici di laboratorio comprendono l'assetto lipidico, l'azotemia e la creatininemia, l'ECG e una visita oculistica completa annuale (v. Retinopatia diabetica nel Cap. 99).

Poiché i diabetici hanno un aumento del rischio di insufficienza renale acuta, gli esami radiologici che richiedono l'iniezione EV di mezzi di contrasto devono essere eseguiti soltanto in caso di assoluta necessità e solo quando il paziente è ben idratato.

L'ipercolesterolemia o l'ipertensione aumentano il rischio di complicanze specifiche tardive e richiedono un'attenzione particolare e un trattamento adeguato (v. Cap. 15 e 199). Sebbene i b-bloccanti (p. es., il propranololo) possano essere utilizzati con tranquillità nella maggior parte dei diabetici, essi possono mascherare la sintomatologia b-adrenergica dell'ipoglicemia indotta dall'insulina e possono alterare la normale risposta controregolatoria. Di conseguenza, i farmaci di elezione sono spesso gli ACE-inibitori e i calcioantagonisti.

Controllo della glicemia: tutti i pazienti devono imparare a controllare da soli la glicemia e i pazienti in trattamento insulinico devono essere istruiti a regolare le dosi di insulina in base ai valori riscontrati. La glicemia può essere misurata con gli analizzatori domestici di impiego immediato utilizzando una goccia di sangue prelevata per puntura dal polpastrello. Per ottenere il campione si consiglia di usare una lancetta a molla. La frequenza dei prelievi viene stabilita caso per caso. Idealmente, i pazienti diabetici in trattamento insulinico dovrebbero dosare il loro glucoso plasmatico ogni giorno prima dei pasti, da 1 a 2 ore dopo i pasti e prima del riposo notturno. Tuttavia, in pratica, si possono effettuare ogni giorno in orari differenti da 2 a 4 misurazioni, in modo che dopo circa una settimana di trattamento sia possibile una valutazione complessiva.

La maggior parte dei medici esegue periodicamente il dosaggio dell'emoglobina glicosilata (Hb A1c) per avere un'idea del controllo della glicemia nei precedenti 1-3 mesi. La Hb A1c è il prodotto stabile della glicosilazione non enzimatica della catena J dell'Hb da parte del glucoso plasmatico e viene prodotta in quote proporzionalmente maggiori con il crescere della glicemia. Nella maggior parte dei laboratori, il valore normale della Hb A1c è intorno al 6%; nei diabetici scarsamente compensati i livelli oscillano fra il 9 e il 12%. La determinazione della Hb A1c non è un test specifico per la diagnosi di diabete; tuttavia, un'elevata Hb A1c indica spesso la presenza di diabete.

Un altro test è quello del dosaggio dei livelli di fruttosamina. La fruttosamina si forma grazie a una reazione chimica tra il glucoso e le proteine plasmatiche ed è un indice del controllo glicemico nelle precedenti 1-3 settimane. Quindi, questo test può mettere in evidenza una modificazione del controllo glicemico prima di quanto faccia l'Hb A1c ed è spesso utile quando è in corso una terapia intensiva e nei trial clinici a breve termine.

I pazienti affetti da DM di tipo I devono essere istruiti sull'esecuzione dei test per i corpi chetonici urinari con le striscie reattive disponibili in commercio e si deve raccomandare loro di determinare i corpi chetonici urinari ogni volta che manifestano sintomi di raffreddore, influenza o altre malattie intercorrenti, nausea, vomito, dolori addominali o poliuria, oppure se riscontrano un livello di glicemia inaspettatamente alto durante una delle autodeterminazioni. Il dosaggio dei corpi chetonici in tutti i campioni di urina è raccomandato nei pazienti con DM di tipo I che mostrano fluttuazioni notevoli, repentine e durature del loro grado di iperglicemia.

Insulina: quando si comincia una terapia insulinica si preferisce spesso l'insulina umana, perché è meno antigenica di quelle di origine animale (v.

anche la trattazione sulla resistenza all'insulina, più avanti). Tuttavia livelli misurabili di anticorpi anti-insulina, solitamente molto bassi, si sviluppano nella maggior parte dei pazienti in trattamento, compresi quelli che fanno uso di preparazioni a base di insulina umana.

L'insulina viene comunemente fornita in preparazioni contenenti 100 U/ml (insulina U-100)(In Italia anche 40 U/ml, fino al 1 Marzo 2000)e viene iniettata per via sottocutanea con apposite siringhe monouso. Le siringhe da 1/2 ml vengono in genere preferite dai pazienti che di regola assumono dosi _ 50 U, perché sono più facili da leggere e semplificano la misurazione accurata delle dosi più piccole. Un dispositivo per l'iniezione di dosi multiple di insulina ( ad es. Novopen), comunemente noto come penna a insulina, è predisposto per utilizzare una cartuccia contenente le dosi relative a diversi giorni di terapia. L'insulina deve essere mantenuta in frigorifero ma mai congelata; in ogni caso, la maggior parte delle preparazioni insuliniche è stabile a temperatura ambiente per diversi mesi, il che ne facilita l'impiego sul luogo di lavoro e durante i viaggi.

Le preparazioni di insulina sono classificate ad azione breve (azione rapida), ad azione intermedia o ad azione prolungata. I valori abituali dell'inizio dell'azione, del tempo di picco e della durata d'azione delle preparazioni più comunemente impiegate sono elencati nella Tab. 13-3; questi dati vanno utilizzati solo come riferimento approssimativo, poiché esiste una considerevole variabilità tra un individuo e l'altro e anche con dosi differenti della stessa preparazione nello stesso paziente. Il fattore decisivo che determina l'inizio e la durata di azione di una preparazione insulinica è il tasso di assorbimento dell'insulina dalla sede di iniezione.

L'insulina ad azione rapida comprende l'insulina regolare, che è una preparazione di cristalli di zinco-insulina in sospensione; l'insulina regolare è la sola preparazione insulinica che può essere somministrata EV. La Lispro, una forma di insulina regolare ottenuta con tecniche di ingegneria genetica per sostituzione di un aminoacido, assicura un assorbimento più rapido dell'ormone e quindi può essere somministrata con il cibo. L'insulina semilenta è un'insulina ad azione rapida leggermente più rallentata, contenente microcristalli di zinco-insulina in un tampone acetato. L'insulina ad azione intermedia comprende la protamina neutra di Hagedorn, che contiene una miscela stechiometrica di insulina regolare e di insulina zinco-ptotamina, e la lenta, che contiene il 30% di insulina semilenta e il 70% di insulina ultralenta in tampone acetato. L'insulina zinco-protamina ad azione prolungata contiene insulina caricata negativamente, combinata con un eccesso di protamina di sperma di pesce caricato positivamente. L'insulina ultralenta contiene grandi cristalli di zinco-insulina in tampone acetato.

Miscele di preparazioni insuliniche con differente inizio e durata d'azione vengono frequentemente somministrate in un'unica iniezione, aspirando con la stessa siringa dosi calibrate di due preparazioni diverse immediatamente prima dell'uso. Le ditte produttrici raccomandano che la semilenta venga mescolata esclusivamente con la lenta o l'ultralenta, in modo da mantenere la stessa soluzione tampone. Tuttavia, dosi singole di insulina regolare e di insulina protamina neutra di Hagedorn o insulina lenta vengono comunemente aspirate nella stessa siringa per combinare in un'unica iniezione l'insulina ad azione rapida e quella ad azione intermedia. è anche disponibile una preparazione contenente una miscela del 70% di insulina protamina neutra di Hagedorn e del 30% di insulina regolare umana semisintetica (Actraphane 30/70 o Humulin 30/70), ma la sua proporzione fissa tra insulina ad azione rapida e ad azione intermedia potrebbe renderne l'uso piuttosto limitato (in Italia sono disponibili anche altre preparazioni premiscelate: 10/90, 20/80, 40/60 e 50/50, n.d.t.). L'insulina zinco-protamina deve sempre essere iniettata separatamente, poiché contiene un eccesso di protamina.

Inizio della terapia insulinica negli adulti: nel DCCT, ai pazienti con DM di tipo I è stata somministrata una dose totale media di circa 40 U di insulina al giorno. Poiché i pazienti con DM di tipo II sono insulino-resistenti, essi necessitano di una dose di insulina superiore. Quindi, coloro che sono gravemente iperglicemici e obesi devono partire da una dose di circa 40 U di insulina al giorno. La dose giornaliera totale iniziale può essere frazionata in modo che la metà venga somministrata prima di colazione, 1/4 prima di cena e 1/4 prima di coricarsi. A causa della marcata resistenza all'insulina, i pazienti con DM di tipo II possono richiedere dosi due volte maggiori e spesso anche superiori. Dopo che è stata scelta la dose iniziale, vengono regolati le quantità, i tipi di insulina e i tempi di somministrazione sulla base delle determinazioni della glicemia. La dose viene regolata in modo da mantenere il glucoso plasmatico preprandiale tra gli 80 e i 150 mg/dl (tra le 4,44 e le 8,33 mmol/l). Gli aumenti del dosaggio dell'insulina vengono in genere contenuti entro il 10% per volta e prima di stabilire qualunque aumento ulteriore ne vengono valutati gli effetti per circa 3 gg. Modificazioni più rapide dell'insulina regolare sono indicate qualora esista il rischio incombente di un'ipoglicemia.

Inizio della terapia insulinica nei bambini: i bambini che si presentano in uno stadio precoce di DM di tipo I con iperglicemia moderata ma senza chetonuria o acidosi possono cominciare con una singola iniezione sottocutanea giornaliera di 0,3-0,5 U/kg di sola insulina ad azione intermedia. Nei bambini che si presentano con iperglicemia e chetonuria ma che non sono acidotici o disidratati si può cominciare con 0,5-0,7 U/kg di insulina ad azione intermedia e aggiungere in seguito iniezioni sottocutanee di 0,1 U/kg di insulina regolare a intervalli di 4-6 h. Le dosi di insulina sono regolate di solito in modo da mantenere i livelli plasmatici preprandiali di glucoso tra gli 80 e i 150 mg/dl (tra le 4,44 e le 8,33 mmol/l) o talvolta tra gli 80 e i 120 mg/dl (tra le 4,44 e le 6,66 mmol/l).

Regimi posologici insulinici: l'obiettivo della terapia insulinica è quello di controllare i picchi iperglicemici postprandiali e di assicurare livelli glicemici basali in grado di mantenere un metabolismo glucidico normale. I regimi posologici devono essere sempre individualizzati e alcuni pazienti diabetici otterranno uno stretto controllo metabolico solo con regimi altamente personalizzati. In ogni caso, l'approccio deve comprendere:

1. Insulina ad azione intermedia al momento di coricarsi. Ciò facilita il controllo della produzione epatica notturna di glucoso. Cominciare la giornata con livelli mattutini di glucoso più bassi migliora la tolleranza al glucoso per tutto il giorno. La somministrazione di insulina al momento di coricarsi è associata a un minor aumento ponderale rispetto alla sola somministrazione insulinica diurna. L'insulina prima di coricarsi costituisce inoltre un modo razionale di cominciare la terapia insulinica nei pazienti con DM di tipo II che non ottengono un buon controllo con i soli antidiabetici orali.

2. Insulina miscelata prima di colazione. Essa viene spesso realizzata con una miscela costituita da circa il 30% di insulina ad azione rapida e il 70% di insulina ad azione intermedia. La maggior parte dei diabetici necessita di circa la metà della dose insulinica giornaliera prima di colazione.

3. Insulina regolare prima di pranzo e prima di cena. Per un controllo stretto, prima dei pasti devono essere assunte dosi supplementari di insulina ad azione rapida. La dose deve essere assunta da 15 a 30 minuti prima del pasto per l'insulina regolare o la semilenta e durante il pasto per la Lispro.

Iniezioni sottocutanee multiple di insulina: esse hanno lo scopo di mantenere livelli plasmatici di glucoso normali o quasi normali durante l'intera giornata nei pazienti con DM di tipo I. Tale trattamento può aumentare il rischio di gravi e frequenti episodi di ipoglicemia. I pazienti devono essere altamente motivati, ben istruiti sulla malattia, informati dei rischi e degli incerti benefici, esperti nell'autodeterminazione della glicemia e sotto la supervisione di un medico con buona esperienza sull'uso del metodo. In un regime insulinico tipico con iniezioni sottocutanee multiple, circa il 25% della dose totale giornaliera viene somministrato come insulina ad azione intermedia al momento di coricarsi, con dosi aggiuntive di insulina ad azione rapida prima di ogni pasto (regime a quattro dosi). I pazienti con DM di tipo I possono avere bisogno di insulina ad azione intermedia o prolungata al mattino per ottenere la copertura di tutta la giornata. Il paziente regola il dosaggio giornaliero sulla base dell'autodeterminazione della glicemia prima di ogni pasto e al momento del riposo notturno; almeno una volta/sett. viene controllato il livello del glucoso plasmatico tra le 2 e le 4 del mattino.

Infusione sottocutanea continua di insulina: questa modalità di trattamento insulinico intensivo nei pazienti affetti da DM di tipo I implica l'uso di una piccola pompa di infusione a batterie che consente un'infusione sottocutanea continua di insulina ad azione rapida attraverso un piccolo ago, solitamente inserito nella parete addominale. La pompa è programmata per infondere una determinata quota basale di insulina, integrata prima di ogni pasto da quote aggiuntive predeterminate o stimolate manualmente. Il paziente misura la glicemia diverse volte al giorno per regolare il dosaggio. Il controllo metabolico che si può ottenere con questo metodo è superiore a quello ottenuto con le iniezioni multiple. Gli episodi ipoglicemici sono frequenti con la terapia mediante pompa di infusione continua, specialmente durante la stabilizzazione del controllo metabolico. Tuttavia, una volta che il controllo è stato ottenuto, l'impiego delle pompe non è associato con l'ipoglicemia più di quanto lo siano le iniezioni multiple. Gli impianti sperimentali di pompe da infusione e di dispositivi intraperitoneali di rilascio dell'insulina nel sistema portale potrebbero dimostrarsi ancora più efficaci. Tuttavia, la presenza dell'ago a dimora aumenta il rischio di infezioni nelle sedi di inserzione.

Trattamento insulinico del diabete instabile: i diabetici instabili sono pazienti con DM di tipo I che mostrano frequenti e improvvise oscillazioni dei livelli glicemici senza una causa evidente.

Il diabete instabile è comune soprattutto nei pazienti che non possiedono capacità secretoria insulinica residua. I processi metabolici attraverso i quali l'insulina influenza i livelli plasmatici del glucoso, degli acidi grassi liberi legati all'albumina e dei corpi chetonici sono normalmente regolati da spostamenti dell'equilibrio tra gli effetti dell'insulina e gli effetti opposti del glucagone (nel fegato) e del sistema nervoso autonomo adrenergico. Questi meccanismi controregolatori sono modulati in maniera indipendente e di norma la loro attività aumenta durante il digiuno, l'esercizio fisico e altre condizioni che richiedono una protezione contro l'ipoglicemia. Le dosi di insulina devono essere adeguate a fare fronte a un aumento improvviso dell'attività dei meccanismi controregolatori e a prevenire il rapido sviluppo di iperglicemia sintomatica e iperchetonemia, ma ciò produce di frequente un eccesso transitorio di insulina plasmatica.

Molti di questi pazienti migliorano quando il loro trattamento viene convertito in un regime insulinico sottocutaneo multiplo modificato, che fornisce la maggior parte dell'insulina giornaliera come insulina ad azione rapida prima di ogni pasto in dosaggi regolati quotidianamente, con piccole dosi di insulina ad azione intermedia al mattino, prima del pasto serale o al momento di coricarsi. Lo scopo non è quello di mantenere la glicemia diurna entro un ambito quasi normale, bensì di stabilizzarne le fluttuazioni in un intervallo che prevenga l'iperglicemia e l'ipoglicemia sintomatiche.

Complicanze del trattamento insulinico: l'ipoglicemia (v. più avanti) può verificarsi a causa di un errore nel dosaggio dell'insulina, a causa di un pasto scarso o saltato, o di un'attività fisica non programmata (i pazienti vengono di solito istruiti a ridurre la dose di insulina o aumentare l'introito di carboidrati prima di un esercizio fisico programmato) oppure senza un motivo evidente. Ai pazienti viene insegnato a riconoscere i sintomi dell'ipoglicemia, la quale di solito risponde prontamente all'ingestione di zucchero. Tutti i diabetici devono portare con sé caramelle, zollette di zucchero o tavolette di glucoso. Un cartellino di identificazione, un braccialetto o una collana recanti l'indicazione che il paziente è un diabetico in trattamento insulinico aiutano nel riconoscimento di un'ipoglicemia in condizioni di emergenza. Ai membri più stretti della famiglia deve essere insegnato a somministrare glucagone mediante un dispositivo per iniezioni di facile utilizzo. Il personale medico di emergenza, dopo aver confermato la presenza di ipoglicemia mediante uno stick glucometrico, deve iniziare il trattamento con l'iniezione rapida in bolo di 25 ml di soluzione glucosata al 50%, seguita dall'infusione EV continua di glucoso.

L'effetto alba si riferisce alla normale tendenza del glucoso plasmatico ad aumentare nelle prime ore del mattino prima della colazione, fenomeno che è spesso esagerato nei pazienti con DM di tipo I e in alcuni pazienti con DM di tipo II. I livelli di glucoso a digiuno aumentano a causa di un incremento della produzione epatica di glucoso, che può essere secondario al picco notturno dell'ormone della crescita. In alcuni pazienti con DM di tipo I, l'ipoglicemia notturna può essere seguita da un notevole aumento dei livelli plasmatici di glucoso a digiuno con aumento dei chetoni plasmatici (effetto Somogyi). Quindi, sia l'effetto alba sia l'effetto Somogyi sono caratterizzati da iperglicemia mattutina, ma il secondo è dovuto a un'iperglicemia di rimbalzo (controregolatoria). La frequenza con la quale l'effetto Somogyi si verifica effettivamente è controversa. Quando se ne sospetta l'esistenza, il paziente deve svegliarsi tra le 2 e le 4 del mattino per controllare la glicemia. Se al momento di coricarsi viene somministrata insulina ad azione intermedia, l'effetto alba e l'effetto Somogyi possono spesso essere evitati.

Le reazioni allergiche locali nella sede delle iniezioni di insulina sono meno frequenti con le insuline purificate suine e umane. Queste reazioni possono produrre dolore e bruciore immediati, seguiti dopo qualche ora da eritema, prurito e indurimento locale, quest'ultimo talvolta perdurante per giorni. La maggior parte delle reazioni regredisce spontaneamente dopo alcune settimane di iniezioni continuate di insulina e non richiede un trattamento specifico, sebbene qualche volta vengano usati gli antiistaminici.

L'allergia generalizzata all'insulina (di solito alla molecola dell'insulina) è rara, ma può insorgere quando il trattamento viene sospeso e poi ripreso dopo un periodo di tempo di mesi o anni. Reazioni del genere possono aver luogo con qualunque tipo di insulina, compresa l'insulina biosintetica umana. I sintomi di solito insorgono poco dopo un'iniezione e possono comprendere orticaria, angioedema, prurito, broncospasmo e, in alcuni casi, collasso circolatorio. Il trattamento antiistaminico può essere sufficiente, ma può rendersi necessaria la somministrazione di glucocorticocoidi EV e di adrenalina. Qualora dopo la stabilizzazione delle condizioni cliniche sia necessario istituire una terapia insulinica continuativa, un medico esperto di questi problemi deve eseguire i test cutanei con una serie di preparazioni insuliniche purificate e portare a termine un programma di desensibilizzazione.

La resistenza all'insulina consiste in un aumento delle richieste di insulina a livelli _ 200 U/die ed è associata a notevoli incrementi della capacità insulino-legante del plasma. La maggior parte dei pazienti trattati con insulina per un periodo _ 6 mesi sviluppa anticorpi contro l'insulina. L'antigenicità relativa delle preparazioni di insulina purificata è, nell'ordine, bovina > suina > umana, ma la risposta individuale viene influenzata anche da fattori genetici. Gli anticorpi leganti l'insulina presenti in circolo possono modificare la farmacocinetica dell'insulina libera, ma il trattamento non ne viene di solito influenzato negativamente. Nei pazienti con insulino-resistenza, il passaggio all'insulina purificata suina o umana può ridurre il fabbisogno dell'ormone. La remissione può essere spontanea oppure indotta in alcuni pazienti con DM di tipo II che possono sospendere la terapia insulinica per un periodo di 1-3 mesi. Il prednisone può far diminuire il fabbisogno di insulina entro 2 sett.; il trattamento di solito viene cominciato con circa 30 mg bid e il dosaggio viene ridotto parallelamente alla diminuzione delle richieste.

L'atrofia o l'ipertrofia locale del tessuto adiposo in corrispondenza delle sedi di iniezione sono fenomeni relativamente rari e di solito migliorano con il passaggio all'insulina umana ed evitando la sua iniezione direttamente nell'area colpita. Per l'ipertrofia locale del tessuto adiposo non è necessario alcun trattamento specifico, ma le sedi di iniezione devono essere alternate.

Farmaci antidiabetici orali: questi farmaci vengono utilizzati per il DM di tipo II ma non per quello di tipo I, poiché non sono in grado di prevenire l'iperglicemia sintomatica o la DKA nei pazienti affetti da quest'ultimo. Gli ipoglicemizzanti orali sono rappresentati dalle sulfaniluree. Gli ipoglicemizzanti orali sono le biguanidi, gli inibitori dell'a-glucosidasi e i sensibilizzanti all'insulina (tiazolidindioni ["glitazoni"]). Le caratteristiche dei farmaci antidiabetici orali sono mostrate nella Tab. 13-4.

Sulfaniluree: le sulfaniluree abbassano i livelli glicemici principalmente stimolando la secrezione di insulina. Effetti secondari sul miglioramento della sensibilità all'insulina a livello periferico ed epatico possono essere dovuti alla diminuzione sia della tossicità del glucoso sia della clearance dell'insulina. Le sulfaniluree differiscono tra loro quanto a potenza e durata d'azione (v. Tab. 13-4). Tutte le sulfaniluree vengono metabolizzate nel fegato, ma solo la tolbutamide e la tolazamide sono inattivate esclusivamente a questo livello. Circa il 30% della clorpropamide viene normalmente escreto con le urine e il principale metabolita epatico dell'acetoesamide è altamente attivo e viene escreto con le urine; entrambi i farmaci comportano un aumento del rischio di ipoglicemia prolungata nei pazienti con compromissione della funzione renale e nei soggetti anziani. Le sulfaniluree di seconda generazione (come la glipizide e la gliburide) sono circa 100 volte più potenti di quelle di prima generazione, vengono assorbite rapidamente e sono metabolizzate principalmente nel fegato. Dal punto di vista clinico, esse possiedono un'efficacia sovrapponibile.

Reazioni allergiche e altri effetti collaterali (p. es., l'ittero colestatico) sono relativamente rari. L'acetoesamide può essere utilizzata nei pazienti che sono allergici alle altre sulfaniluree. La clorpropamide e l'acetoesamide non devono essere utilizzate nei pazienti con compromissione della funzione renale. In aggiunta, la clorpropamide non va utilizzata nei pazienti anziani, perché può potenziare l'azione dell'ormone antidiuretico causando spesso iponatriemia e deterioramento dello stato mentale, che in un anziano frequentemente può non essere riconosciuto come un effetto farmaco-indotto.

Per il trattamento iniziale, molti esperti preferiscono le sulfaniluree a più breve durata d'azione e la maggior parte non raccomanda l'uso di un'associazione di differenti sulfaniluree. Il trattamento viene cominciato con una dose bassa, che viene regolata dopo qualche giorno finché non si ottiene una risposta soddisfacente o viene raggiunto il dosaggio massimo raccomandato. Circa il 10-20% dei pazienti non risponde al tentativo terapeutico (insuccessi primari) e i pazienti che non rispondono a una sulfanilurea spesso non rispondono neanche alle altre. Dei pazienti che inizialmente rispondono, il 5-10% ogni anno va incontro a insuccessi secondari. In tali casi, al trattamento con sulfaniluree può essere aggiunta l'insulina.

L'ipoglicemia è la complicanza più importante del trattamento con sulfaniluree. Essa può insorgere nei pazienti trattati con qualunque sulfanilurea, ma si verifica il più delle volte con quelle ad azione prolungata (gliburide, clorpropamide). L'ipoglicemia indotta dalle sulfaniluree può essere grave e può persistere o ripresentarsi per giorni dopo la sospensione del trattamento, anche quando insorge nei pazienti trattati con tolbutamide, la cui durata d'azione abituale varia tra 6 e 12 h. Nei pazienti ospedalizzati con ipoglicemia indotta da sulfaniluree è stato riportato di recente un tasso di mortalità del 4,3%. Perciò, tutti i soggetti trattati con sulfaniluree che sviluppano ipoglicemia devono essere ricoverati in ospedale, poiché, anche se rispondono rapidamente al trattamento iniziale dell'ipoglicemia, essi devono essere tenuti sotto stretto controllo per 2 o 3 gg. La maggior parte di questi pazienti può non aver bisogno di un ulteriore trattamento con sulfaniluree.

Farmaci ipoglicemizzanti: la metformina (una biguanide) è stata utilizzata come terapia primaria nei pazienti con DM di tipo II per oltre 30 anni in quasi tutto il mondo ed è stata recentemente approvata per l'uso negli Stati Uniti. Essa agisce diminuendo la produzione epatica di glucoso e può migliorare la sensibilità all'insulina nei soggetti che riducono il loro peso corporeo. Come monoterapia, è efficace quanto una sulfanilurea (quando viene utilizzata da sola raramente provoca ipoglicemia) e in combinazione con un trattamento con sulfaniluree ha un'azione sinergica. La metformina favorisce inoltre la diminuzione del peso corporeo e riduce i livelli dei lipidi plasmatici. A differenza della fenformina, la metformina provoca raramente una grave acidosi lattica. Gli effetti collaterali GI sono comuni ma spesso transitori e possono essere prevenuti se il farmaco viene assunto con i pasti e se il dosaggio viene aumentato gradualmente (di 500 mg/sett. fino a 2,5 g). La metformina è controindicata nei pazienti affetti da malattie renali ed epatiche o da alcolismo. Essa è inoltre controindicata nei pazienti con acidosi lattica e nella maggior parte dei pazienti la sua somministrazione deve essere interrotta durante il ricovero in ospedale in fase acuta.

L'acarbosio è un inibitore dell'a-glucosidasi che inibisce in maniera competitiva l'idrolisi degli oligosaccaridi e dei monosaccaridi. Ciò ritarda la digestione dei carboidarati nell'intestino tenue e il loro successivo assorbimento, causando una minore elevazione post-prandiale dei livelli ematici di glucoso. Dato che il suo meccanismo d'azione è diverso da quello degli altri ipoglicemizzanti orali, esso può essere utilizzato nella terapia di associazione con altri antidiabetici orali. Gli effetti collaterali GI sono molto frequenti, ma spesso transitori. Il farmaco deve essere assunto durante i pasti e il dosaggio va aumentato gradualmente da 25 mg a 50-100 mg con ogni pasto.

I tiazolidindioni sono farmaci insulino-sensibilizzanti che migliorano la sensibilità all'insulina nel muscolo scheletrico e sopprimono la produzione epatica di glucoso. L'unico farmaco di questa categoria disponibile negli Stati Uniti è il troglitazone. Recentemente esso è stato approvato per l'uso nel trattamento dei pazienti con DM di tipo II che necessitano di insulina e possiede effetti moderati sulla diminuzione dei livelli plasmatici di glucoso e di trigliceridi. Questo farmaco viene somministrato una volta al giorno e presenta un'epatotossicità potenzialmente idiosincrasica. Con l'inizio della terapia, i pazienti dovrebbero essere istruiti a ridurre il loro dosaggio insulinico giornaliero.

Trattamento dietetico: nei diabetici in terapia insulinica, il trattamento dietetico ha lo scopo di limitare le variazioni di orario, quantità o composizione dei pasti, che potrebbero rendere inadeguato il regime insulinico prescritto e causare un'ipoglicemia o una marcata iperglicemia post- prandiale. Tutti i soggetti in terapia insulinica richiedono una dettagliata terapia dietetica, comprendente una prescrizione dell'introito calorico totale giornaliero, indicazioni per le corrette proporzioni fra carboidrati, grassi e proteine nella dieta e istruzioni sulla distribuzione delle calorie tra i singoli pasti e spuntini della giornata. Un dietologo professionista può adattare il programma dietetico e la strategia educativa in base alle necessità individuali del paziente. La flessibilità, d'altronde, aiuta a mantenere vive le motivazioni del paziente.

Sono disponibili pubblicazioni dell'American Diabetes Association e di altre fonti sulla pianificazione del regime dietetico e l'educazione del paziente. Tabelle di conversione che forniscono informazioni sul contenuto in carboidrati, proteine, grassi e calorie dei singoli alimenti vengono utilizzate per tradurre le prescrizioni dietetiche in un piano di alimentazione che dovrebbe prevedere cibi che riescono graditi al paziente, purché non vi siano ragioni specifiche per escludere un particolare alimento. Cibi con valori di conversione simili (cioè simili calorie e simile contenuto di carboidrati, proteine e grassi) possono avere effetti differenti sull'iperglicemia post-prandiale in ogni singolo diabetico. Tuttavia, le tabelle di conversione sono utili nel ridurre le variazioni di quantità e composizione delle abituali colazioni, pranzi, cene e spuntini del paziente.

Nei pazienti obesi con DM di tipo II, gli obiettivi del trattamento dietetico sono la riduzione del peso corporeo e il controllo dell'iperglicemia. La dieta deve soddisfare il fabbisogno proteico minimo quotidiano del paziente (0,9 g/kg) ed essere concepita in modo da indurre una perdita di peso graduale e costante (circa 1 kg/sett.) finché non venga raggiunto e mantenuto il peso ideale. Un dietologo può aiutare a sviluppare un programma di alimentazione che il paziente poi seguirà autonomamente. L'aumento dell'attività fisica nel soggetto obeso sedentario affetto da DM di tipo II è di grande valore e con il tempo può ridurre il grado di resistenza all'insulina. I diabetici ipertesi devono essere trattati con ACE-inibitori, i quali si sono dimostrati più protettivi contro la malattia coronarica rispetto ai calcioantagonisti.

Trattamento dei diabetici durante l'ospedalizzazione: i pazienti diabetici ricoverati in ospedale frequentemente presentano patologie concomitanti che aggravano l'iperglicemia, come un'infezione o una coronaropatia. L'immobilità a letto e una dieta non specifica possono anch'esse aggravare l'iperglicemia. Al contrario, se il paziente è anoressico o vomita, o se è ridotto l'apporto alimentare, la continuazione del trattamento farmacologico può provocare ipoglicemia. La popolare copertura insulinica con una scala variabile per la somministrazione dell'ormone non deve costituire l'unico intervento, perché è reattiva più che preventiva per la correzione dell'iperglicemia. Il suo impiego può inoltre rivelarsi inappropriato se l'iperglicemia è la conseguenza di un aumento della gluconeogenesi epatica in risposta a un'ipoglicemia precedentemente non corretta.

I pazienti ospedalizzati con DM di tipo II vanno spesso bene senza alcuna modificazione del trattamento farmacologico. I farmaci ipoglicemizzanti possono essere sospesi nel corso di una patologia acuta associata con una riduzione dell'apporto alimentare o nel corso di qualunque condizione che abbia la tendenza a provocare ipoglicemia. Se i livelli plasmatici di glucoso rimangono elevati, si può aggiungere insulina.

Nei pazienti con DM di tipo I, la somministrazione di insulina intermedia (NPH o lenta) deve essere proseguita al 50-70% della dose giornaliera frazionata bid o tid. Dosi supplementari di insulina regolare possono essere somministrate sulla base di una scala variabile. Nei pazienti in nutrizione parenterale totale o parziale, l'iperglicemia può essere corretta con un'infusione EV continua di insulina o con dosi frazionate di insulina ad azione intermedia. La glicemia deve essere misurata quattro volte al giorno prima dei pasti.

Gestione dei pazienti diabetici in occasione di interventi chirurgici: le procedure chirurgiche (compresi lo stress emotivo precedente, gli effetti dell'anestesia generale e il trauma dell'intervento) possono provocare un marcato aumento della glicemia nei diabetici e causare DKA nei pazienti affetti da DM di tipo I. Nei pazienti che normalmente praticano una o due iniezioni di insulina al giorno, al mattino prima dell'intervento si può somministrare da 1/3 a 1/2 della dose mattutina abituale e cominciare poi un'infusione EV di glucoso al 5% in soluzione fisiologica o acqua alla velocità di 1 l (50 g di glucoso) ogni 6-8 h. Dopo l'intervento, vengono misurate la glicemia e la chetonemia. A meno che non sia indicata una modificazione del dosaggio, la dose preoperatoria di insulina viene ripetuta quando il paziente si è risvegliato dall'anestesia e si prosegue l'infusione di glucoso. La glicemia e i corpi chetonici plasmatici vengono controllati a intervalli di 2-4 h e q 4-6 h viene somministrata insulina regolare in quantità sufficiente a mantenere i livelli plasmatici di glucoso tra 100 e 250 mg/dl (tra 5,55 e 13,88 mmol/l). Questo trattamento viene proseguito finché il paziente può passare all'alimentazione orale e a uno schema posologico insulinico a 1 o 2 dosi.

Alcuni medici preferiscono sospendere la somministrazione sottocutanea di insulina il giorno dell'intervento e aggiungere da 6 a 10 U di insulina regolare a 1 l di glucoso al 5% in soluzione fisiologica o acqua infuso inizialmente alla velocità di 150 ml/h la mattina stessa, basandosi sui valori glicemici. Questa procedura viene continuata nel corso del risveglio postoperatorio, regolando la dose di insulina sulla base dei livelli glicemici misurati in sala di risveglio e poi a intervalli di 2-4 h.

L'insulina non è necessaria per i pazienti diabetici che hanno mantenuto una glicemia soddisfacente con la sola dieta o con l'aggiunta di una sulfanilurea prima dell'intervento. Le sulfaniluree devono essere sospese da 2 a 4 giorni prima dell'intervento e i livelli plasmatici di glucoso devono essere misurati prima e dopo l'operazione e q 6 h nel corso della successiva terapia infusionale EV.

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