4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI

37. SCREENING E VALUTAZIONE DIAGNOSTICA

Sommario:

Introduzione
Esami di laboratorio
Esami per immagini
Biopsia epatica


Il fegato è un organo complesso con funzioni metaboliche, secretorie e di difesa interdipendenti. Nessun test semplice è in grado da solo di valutare la sua funzione globale perché la sensibilità e la specificità dei diversi test sono limitate. L'uso di più esami di screening migliora le possibilità di rilevare anomalie epatobiliari, aiuta nel differenziare le patologie sospettate clinicamente e definisce la gravità della malattia epatica. Sono disponibili molti esami, ma relativamente pochi incidono in modo positivo sulla terapia del paziente.

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Esami di laboratorio

Tra le analisi comuni, le più utili sono la bilirubina sierica, la fosfatasi alcalina e le aminotransferasi (transaminasi). Il colesterolo e la LDH sono meno utili. Il tempo di protrombina è un indice della gravità della malattia epatica. Solo pochi esami sierologici e biochimici sono patognomonici (p. es., l'antigene di superficie dell'epatite B [HbsAg] per la presenza del virus dell'epatite B, il rame e la ceruloplasmina sierici per la malattia di Wilson e l'a1-antitripsina nella malattia da deficit dell'a1-antitripsina).

Bilirubina: l'iperbilirubinemia piò essere causata da un'aumentata produzione di bilirubina, da una ridotta captazione o coniugazione epatica o da una ridotta secrezione biliare (v. Ittero nel Cap. 38). L'aumentata produzione di bilirubina (p. es., dall'emolisi) o le ridotte captazione o coniugazione epatiche (p. es., la malattia di Gilbert) causano un aumento dei valori sierici della bilirubina non coniugata (o libera). La ridotta formazione ed escrezione della bile (colestasi) innalza il livello di bilirubina coniugata nel siero e ne permette il passaggio nelle urine.

La reazione di van den Bergh misura la bilirubina sierica attraverso il frazionamento. Una reazione diretta misura la bilirubina coniugata. L'aggiunta di metanolo causa una reazione completa che misura la bilirubina totale (coniugata + non coniugata); la differenza rappresenta la bilirubina non coniugata (reazione indiretta).

La bilirubina sierica può non essere un indice particolarmente sensibile della disfunzione epatica o della prognosi della malattia, ma è un test ormai consolidato. La bilirubina totale di norma è < 1,2 mg/dl (20 mmol l). La sola utilità del frazionamento della bilirubina nelle sue componenti è di determinare l'iperbilirubinemia non coniugata (presente quando la frazione non coniugata è > 15% della bilirubina totale). Il frazionamento è di solito necessario nei casi in cui viene riscontrata un'elevazione isolata della bilirubina (cioè, quando gli altri esami di funzionalità epatica, convenzionali, sono normali) o nell'ittero neonatale. Con tecniche sofisticate si possono isolare i diversi coniugati della bilirubina, ma ciò non aggiunge nulla di clinicamente rilevante.

La bilirubina è normalmente assente nelle urine. La sua presenza, prontamente rilevata al letto del paziente con un esame delle urine su striscia, indica la presenza di una malattia epato- biliare. La bilirubina non coniugata è saldamente legata all'albumina, non viene filtrata dai glomeruli e non è presente nelle urine neanche quando i suoi livelli sierici sono aumentati. Un test positivo per la presenza di bilirubina nelle urine conferma che i livelli sierici dipendono da un'iperbilirubinemia coniugata. Non è necessario il frazionamento della bilirubina plasmatica totale. La bilirubinuria può essere un segno iniziale di una malattia epato-biliare, come avviene nell'epatite virale acuta ancora prima della comparsa clinica dell'ittero. Comunque, in altre circostanze può essere assente malgrado l'incremento della bilirubina sierica. Risultati falsi negativi si verificano nei casi di prolungata conservazione del campione urinario con possibile ossidazione della bilirubina o in presenza nelle urine di acido ascorbico (per ingestione di vitamina C) o di nitrati (a causa di un'urosepsi).

L'urobilinogeno è normalmente presente in tracce nelle urine (10 mg/l [17 mmol/l]) e può essere valutato con i test commerciali su striscia. Questo metabolita intestinale della bilirubina aumenta a causa di un'emolisi (eccesso di formazione del pigmento) o di un modesto deficit di captazione ed escrezione epatica (cioè, quando la circolazione enteroepatica di questo pigmento supera la capacità epatica di captazione e di secrezione). Il deficit di secrezione della bilirubina nel piccolo intestino riduce la formazione dell'urobilinogeno tanto che all'esame delle urine potrebbe risultare falsamente basso o assente. Per questo motivo l'urobilinogeno, sebbene sia un indice sensibile in caso di lievi malattie epatiche, è troppo poco specifico e di difficile interpretazione.

Fosfatasi alcalina: questi isoenzimi possono idrolizzare i legami degli esteri fosforici organici in un ambiente alcalino, generando un radicale organico e un fosfato inorganico. La loro funzione biologica è sconosciuta.

La fosfatasi alcalina nel siero normalmente deriva dal fegato, dalle ossa e, durante la gravidanza, dalla placenta. È presente in alcuni tumori (p. es., nel carcinoma broncogeno). L'accrescimento osseo causa un'elevazione, dipendente dall'età, dei valori normali, specialmente nei bambini < 2 anni e negli adolescenti. In seguito, dopo un picco che corrisponde alla maggiore crescita durante l'adolescenza, l'attività della fosfatasi alcalina diminuisce raggiungendo i normali valori dell'adulto. L'enzima torna, poi, fisiologicamente a valori lievemente aumentati negli anziani. Durante la gravidanza, infine, il livello sierico aumenta di 2-4 volte entro il 9o mese e ritorna alla norma nell'arco di 21 gg dopo il parto.

La fosfatasi alcalina aumenta notevolmente nelle malattie che danneggiano la formazione della bile (colestasi) e, in minor grado, nelle patologie epatocellulari. I valori della fosfatasi alcalina aumentano fino a 4 volte nella colestasi, sia da cause intraepatiche (cirrosi biliare primitiva, epatopatia da farmaci, rigetto di trapianto epatico), che da reazione immunologica del trapianto verso l'ospite o da cause extraepatiche (ostruzione duttale per stenosi, calcolosi o tumori). L'aumento non è discriminatorio. Nella patologia epatocellulare (p. es., nelle varie forme di epatiti, nella cirrosi e nelle malattie infiltrative), i livelli sierici della fosfatasi alcalina tendono a essere in qualche modo più bassi, anche se con alcune sovrapposizioni.

Gli aumenti isolati (cioè, quando gli altri esami epatici sono normali) si verificano nelle malattie epatiche granulomatose o focali (p. es., ascessi, infiltrazione neoplastica, ostruzione parziale dei dotti biliari). Il meccanismo che causa l'aumento in alcune neoplasie extraepatiche senza metastasi epatiche, è sconosciuto. Il carcinoma broncogeno, per esempio, può produrre una propria fosfatasi alcalina; l'ipernefroma nel 15% dei casi provoca un'epatite non specifica che potrebbe essere la causa dell'elevazione dell'enzima. Nel linfoma di Hodgkin, il motivo dell'elevazione isolata della fosfatasi alcalina è sconosciuto. In genere, l'aumento della sola fosfatasi alcalina nei soggetti anziani, peraltro asintomatici, non richiede ulteriori indagini. Nella maggior parte dei casi origina dalle ossa (p. es., nella malattia di Paget).

5'-Nucleotidasi: la misurazione della 5'-nucleotidasi è più semplice e utile rispetto a quelle delle diverse fosfatasi alcaline, soprattutto al fine di distinguerne l'origine ossea da quella epatica. La 5'-nucleotidasi differisce dal punto di vista biochimico dalla fosfatasi alcalina e si trova solamente nelle membrane plasmatiche della cellula epatica. I valori sono bassi durante l'infanzia, aumentano gradualmente durante l'adolescenza e raggiungono un plateau dopo i 50 anni. La 5'-nucleotidasi è di norma elevata nel corso dell'ultimo trimestre di gravidanza. Questo enzima sierico aumenta nelle patologie epatobiliari, ma non nelle malattie ossee. È utile nello studio del paziente anitterico. A causa della sua specificità per le malattie del fegato, la 5'-nucleotidasi, pur non potendo differenziare una malattia ostruttiva da una epatocellulare, offre alcuni vantaggi rispetto alla fosfatasi alcalina. I due enzimi possono, o meno, aumentare e diminuire nello stesso modo.

g-Glutamil transpeptidasi (GGT): conosciuta anche come g-glutamiltransferasi, la GGT (presente nel fegato, nel pancreas e nel rene) catalizza il trasferimento del gruppo g-glutammico da un peptide a un altro o a un l-aminoacido. I livelli della GGT sono elevati nelle malattie del fegato, delle vie biliari e del pancreas quando il coledoco è ostruito. In caso di colestasi, i livelli della GGT aumentano insieme a quelli della fosfatasi alcalina e della 5'-nucleotidasi. L'estrema sensibilità della GGT (maggiore di quella della fosfatasi alcalina), ne limita l'utilità, ma aiuta a identificare una malattia epato-biliare come causa di un aumento isolato della fosfatasi alcalina. I livelli della GGT sono normali in gravidanza e in presenza di patologie ossee. Poiché non è fisiologicamente aumentata durante la gravidanza o l'adolescenza, la GGT può permettere l'identificazione delle malattie epatobiliari in tali condizioni. L'uso delle droghe e l'ingestione di alcol, che inducono gli enzimi microsomiali, possono causare un aumento della GGT. Come marker dell'epatopatia alcolica, la GGT non ha molto valore se usata da sola, mentre è più affidabile in combinazione con la misurazione delle transaminasi.

Transaminasi: l'aspartato transaminasi (AST) e l'alanina aminotransferasi (ALT) sono dei sensibili indicatori delle lesioni epatiche. L'AST è presente nel cuore, nel muscolo scheletrico, nel cervello, nel rene e nel fegato. I livelli dell'AST aumentano in corso di infarto del miocardio, di scompenso cardiaco, di lesioni muscolari, di malattie del SNC e in altre patologie extraepatiche. Malgrado l'AST sia relativamente aspecifica, i suoi elevati livelli indicano un danno epatocellulare ed è, quindi, un esame affidabile nello screening di routine delle patologie epatiche. Valori > 500 UI/l indicano la presenza di un'epatite acuta, virale o tossica e si possono verificare sia nei casi di insufficienza cardiaca importante (epatite ischemica) che, a volte, in presenza di una calcolosi del coledoco. La misura dell'aumento non ha un significato prognostico e non è correlata al grado del danno epatico. Le determinazioni ripetute permettono un buon monitoraggio: un ritorno ai valori normali indica la guarigione, a meno che non corrisponda al quadro finale di una necrosi epatica massiva.

L'ALT si trova principalmente nelle cellule epatiche e perciò ha una grande specificità per le epatopatie. La sua titolazione offre, comunque, solo un modesto vantaggio aggiuntivo. Nella maggior parte delle malattie epatiche, l'aumento dell'AST è inferiore a quello dell'ALT (rapporto AST/ALT < 1), a eccezione delle epatopatie su base alcolica in cui il rapporto è, spesso, > 2. Questo ridotto aumento dell'ALT è dovuto alla ridotta concentrazione nell'alcolista della piridossina 5'-fosfato (vitamina B6), un importante cofattore per l'enzima. Anche se dal punto di vista pratico l'uso di questo rapporto è limitato, un rapporto AST/ALT > 3 con un marcato aumento delle GGT (più di 2 volte il valore della fosfatasi alcalina) è altamente suggestivo di una lesione epatica correlata all'uso dell'alcol (p. es., l'epatite alcolica).

Lattico deidrogenasi: la LDH, comunemente inserita nelle analisi eseguite di routine, non è un sensibile indicatore del danno epatocellulare, ma piuttosto dell'emolisi, dell'infarto del miocardio o dell'embolia polmonare. Può essere molto elevata, anche in corso di neoplasie che interessano il fegato.

Proteine sieriche: il fegato sintetizza la maggior parte delle proteine sieriche: le a- e b-globuline, l'albumina e i fattori della coagulazione (ma non le g-globuline che sono prodotte dai linfociti B). Anche gli epatociti producono proteine specifiche: l'a1-antitripsina (assente in caso di deficit di a1-antitripsina), la ceruloplasmina (ridotta nella malattia di Wilson), la transferrina e la ferritina (rispettivamente saturata con il ferro e molto aumentata nell'emocromatosi). Queste e alcune altre proteine sieriche aumentano in modo aspecifico in risposta a un danno tissutale (p. es., nell'infiammazione) con il rilascio di citochine. Queste reazioni della fase acuta possono produrre dei valori falsamente normali o elevati.

L'albumina sierica è la principale responsabile della pressione oncotica plasmatica ed è un vettore di trasporto di numerose sostanze (p. es., la bilirubina non coniugata). La sua concentrazione nel siero è determinata dall'equilibrio tra la sua sintesi e la sua degradazione o perdita, dalla sua distribuzione intra- ed extravascolare e dal volume plasmatico. Nell'adulto, il fegato normalmente sintetizza da 10 a 15 g (0,2 mmol)/die di albumina, che rappresentano circa il 3% del pool totale dell'albumina corporea. La sua emivita biologica è di circa 20 gg; quindi, i livelli sierici non riflettono la funzione epatocellulare nelle malattie epatiche acute. L'albumina sierica (e la sua sintesi) è diminuita nelle malattie epatiche croniche (p. es., cirrosi, ascite), soprattutto a causa di un aumentato volume di distribuzione. Anche l'alcolismo, l'infiammazione cronica e la malnutrizione proteica deprimono la sintesi dell'albumina. L'ipoalbuminemia può essere dovuta a un'eccessiva perdita renale (sindrome nefrosica), intestinale (gastroenteropatia proteino-disperdente) e cutanea (ustioni).

Le immunoglobuline sieriche aumentano nella maggior parte dei casi di epatopatia cronica quando il sistema reticoloendoteliale è deficitario o bypassato dagli shunt venosi portali. L'incapacità di depurare il sangue venoso dalla normale flora batterica, in corso di batteriemia transitoria, causa una continua stimolazione antigenica del tessuto linfoide extraepatico e un'ipergammaglobulinemia. Il livello delle globuline sieriche aumenta lievemente nelle epatiti acute e più marcatamente nelle epatiti croniche attive, particolarmente nella varietà autoimmune. Le modalità con cui aumentano le diverse Ig aggiungono poco: le IgM sono molto elevate nella cirrosi biliare primitiva, le IgA nella patologia epatica su base alcolica e le IgG nelle epatiti croniche attive.

Anticorpi: le proteine specifiche possono essere diagnostiche. La presenza dei diversi antigeni e anticorpi virali è associata a delle cause specifiche di epatiti (v. Epatite virale acuta nel Cap. 42 e Mononucleosi infettiva in Infezioni virali nel Cap. 265).

Gli anticorpi antimitocondriali sono diretti contro gli antigeni delle membrane mitocondriali interne di parecchi tessuti. L'antigene M2 è quello più strettamente associato alla cirrosi biliare primitiva. Gli anticorpi antimitocondriali sono positivi, generalmente con un alto titolo, in > 95% dei pazienti con una cirrosi biliare primitiva. Questi anticorpi eterogenei sono presenti anche in circa il 30% dei casi di epatite cronica attiva autoimmune e in alcuni casi di epatite da farmaci e di collagenopatia vascolare. Sono assenti, invece, in presenza di un'ostruzione meccanica della via biliare e nella colangite sclerosante primitiva e hanno, quindi, un importante valore diagnostico, specialmente quando il quadro istopatologico del fegato è equivoco.

Nell'epatite cronica attiva autoimmune si trovano anche altri anticorpi: gli anticorpi anti-muscolo liscio, diretti specialmente contro l'actina, sono riscontrati nel 70% dei casi e gli anticorpi anti-nucleo, responsabili di una omogenea (diffusa) fluorescenza e sempre positivi a titoli elevati. Alcuni pazienti con epatite cronica attiva mostrano anche l'anticorpo antimicrosoma del fegato e del rene (Liver-Kidney-Microsome, LKM-1). Tuttavia, nessuno di questi anticorpi è diagnostico di per sé e nessuno rivela la patogenesi della malattia.

a-Fetoproteina (AFP): sintetizzata dal fegato fetale, l'AFP è normalmente elevata nella madre e nel neonato. Entro un anno di vita, l'AFP nel bambino raggiunge i valori dell'adulto (normalmente < 20 ng/ml). Nel carcinoma epatocellulare primitivo si osserva un suo marcato aumento, proporzionato alle dimensioni del tumore. In questi casi, l'AFP è un utile esame di screening, perché sono poche le altre condizioni (teratocarcinoma embrionario, epatoblastoma, rare metastasi epatiche da neoplasie del tratto gastrointestinale, alcuni colangiocarcinomi) che ne causano un aumento dei valori > 400 ng/ml. Nell'epatite fulminante, l'AFP può essere > 1000 ng/ml; elevazioni meno marcate (da 100 a 400 ng/ml) si verificano nelle epatiti acute e croniche. Questi valori possono indicare anche la rigenerazione epatica.

Tempo di protrombina (TP): il TP risente delle interazioni tra i fattori I (fibrinogeno), II (protrombina), V, VII e X che sono sintetizzati dal fegato (v. anche la trattazione in Emostasi nel Cap. 131). Il TP può essere espresso in unità di tempo (s) o come il rapporto tra il TP misurato e il TP di controllo, detto INR. La vitamina K è necessaria per la conversione della protrombina. I precursori dei fattori VII, IX, X e probabilmente del V, ne hanno bisogno per la loro attivazione attraverso una reazione di carbossilazione, che è essenziale per il loro funzionamento come fattori della coagulazione. Il deficit di vitamina K dipende da un inadeguato apporto o da un malassorbimento. Poiché la vitamina K è liposolubile, sono necessari i sali biliari per il suo assorbimento intestinale che, quindi, dovrebbe diminuire in corso di colestasi. Il malassorbimento della vitamina K come causa di un prolungato TP può essere differenziato ripetendo il dosaggio del TP 24-48 ore dopo la somministrazione di vitamina K, alla dose di 10 mg SC. In corso di epatopatie parenchimali si verifica un miglioramento minimo o nullo.

Il TP è un esame relativamente poco sensibile per la diagnosi delle disfunzioni epatocellulari lievi. Comunque, a causa della breve emivita biologica dei fattori della coagulazione coinvolti (da ore a pochi gg.), il TP ha un elevato valore prognostico in corso di patologie epatiche acute. Nelle epatiti acute, virali o tossiche, un TP > 5 s rispetto al controllo è un indicatore precoce di un'insufficienza epatica fulminante.

Test per il metabolismo e per il trasporto epatico: diversi test possono misurare la capacità del fegato di trasportare il materiale organico e di metabolizzare i farmaci. I dosaggi della bilirubina sono usati frequentemente, mentre altri esami, sebbene molto sensibili, sono complessi, costosi e aspecifici.

Gli acidi biliari sono specifici per il fegato poiché sono sintetizzati solo in questo organo, costituiscono il fattore che promuove la formazione della bile e sono soggetti a un'estrazione del 70-90% al primo passaggio epatico. Le concentrazioni sieriche degli acidi biliari normalmente sono estremamente basse (circa 5 mmol/ l). Gli aumenti sono specifici e molto sensibili per le malattie epatobiliari, ma non aiutano nella diagnosi differenziale né indicano la prognosi. I valori sono normali nell'iperbilirubinemia isolata (p. es., nella sindrome di Gilbert). Le sofisticate analisi dei singoli acidi biliari nel siero possono avere valore nelle ricerche cliniche sulla terapia con acidi biliari della calcolosi e della cirrosi biliare primitiva.

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Esami per immagini

La scintigrafia, l'ecografia (ECO), la TC e la RMN hanno sostituito le tecniche per immagini tradizionali (p. es., la colecistografia orale e la colangiografia EV). Le tecniche radiologiche invasive (p. es., la CPRE) si avvalgono di strumentazioni sofisticate e permettono di eseguire delle procedure terapeutiche.

Radiografia diretta dell'addome: la sua utilità è limitata all'identificazione di calcificazioni nel fegato o nella colecisti, di calcoli radiopachi e di aria nella via biliare. Possono essere evidenziate anche le epato- o splenomegalie e l'ascite.

Colecistografia orale: questo esame è semplice, affidabile e relativamente sicuro per la visualizzazione della colecisti; il 25% dei pazienti lamenta, però, diarrea dopo l'esame. Raramente, si osserva una reazione da ipersensibilità al mezzo di contrasto iodato. Uno studio anormale include la mancata visualizzazione della colecisti dopo una seconda dose di contrasto e dopo aver escluso le cause più ovvie: il vomito, l'ostruzione pilorica, il malassorbimento, la sindrome di Dubin-Johnson o una significativa malattia epatocellulare. La sensibilità nella diagnosi delle malattie della colecisti (p. es., la calcolosi della colecisti) è di circa il 95%, ma la specificità è molto più bassa. Al contrario, i calcoli e le lesioni neoplastiche sono facilmente identificati e differenziati. La colecistografia orale, oltre che definire l'anatomia della colecisti, evidenzia anche con chiarezza la pervietà del dotto cistico e, in misura minore, la funzione di concentrazione della colecisti stessa. Il riempimento radiologico della colecisti è un criterio importante nella valutazione dell'indicazione alla terapia con i sali biliari, piuttosto che alla litotripsia biliare extracorporea, per sciogliere i calcoli. Questa tecnica è anche più utile dell'ECO nel determinare il numero e il tipo di calcoli (la trasparenza indica che i calcoli sono composti da colesterolo). Tuttavia, l'ECO e la scintigrafia biliare hanno largamente sostituito questo esame, un tempo di riferimento, a causa della loro maggior facilità d'uso e minor incidenza di risultati falsi negativi. La scintigrafia è migliore anche nell'evidenziare il riempimento e lo svuotamento della colecisti.

Ecografia: i reperti ottenuti all'ECO sono di carattere morfologico e indipendenti dalla funzione. L'ECO è l'esame più importante per lo screening delle anomalie della via biliare e delle lesioni occupanti spazio nel fegato. È inoltre più utile nella diagnosi delle lesioni focali (> 1 cm di diametro) che in quella delle patologie diffuse (p. es., steatosi, cirrosi). In generale, le cisti sono prive di echi; le lesioni solide (p. es., neoplasie, ascessi) tendono a essere ecogene. La capacità di localizzare delle lesioni focali permette di eseguire delle biopsie e delle aspirazioni ecoguidate.

L'ECO è la tecnica meno costosa, più sicura e più sensibile per la visualizzazione del sistema biliare e, in particolare, della colecisti. L'accuratezza per la diagnosi delle patologie della colecisti o da calcoli è prossima al 100%, anche se è necessaria una discreta abilità da parte dell'esecutore dell'esame. I calcoli emettono degli intensi echi con cono d'ombra posteriore e possono essere mobili per la forza di gravità. La dimensione dei calcoli può essere definita accuratamente, ma può essere difficile determinarne il numero, quando sono tanti, a causa della loro sovrapposizione. I criteri per la diagnosi di colecistite acuta includono un ispessimento della parete della colecisti, la presenza di un liquido pericolecistico, la presenza di un calcolo occludente il colletto della colecisti e la dolorabilità alla palpazione (segno di Murphy). I polipi della colecisti sono un frequente reperto accidentale. Il carcinoma si presenta come una massa solida, senza caratteristiche specifiche.

L'ECO è la procedura di scelta per valutare la colestasi e per differenziare le cause intraepatiche da quelle extraepatiche dell'ittero. I dotti biliari appaiono come strutture tubulari anecogene. Il coledoco ha un diametro che normalmente è inferiore ai 6 mm, aumenta lievemente con l'età e raggiunge i 10 mm dopo la colecistectomia. La presenza di dotti dilatati è in pratica patognomonica per un'ostruzione extraepatica, ma la presenza di dotti normali non esclude l'ostruzione, poiché questa potrebbe essere intermittente o di recente insorgenza. L'ECO non evidenzia facilmente i calcoli nel coledoco, ma la loro presenza può essere dedotta in caso di dilatazione del dotto stesso e in presenza di calcoli nella colecisti. La visualizzazione del pancreas, del rene e dei vasi sanguigni è un ulteriore vantaggio. Il riscontro di un ingrandimento della testa del pancreas o della presenza di una massa a questo livello, può rivelare la causa di una colestasi o di un dolore localizzato nei quadranti superiori dell'addome.

L'ecodoppler misura la variazione di frequenza delle onde a ultrasuoni riflesse dal movimento dei GR. Questa metodica può mostrare con chiarezza la vascolarizzazione epatica, in particolare la vena porta, e la direzione del flusso ematico. L'ecodoppler può mostrare la trombosi dell'arteria epatica dopo un trapianto di fegato. Può anche identificare delle strutture vascolari anomali (p. es., la trasformazione cavernomatosa della vena porta).

Scintigrafia con radionuclidi: questa procedura comporta la captazione epatica di un radiofarmaco iniettato nella circolazione sistemica e che di solito è rappresentato dal Tecnezio 99m (99mTc).

Per la scintigrafia epato-splenica si usa il 99mTc-solfuro-colloide, che è rapidamente estratto dal sangue da parte delle cellule del sistema reticoloendoteliale. Normalmente, la radioattività è distribuita in modo uniforme. Nel caso di una lesione occupante > 4 cm (p. es., una cisti, un ascesso, una metastasi, un tumore epatico), la parte di fegato sostituita appare come una zona "fredda". Le malattie epatiche generalizzate (p. es., la cirrosi, l'epatite), provocano una diminuzione eterogenea della captazione da parte del fegato e un suo incremento da parte della milza e del midollo osseo. L'ostruzione della vena sovraepatica si associa a una diminuita visualizzazione del fegato, a eccezione del lobo caudato che ha un drenaggio indipendente nella vena cava inferiore. L'ECO o la TC hanno largamente sostituito la scintigrafia con radionuclidi per la diagnosi delle lesioni occupanti spazio e delle malattie parenchimali diffuse.

Colescintigrafia: per studiare il sistema escretorio epato-biliare, la colescintigrafia impiega dei derivati dell'acido imminodiacetico marcati con il tecnezio99m. Queste radiosostanze sono anioni organici, che il fegato capta avidamente dal plasma e secerne nella bile soprattutto sotto forma di bilirubina. È necessario un digiuno di almeno 2 h. Un esame normale mostra una captazione epatica rapida e uniforme, una pronta escrezione nei dotti biliari e la visualizzazione della colecisti e del duodeno entro 1 h. Nella colecistite acuta (con ostruzione del dotto cistico) la colecisti non è visibile entro 1 h. Una colecistite acuta acalcolotica può essere identificata nello stesso modo. La colecistite cronica è più problematica: può essere ragionevolmente diagnosticata se la visualizzazione della colecisti è ritardata di oltre 1 h, a volte fino a 24 h, o se la colecisti non viene visualizzata per nulla, ma la diagnosi è resa dubbia dai numerosi risultati falsi positivi e falsi negativi. Diversi fattori, infatti, possono contribuire alla mancata visualizzazione della colecisti (p. es., una colestasi importante con un marcato incremento della bilirubina, il mancato digiuno, un digiuno > 24 h, alcuni farmaci).

La colescintigrafia valuta anche l'integrità del sistema epato-biliare (spandimenti biliari possono essere importanti specie dopo un intervento chirurgico o un trauma) e la sua anatomia (dalle cisti congenite del coledoco alle anastomosi coledoco-enteriche). Dopo la colecistectomia, la scintigrafia biliare può quantificare il drenaggio biliare ed essere di ausilio nell'identificazione di una disfunzione dello sfintere di Oddi. Nell'ittero neonatale, lo studio per immagini del sistema epato-biliare consente la differenziazione tra l'epatite neonatale e l'atresia biliare.

Tomografia computerizzata: la TC rileva le variazioni di densità delle differenti lesioni epatiche. L'uso del mezzo di contrasto EV aiuta a distinguere le più sottili differenze tra i tessuti molli e a identificare il sistema vascolare e la via biliare. La TC mostra le strutture epatiche in modo più coerente dell'ECO; l'obesità e i gas intestinali non interferiscono con la loro visualizzazione. La TC è particolarmente utile per studiare le lesioni occupanti spazi (p. es., metastasi) nel fegato e le masse nel pancreas. Può evidenziare anche un'infiltrazione grassa del fegato e un'aumentata densità epatica da sovraccarico di ferro. È un esame costoso e richiede l'esposizione a radiazioni; entrambi i fattori ne riducono l'uso di routine nei confronti dell'ECO.

Risonanza magnetica nucleare: la RMN è un'interessante, sebbene costosa, tecnologia che può portare dei vantaggi nell'identificazione delle neoplasie e nello studio del flusso ematico del fegato. I vasi ematici sono facilmente identificati senza mezzi di contrasto. Anche se ancora in evoluzione, la RMN è confrontabile con la TC per l'identificazione delle lesioni occupanti spazio e può visualizzare i vasi periepatici e il sistema biliare. La colangio-RMN sta diventando un esame di screening sempre più interessante, da utilizzare prima di passare a tecniche più invasive.

Colangiografia intraoperatoria: questa procedura richiede l'iniezione diretta del mezzo di contrasto nel dotto cistico o nel coledoco durante l'intervento chirurgico. Si ottiene un'eccellente visualizzazione della via biliare. Questo approccio diagnostico è indicato nei casi di calcolosi biliare quando è presente un ittero o quando si sospetta una calcolosi del coledoco. Le difficoltà tecniche ne hanno limitato l'uso durante la colecistectomia eseguita per via laparoscopica. La visualizzazione diretta del coledoco può essere ottenuta anche con la coledocoscopia. La colangiografia EV, eseguita per la visualizzazione del coledoco, è stata di fatto abbandonata a causa del suo scarso potere diagnostico, per i rischi di una reazione da ipersensibilità e per l'avvento della CPRE.

Colangiopancreatografia retrograda endoscopica (CPRE): la CPRE combina (1) l'endoscopia (per l'endoscopia del tratto gastrointestinale superiore, v. Cap. 19) per l'identificazione e l'incannulamento dell'ampolla di Vater nella seconda porzione duodenale e (2) lo studio rx dopo iniezione del mezzo di contrasto nei dotti biliare e pancreatico. Con questa tecnica si posiziona nel duodeno discendente un endoscopio a visione laterale, si identifica e si incannula la papilla di Vater e poi si inietta un mezzo di contrasto per visualizzare il dotto pancreatico e il sistema dei dotti biliari. Otre a ottenere delle eccellenti immagini della via biliare e del pancreas, la CPRE permette la visualizzazione del tratto gastrointestinale superiore e dell'area periampollare. Possono essere eseguite delle biopsie e delle procedure interventistiche (p. es., la sfinterotomia, l'estrazione di calcoli biliari o il posizionamento di una protesi biliare attraverso una stenosi). La CPRE è una procedura ambulatoriale che, in mani esperte, ha un rischio relativamente basso (principalmente di pancreatite nel 3% dei casi dopo sfinterotomia). Ha rivoluzionato la diagnosi e il trattamento delle patologie pancreatico-biliari. È particolarmente preziosa nella valutazione della via biliare in caso di ittero persistente e nella ricerca di una lesione suscettibile di trattamento (p. es., calcoli, stenosi, disfunzioni dello sfintere di Oddi). In caso di ittero e colestasi, la CPRE deve essere preceduta dall'ECO per valutare il diametro del coledoco.

Colangiografia transepatica percutanea (CTP): questa procedura comporta la puntura del fegato con un ago da 22 gauge, sotto controllo fluoroscopico o ecografico, per entrare in un dotto biliare intraepatico periferico a monte del dotto epatico comune. La CTP ha un elevato potere diagnostico, ma soltanto per quanto riguarda il sistema biliare. È possibile eseguire alcune procedure terapeutiche (p. es., la decompressione del sistema biliare, il posizionamento di un'endoprotesi). Di solito, si preferisce la CPRE, soprattutto se i dotti non sono dilatati (p. es., colangite sclerosante). La CTP viene usata dopo il fallimento di una CPRE o quando un'alterata anatomia (gastroenterostomia) preclude l'accesso all'ampolla. Può essere di complemento alla CPRE nelle lesioni ilari localizzate alla porta hepatis. La CTP è generalmente sicura, ma ha comunque una maggiore incidenza di complicanze (p. es., sepsi, sanguinamento, spandimenti di bile) rispetto alla CPRE. La scelta tra la CTP e la CPRE viene operata spesso dagli specialisti locali.

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Biopsia epatica

La biopsia epatica percutanea fornisce delle valide informazioni diagnostiche con un rischio relativamente modesto e un piccolo fastidio per il paziente. Praticata al letto del paziente in anestesia locale, questa procedura comporta una biopsia mediante aspirazione (usando l'ago di Menghini o l'ago di Jamshidi, disponibile come un set monouso e, quindi, sempre affilato) o mediante il taglio (usando il Trucut monouso, una variante dell'ago di Vim-Silverman). Previa anestesia, l'ago è inserito in uno spazio intercostale, anteriormente alla linea ascellare media e appena sotto il punto di massima ottusità in espirazione. Il paziente giace immobile e rimane in espirazione. L'ago procede quindi, rapidamente, nel fegato con l'aspirazione collegata (Jamshidi) o con la parte tagliente avanzata (Trucut). La procedura impiega 1-2 s per fornire un frustolo epatico del diametro di 1 mm, lungo 2 cm. Occasionalmente, è necessario ripetere la manovra una seconda volta; se un secondo o un terzo tentativo risultano infruttuosi, si deve eseguire l'ago-biopsia sotto guida ECO o TC. La biopsia ecoguidata eseguita con una pistola per biopsia, che ha un dispositivo a scatto che fa avanzare un ago Trucut modificato, è meno dolorosa e fornisce una resa maggiore. La guida ecografica è particolarmente utile per eseguire prelievi da lesioni focali o per evitare le formazioni vascolari (p. es., gli emangiomi).

Al momento della biopsia, l'inserimento dell'ago permette di valutare la consistenza del parenchima epatico: una sensazione di durezza suggerisce, a esempio, la diagnosi di cirrosi. La biopsia viene sottoposta di routine a esame istopatologico. In casi selezionati possono essere utili l'esame citologico, l'esame colturale e le sezioni al criostato. Nel sospetto di malattia di Wilson si deve misurare il contenuto in rame. L'aspetto macroscopico fornisce alcune informazioni: la frammentazione del pezzo bioptico suggerisce la diagnosi di cirrosi; un fegato steatosico è di color giallo pallido e galleggia nella formaldeide; il carcinoma è biancastro.

La biopsia epatica è una procedura sufficientemente sicura da essere eseguita ambulatorialmente. Dopo la biopsia, il paziente è monitorato per 3-4 h, che rappresentano il periodo durante il quale è più probabile il verificarsi delle complicanze (p. es., l'emorragia intra-addominale, la peritonite biliare, la lacerazione epatica). I pazienti dimessi devono rimanere a non più di un'ora di distanza dall'ospedale, poiché un sanguinamento tardivo si può verificare anche dopo 15 gg. È frequente un lieve fastidio al quadrante superiore destro dell'addome, talvolta irradiato dal diaframma all'apice della spalla, che risponde alla somministrazione di blandi analgesici. La mortalità è bassa, pari allo 0,01%; le complicanze maggiori sono riportate in circa il 2% dei casi.

Le indicazioni alla biopsia percutanea del fegato sono elencate nella Tab. 37-1. La biopsia ecoguidata con ago sottile, rivela la presenza di carcinomi metastatici in almeno il 66% dei casi e può permettere la diagnosi anche se gli altri esami per immagini sono negativi; l'esame citologico del liquido ottenuto con la biopsia fornisce dei risultati positivi in un altro 10% dei casi. I risultati sono meno validi in caso di linfoma e sono scarsamente correlati con l'impressione clinica di interessamento epatico. La biopsia è utile specialmente per evidenziare la TBC e le altre infiltrazioni granulomatose e può chiarire i problemi del fegato trapiantato (lesione ischemica, rigetto, patologia della via biliare, epatite virale).

I limiti della procedura comprendono: (1) la necessità di un istopatologo esperto (molti patologi hanno una scarsa esperienza con gli agoaspirati); (2) gli errori di prelievo (nell'epatite e nelle altre epatopatie diffuse il tessuto prelevato è quasi sempre significativo, ma non altrettanto si verifica nel caso della cirrosi e delle lesioni occupanti spazio);

(3) l'incapacità a differenziare eziologicamente l'epatite (p. es., virale o da farmaci); (4) gli errori occasionali o le incertezze nei casi di colestasi.

Le controindicazioni relative includono la tendenza emorragica o un disturbo della coagulazione (un tempo di protrombina > 3 s rispetto ai valori di controllo [INR > 1,2] nonostante la somministrazione di vitamina K, un tempo di sanguinamento > 10 min), una grave trombocitopenia (50000 ml), una grave anemia, la peritonite, l'ascite di grado elevato, l'ostruzione biliare di grado marcato e l'infezione o un versamento sottofrenico o pleurico destro.

La biopsia epatica transvenosa viene eseguita, utilizzando un Trucut modificato, attraverso un catetere che viene inserito nella vena giugulare interna destra, passa nell'atrio destro e nella vena cava inferiore fino a raggiungere la vena sovraepatica. Da qui l'ago viene sospinto nel parenchima epatico. Con questa tecnica è anche possibile misurare la pressione nella vena sovraepatica e la pressione di incuneamento. Può essere usata anche quando il paziente ha un'importante patologia della coagulazione, sebbene il campione ottenuto sia relativamente piccolo e l'operatore debba essere molto esperto nelle tecniche angiografiche. È una procedura molto ben tollerata e richiede al massimo una modesta sedazione, fatta eccezione per i pazienti che non collaborano. La metodica, in mani esperte, fornisce una quantità di tessuto epatico sufficiente in oltre il 95% dei casi. La percentuale di complicanze è molto bassa: nello 0,2% dei casi si verifica un'emorragia dal punto di ingresso nella capsula epatica. Un centro non ha riportato alcun decesso in oltre 1000 biopsie transvenose eseguite.

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