4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI

43. FARMACI E FEGATO

EPATOTOSSICITÀ CAUSATA DA FARMACI

NECROSI EPATOCELLULARE

La necrosi epatocellulare è concettualmente divisa in tossica diretta e idiosincrasica, anche se questa distinzione può essere artificiosa.

Forma da tossicità diretta: la maggior parte delle epatotossine ad azione diretta produce una necrosi epatica dose-correlata, spesso con effetti anche su altri organi (p. es., i reni). Il danno può presentarsi in varie forme; p. es., il tetracloruro di carbonio e gli idrocarburi correlati causano una grave necrosi nella zona 3 (centrozonale) e una degenerazione grassa; il fosforo induce primariamente un danno nella zona 1 (periportale); l'ingestione di funghi delle varie specie di Amanita causa una necrosi emorragica fatale; la tetraciclina ad alte dosi EV, in special modo durante la gravidanza, produce una diffusa infiltrazione grassa a piccole gocce, con un quadro clinico che ricorda quello dell'epatite.

Il sovradosaggio acuto dell'analgesico non narcotico acetaminofene è diventato un'importante causa di insufficienza epatica fulminante (v. anche Avvelenamento da paracetamolo nel Cap. 263). Dosi superiori ai 10-15 gg o di 4 g/die per parecchi giorni in un adulto causano una deplezione epatica di glutatione, che normalmente inattiva i farmaci legando i metaboliti intermedi potenzialmente tossici. Quando questo meccanismo è saturo, i metaboliti intermedi che rimangono liberi si legano a macromolecole epatiche e producono una necrosi, principalmente nella zona 3 del lobulo; i danni microvascolari sembrano essere un importante meccanismo precoce della lesione.

Il danno epatico spesso non è evidente fino a 2-5 gg dopo l'ingestione di acetaminofene, allorché si sviluppa l'evidenza clinica e biochimica di una necrosi epatocellulare acuta. La mortalità aumenta quando la dose supera i 25 giorni; negli alcolisti, dosi molto più piccole possono essere fatali per l'induzione del P-450 da parte dell'etanolo che aumenta la formazione di metaboliti tossici intermedi, insieme al deficit alimentare del glutatione. L'acetilcisteina, che ripristina i depositi di glutatione, previene la necrosi epatica e può salvare la vita del paziente qualora la terapia inizi entro 10-12 h dall'avvelenamento; un ritardo di oltre 16-20 h rende molto meno efficace il trattamento. L'acetilcisteina non è tossica e può essere somministrata PO (140 mg/kg seguiti da 70 mg/kg q 4 h per 3 gg) o EV (300 mg/kg in 20 h, con il 50% della dose somministrata nei primi 15 min). Recenti evidenze riconoscono il ruolo causale dell'acetaminofene anche nelle lesioni epatiche croniche.

Forma idiosincrasica: i farmaci possono produrre una necrosi epatocellulare acuta, indistinguibile dall'epatite virale dal punto di vista clinico, biochimico e istologico. Questo tipo di reazione sembra essere diverso da quello sopra citato di necrosi tossica ed è generalmente considerato idiosincrasico; comunque, il meccanismo è poco chiaro e probabilmente varia da farmaco a farmaco. Gli agenti lesivi sono numerosi e comprendono l'isoniazide, la metildopa, gli inibitori delle monoaminossidasi, l'indometacina, il propiltiouracile, la fenitoina, il diclofenac e l'anestetico alotano. Di questi, l'isoniazide e l'alotano sono quelli studiati più a fondo.

L'isoniazide causa un'elevazione, lieve e in genere transitoria, delle aminotransferasi in circa il 20% dei pazienti. L'epatite franca si verifica nel'1-2% dei casi e può essere fatale. I soggetti con più di 35 anni e quelli che assumono anche rifampicina sembrano essere i più suscettibili; sebbene l'incidenza dell'epatotossicità sembra sia maggiore con gli acetilatori lenti, il ruolo dello stato di acetilatore è ancora dibattuto. A differenza della maggior parte delle epatiti da farmaci che si manifestano entro alcune settimane dall'inizio dell'assunzione del farmaco, il danno causato dall'isoniazide può comparire anche dopo un anno e quindi la connessione causale può sfuggire. Se non si interrompe la somministrazione del farmaco, si possono sviluppare un'epatite cronica attiva e la cirrosi. È ancora incerto se il danno sia causato da un meccanismo di ipersensibilità o dai metaboliti epatotossici, ma la maggior parte delle evidenze depone per questa seconda ipotesi (v. anche la trattazione degli effetti tossici dell'isoniazide in Profilassi e trattamento della Tubercolosi nel Cap. 157).

La rara epatite indotta da alotano tende a verificarsi dopo una ripetuta esposizione all'anestetico, a intervalli relativamente brevi; una febbre inspiegabile nel postoperatorio, dopo l'esposizione, può costituire un segnale d'allarme. Il meccanismo del danno non è chiaro; possono svolgere un ruolo rilevante la formazione di composti intermedi tossici, l'ipossia cellulare, la perossidazione dei lipidi e i disturbi immunologici. L'obesità sembra essere un fattore di rischio, probabilmente perché i metaboliti dell'alotano si accumulano nel tessuto adiposo. Solitamente l'epatite si sviluppa da alcuni gg a 2 sett. dopo l'esposizione, è preannunciata da febbre ed è spesso grave. Nel distinguerla dall'epatite virale post-trasfusionale vengono in aiuto il più breve periodo di latenza, la negatività dei test sierologici per le epatiti B e C, la presenza occasionale di un'eosinofilia o di un rash cutaneo e, a volte, lievi differenze istologiche. La mortalità è elevata, ma in genere i sopravvissuti guariscono completamente. Il metossiflurano e l'enflurano, anestetici dello stesso gruppo, possono produrre la stessa sindrome.

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