11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA

129. MEDICINA TRASFUSIONALE

COMPLICANZE

Sommario:

Introduzione
REAZIONI EMOLITICHE
    REAZIONE ACUTA EMOLITICA TRASFUSIONALE
      Sintomi e segni
      Profilassi e terapia

    REAZIONE EMOLITICA TRASFUSIONALE TARDIVA

REAZIONI FEBBRILI
REAZIONI ALLERGICHE
SOVRACCARICO CIRCOLATORIO
LESIONE ACUTA POLMONARE
EMBOLIA GASSOSA
TOSSICITÁ DA CITRATO E K+
MALATTIA DEL TRAPIANTO VERSO L'OSPITE
COMPLICANZE DELLA TRASFUSIONE MASSIVA
CONTAMINAZIONE BATTERICA
TRASMISSIONE DI MALATTIE VIRALI
INFEZIONI DI PARASSITI
AFFINITÀ PER L’OSSIGENO


Se compare un evento indesiderato (diverso dall’orticaria localizzata) che sembra essere in rapporto con la trasfusione, questa deve essere interrotta immediatamente, la via venosa dovrebbe essere mantenuta aperta con soluzione salina normale e si deve provvedere a notificare l’accaduto al centro trasfusionale per iniziare un’indagine. L’unità in questione non deve essere riutilizzata e la trasfusione di qualsiasi unità fornita in passato non deve essere iniziata. A meno che la necessità sia urgente, ogni altra trasfusione deve essere ritardata fino a che la causa della reazione non sia stata conosciuta. GR O-negativi devono essere utilizzati se una trasfusione immediata è necessaria prima del completamento delle indagini.

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REAZIONI EMOLITICHE

L’emolisi dei GR del donatore o del ricevente (di solito del primo) durante o dopo una trasfusione può derivare da una incompatibilità ABO/ Rh, da incompatibilità plasmatica, da GR emolizzati o fragili (p. es., per sovrariscaldamento del sangue conservato o per contatto con inappropriate soluzioni EV) o iniezioni di soluzioni non isotoniche. La reazione è gravissima quando i GR di donatore incompatibile sono emolizzati da un anticorpo nel plasma del ricevente.

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REAZIONE ACUTA EMOLITICA TRASFUSIONALE

L’incompatibilità ABO è la più frequente causa di reazione acuta emolitica trasfusionale (RAET). Anticorpi contro antigeni di gruppo diversi da quelli ABO possono anche causare la RAET.

Un’errata etichettatura del campione pretrasfusionale al momento della raccolta o la mancata identificazione del corretto ricevente immediatamente prima della trasfusione sono le cause usuali, non un errore del laboratorio. Quindi, per indagare una sospetta RAET, uno dei primi test da eseguire è il ricontrollo degli identificativi del campione e del paziente. Se c’è qualsiasi confusione concernente il tipo ABO di un paziente, dovrebbero essere trasfusi concentrati di GR di tipo O, fino a quando la discrepanza non sia stata risolta.

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Sintomi e segni

La gravità della RAET dipende dal grado di incompatibilità, dalla quantità di sangue somministrato, dalla velocità di somministrazione e dallo stato funzionale dei reni, del fegato e del cuore. Una fase acuta di solito si sviluppa in  1 ora dall’inizio della trasfusione, ma può verificarsi tardivamente, durante o immediatamente dopo la trasfusione. L’esordio è in genere acuto; il paziente può lamentare malessere e ansietà oppure può non avvertire alcun disturbo. Può accusare difficoltà respiratoria, febbre e brividi, arrossamento al volto e forte dolore soprattutto nella regione lombare. Possono comparire i segni dello shock, con polso debole e frequente, cute fredda e sudata, dispnea, caduta della PA, nausea e vomito. Può comparire Hb libera nel plasma e nelle urine; in maniera corrispondente, i livelli di aptoglobina sono molto bassi o non misurabili. Seguono innalzamento della bilirubina sierica e ittero clinico.

Le RAET possono anche manifestarsi nel corso di anestesia generale; in tal caso la quasi totalità dei sintomi è mascherata. L’unico segno può essere rappresentato da un’emorragia irrefrenabile dalla sede dell’incisione chirurgica o dalle mucose, causata da una concomitante sindrome da coagulazione intravascolare disseminata.

Dopo la fase acuta si possono avere diversi sviluppi: nessun disturbo ulteriore; oliguria transitoria con lieve iperazotemia, seguita da un completo recupero della funzione renale; oppure oliguria più persistente e quindi, talora, anuria e uremia, con morte in 5-14 giorni, se il paziente non viene precocemente trattato. La prognosi dipende soprattutto dalla gravità della reazione. La guarigione è in genere segnata dal ripristino della diuresi con eliminazione delle scorie azotate trattenute. È raro un danno renale consistente e irreversibile. Una prolungata oliguria e lo shock sono cattivi segni prognostici.

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Profilassi e terapia

La RAET è prevenuta nel migliore dei modi attraverso un attento controllo della compatibilità e della correttezza del componente ematico così come dell’identificazione del ricevente. Se è sospettata una RAET, la trasfusione deve essere sospesa e iniziata immediatamente una terapia di supporto.

L’obiettivo della terapia iniziale è quello di raggiungere e mantenere una adeguata PA e un buon flusso renale. Una fluidoterapia iniziale consiste nella somministrazione EV di soluzione fisiologica. Un nefrologo deve essere consultato il più tempestivamente possibile, particolarmente se non si verifica alcuna risposta ai diuretici nelle 2-3 ore successive all’inizio della terapia. Questo può indicare una necrosi tubulare acuta e un’ulteriore terapia con liquidi e diuretici può essere controindicata.

L’iniziale terapia diuretica consiste nella furosemide, 40-80 mg (da 1 a 2 mg/kg nei bambini), poi modificata in base alla risposta. Nel primo giorno deve essere mantenuto un flusso urinario > 100 ml/h. Il mannitolo, un diuretico osmotico, può essere somministrato in bolo EV alla dose di 20 g (p. es., 100 ml/min di una soluzione al 20%) e continuato a 10-15 ml/min fino a che 1000 ml (200 g) non siano stati infusi.

Farmaci antiipertensivi devono essere somministrati con cautela e farmaci pressori che riducono il flusso ematico renale sono controindicati. Tipicamente va somministrata dopamina a una dose di 2-5 mg/kg/min.

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REAZIONE EMOLITICA TRASFUSIONALE TARDIVA

Occasionalmente, un paziente che si è sensibilizzato a un antigene eritrocitario ha livelli anticorpali molto bassi e test pretrasfusionali negativi. Dopo aver ricevuto una trasfusione con GR che esprimono questo antigene, una risposta anamnestica può manifestarsi (di solito in 1-2 settimane) in grado di provocare una reazione emolitica trasfusionale tardiva (RETT). La RETT è caratterizzata da una caduta dell’Htc, febbre e modesto aumento della bilirubina. La RETT manifesta raramente la notevole e clinicamente rilevante emolisi presente nella RAET; spesso decorre misconosciuta e generalmente si autolimita. In genere, c’è distruzione delle sole cellule trasfuse (con l’antigene); quindi, la caratteristica clinica può essere rappresentata da un’inspiegabile caduta dell’Hb ai livelli pretrasfusionali e che si manifesta 1-2 settimane dopo la trasfusione.

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REAZIONI FEBBRILI

Reazioni febbrili sono caratterizzate da brividi, febbre con aumento della temperatura corporea di  1°C, brividi e talora cefalea e dolore lombare. Poiché la febbre e i brividi sono anche segni prodromici di una grave reazione emolitica trasfusionale, tutte le reazioni febbrili debbono essere investigate.

Anticorpi diretti contro l’HLA leucocitario può comparire in individui politrasfusi o in multipare. Questi Ac, nelle trasfusioni successive, possono reagire con i GB con provocazione di disturbi durante o poco dopo la trasfusione. Quando recidivano i disturbi in seguito alla somministrazione di sangue che per il resto è perfettamente compatibile, nelle trasfusioni successive bisogna usare GR particolarmente filtrati per rimuovere i GB.

Talora, reazioni febbrili possono essere generate da citochine rilasciate dai GB durante la conservazione, particolarmente nei concentrati piastrinici. La rimozione dei GB prima della conservazione previene questa complicanza. Risposte con modesta febbre di solito non necessitano di nient’altro che di un antipiretico (p. es., acetaminofene) prima della futura trasfusione. Circa un ricevente su otto avrà esperienza di una seconda reazione febbrile. I riceventi che sperimentano più di una reazione febbrile devono essere trattati con prodotti ematici depleti di GB.

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REAZIONI ALLERGICHE

Sono frequenti le reazioni allergiche del paziente verso un componente ignoto del sangue del donatore, di solito dovute ad allergeni presenti nel plasma del donatore o, meno spesso, ad anticorpi provenienti da un donatore allergico. Queste reazioni si manifestano in genere con una modesta sintomatologia caratterizzata da orticaria, edema, talora vertigine e cefalea, durante o subito dopo la trasfusione. Sintomi meno frequenti sono la dispnea, i rumori respiratori da broncospasmo e l’incontinenza secondaria a uno spasmo generalizzato della muscolatura liscia. Talora si può avere anafilassi.

In un paziente con una storia di allergie o con un precedente episodio di reazione trasfusionale allergica è opportuno somministrare un antistaminico come profilassi appena prima o all’inizio della trasfusione (p. es., difenidramina 50 mg PO oppure EV). I farmaci non devono mai essere diluiti con il sangue. Se si manifesta una reazione allergica, bisogna sospendere immediatamente la trasfusione. Un antistaminico (p. es, difenidramina, 50 mg EV) controlla di norma i casi di moderata gravità e può essere ripresa la trasfusione Nei casi più gravi (p. es., anafilassi in un paziente con deficit di IgA) è necessario ricorrere alla adrenalina 0,5-1 ml di una soluzione 1:1000 SC (o, in situazioni di estrema gravità, 0,05-0,2 ml di una soluzione 1:1000 diluiti a 1:10000 e iniettati lentamente EV). A volte è occasionalmente necessario somministrare un cortisonico (p. es., desametazone fosfato sodico 4-20 mg EV) e, iniziata un’indagine per le reazioni trasfusionali, non deve essere somministrata un’ulteriore trasfusione prima che l’indagine sia completata.

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SOVRACCARICO CIRCOLATORIO

Quando la riserva cardiaca è carente, p. es., nelle malattie cardiache accompagnate da anemia, le trasfusioni possono aumentare la pressione venosa e quindi provocare insorgenza di un’insufficienza cardiaca acuta.

Il sangue intero è controindicato. Un aumento della pressione venosa può essere evitato tramite infusione di GR a bassa velocità. Bisogna tenere sotto controllo il paziente per rilevare immediatamente i segni dell’aumento della pressione venosa e della congestione polmonare. Se si manifesta un’insufficienza cardiaca acuta, bisogna interrompere la trasfusione e iniziare immediatamente il trattamento dell’insufficienza cardiaca acuta (v. la descrizione del trattamento dell’edema polmonare acuto nel Cap. 203).

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LESIONE ACUTA POLMONARE

Una lesione acuta polmonare legata alla trasfusione (LAPT) rappresenta un’insolita complicanza causata da anticorpi anti-GB nel plasma del donatore che agglutinano e degranulano i GB del ricevente nel polmone. Si sviluppano sintomi respiratori acuti e un rx del torace presenta un caratteristico aspetto di edema polmonare non cardiogeno. Una terapia di supporto generale porta, di solito, alla ripresa senza sequele permanenti.

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EMBOLIA GASSOSA

La trasfusione di una grande quantità di aria nelle vene è potenzialmente pericolosa e può provocare la formazione di bolle nel sangue e anche nelle cavità cardiache, con conseguente deficit di pompa e, quindi, insufficienza cardiaca. L’embolia gassosa complica soprattutto le infusioni di sangue sotto pressione, ma può verificarsi anche quando vengono cambiati i set EV o a seguito di erronea apertura di fori nelle sacche di plastica che contengono il sangue. La terapia consiste nel far voltare il paziente sul lato sinistro, con la testa abbassata, per permettere all’aria di uscire lentamente dall’atrio destro.

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TOSSICITÁ DA CITRATO E K+

Sia la tossicità da citrato che da K+ non sono generalmente preoccupanti anche in caso di trasfusioni massive; tuttavia, la tossicità può essere amplificata in presenza di ipotermia. Pazienti con insufficienza epatica possono avere un’alterata capacità di metabolizzare il citrato. Pazienti con malattia renale cronica possono avere elevati livelli di K+ se trasfusi con sangue conservato > 1 settimana (l’accumulo di K+ è generalmente insignificante nel sangue conservato < 1 settimana). L’emolisi meccanica durante la trasfusione può far elevare i valori di K+.

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MALATTIA DEL TRAPIANTO VERSO L'OSPITE

La malattia del trapianto verso l’ospite (Graft Versus Host Disease, GVHD) è causata di solito dall’innesto di linfociti immunocompetenti provenienti da un midollo osseo trapiantato in un paziente immunodepresso (v. Cap. 149). Tuttavia, anche un piccolo numero di linfociti vitali presenti nel sangue o in componenti del sangue da trasfondere può dividersi spontaneamente e causare la GVHD nei pazienti immunodepressi. Una prevenzione efficace per questi pazienti a rischio consiste nell’irradiare tutte le componenti ematiche che si intendono trasfondere.

La GVHD può verificarsi occasionalmente in pazienti immunocompetenti se essi hanno ricevuto sangue da un donatore omozigote per l’aplotipo HLA (di solito un parente stretto) per il quale il paziente è eterozigote. L’irradiazione preventiva è quindi necessaria se il sangue da trasfondere si ottiene da un parente di primo grado. È anche richiesta quando si trasfondono componenti HLA-correlati, escluse le cellule staminali.

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COMPLICANZE DELLA TRASFUSIONE MASSIVA

La trasfusione massiva può essere definita la trasfusione di  1 volume di sangue nelle 24 ore (p. es., 10 U di sangue intero in un uomo adulto di 70 kg). Quando un paziente riceve sangue conservato in così grande volume, il sangue proprio del paziente può in pratica subire una diluizione tale, da determinare la permanenza di solo 1/3 del sangue originale. Si può quindi verificare emodiluizione.

In casi non complicati da prolungata ipotensione o da CID, una trombocitopenia da diluizione è la più probabile complicanza. Il sangue conservato non contiene piastrine pienamente funzionali. Possono manifestarsi sanguinamenti microvascolari (stillicidio anomalo e sanguinamenti continui da superfici di tagli profondi). Da sei a otto concentrati piastrinici sono in genere sufficienti per correggere tali sanguinamenti in un adulto. Poiché i fattori coagulativi non sono significativamente ridotti, il PFC non è necessario. Una complicanza simile causata da piastrine disfunzionali piuttosto che da trombocitopenia può manifestarsi nei pazienti mantenuti in circolazione extracorporea per > 2 ore; se si manifesta sanguinamento microvascolare, le piastrine non devono essere infuse fino a quando la pompa non venga fermata.

L’ipotermia dovuta alla rapida trasfusione di notevoli quantità di sangue freddo può causare aritmia o arresto cardiaco. L’ipotermia è evitata usando un dispositivo termico EV specificamente ideato per riscaldare delicatamente il sangue. Altri mezzi per riscaldare il sangue sono controindicati a causa del possibile danneggiamento dei GR e della possibile emolisi.

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CONTAMINAZIONE BATTERICA

La contaminazione batterica può verificarsi per una, possibile, mancanza di sterilità durante la raccolta o per una transitoria batteriemia del donatore. La refrigerazione dei GR di solito limita la crescita batterica tranne quella degli organismi criofili quali la Yersinia sp, che può produrre livelli dannosi di endotossina. Tutte le unità di GR sono ispezionate quotidianamente e prima della seduta al fine di identificare una crescita batterica, evidenziata da una cambiamento cromatico. Poiché i concentrati piastrinici sono conservati a temperatura ambiente, essi presentano un aumentato rischio potenziale di crescita batterica e produzione di endotossina, se contaminati. Per minimizzare la crescita, la conservazione è limitata a 5 giorni.

Raramente, la sifilide è trasmessa nel sangue fresco. La conservazione del sangue per  96 ore a 4-10 °C elimina la spirocheta. Sebbene le regole americane richiedano una reazione sierologica per la lue sul sangue del donatore, i donatori infettivi sono spesso sieronegativi poiché il test non rivela lo stato di presenza della spirocheta nel sangue. Riceventi di unità infette possono sviluppare il caratteristico rash secondario.

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TRASMISSIONE DI MALATTIE VIRALI

L’epatite può manifestarsi dopo trasfusione di qualsiasi emoderivato. Il rischio è stato significativamente ridotto dai test diagnostici per malattie virali, dal processo di inattivazione virale e dall’uso di concentrati di fattore ricombinante. L’albumina sierica e le frazioni di proteine plasmatiche che sono state trattate con il calore durante la loro preparazione sono, con rare eccezioni, non infettive. I test di laboratorio per l’epatite che sono richiesti per tutti i donatori includono l’antigene di superficie dell’epatite B, l’anticorpo per il "core" dell’epatite B, l’anticorpo per l’epatite C e il livello dell’ALT sierica. I rischi stimati di risultati falsi negativi nei test del sangue del donatore sono 1:63000 per l’epatite B e 1:103000 per l’epatite C. Poiché la sua fase viremica transitoria e la concomitante malattia clinica precludono con buona probabilità la donazione di sangue, l’epatite A (epatite infettiva) non è una significativa causa di epatite associata alle trasfusioni.

L’infezione da HIV negli USA è quasi interamente HIV-1, sebbene sia interessato anche il HIV-2. Sono richiesti i test per la rivelazione degli anticorpi contro entrambe le linee. È anche richiesto per tutti i donatori il test per l’antigene p24 dell’HIV. Inoltre, ai donatori si richiedono informazioni circa comportamenti ad alto rischio per l’infezione HIV. L’HIV-0 non è stato identificato tra i donatori di sangue; test per la ricerca di anticorpi anti HIV sono stati messi a punto per rivelare questa linea. Il rischio stimato di un risultato falso negativo nel testare il sangue di un donatore è uguale a 1:676000. Si sono verificati pochi casi in cui i pazienti sono stati infettati da sangue di donatori nella fase precoce dell’infezione, fase sieronegativa.

Il citomegalovirus (CMV) può essere trasmesso attraverso i GB del sangue trasfuso. Poiché è senza conseguenze o con effetti modesti, il test per la presenza di anticorpi anti-CMV non è richiesto per il donatore. Tuttavia, il CMV può essere responsabile di una malattia grave e mortale nei pazienti immunodepressi, che devono possibilmente ricevere prodotti ematici CMV-negativi, forniti da donatori negativi per anticorpi anti-CMV, oppure prodotti depleti di GB tramite filtrazione (nei quali un numero al 99,9% dei GB sono stati rimossi). Il PFC, che non contiene praticamente alcun GB intatto, non è considerato un rischio per la trasmissione del CMV.

Il virus linfotropo umano tipo I (HTLV-I), che può causare nell’adulto il linfoma/leucemia a cellule T, la mielopatia HTLV-I-associata e la paraparesi spastica tropicale, causa una sieroconversione post-trasfusionale in alcuni riceventi. Tutto il sangue dei donatori è testato per anticorpi contro l’HTLV-I e l’HTLV-II. Il rischio stimato di risultati falsi negativi nel testare il sangue dei donatori è uguale a 1:641000.

Né la malattia di Creutzfeldt-Jakob né l’encefalite spongiforme bovina sono mai state riportate essere trasmesse tramite trasfusione, ma la pratica corrente preclude la donazione a una persona che ha ricevuto l’ormone della crescita di origine umana o un trapianto di dura madre o che ha un membro della famiglia con la malattia di Creutzfeldt-Jacob.

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INFEZIONI DI PARASSITI

La malaria viene facilmente trasmessa attraverso GR infetti. Molti donatori sono inconsapevoli di avere la malaria: alcune varietà di questa malattia possono infatti rimanere latenti ed essere trasmesse anche a distanza di 10-15 anni. La conservazione non rende affatto più sicuro il sangue. Bisogna chiedere a tutti i candidati alla donazione del sangue se hanno mai sofferto di malaria o se sono vissuti in zone dove l’affezione è endemica. Vengono sospesi per 3 anni tutti i donatori che hanno avuto la malaria o che sono immigrati o cittadini provenienti da paesi nei quali la malaria è considerata endemica; viaggiatori verso zone endemiche sono rinviati di un anno. La Babesia, si è resa responsabile di alcuni casi di infezione post-trasfusionale.

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AFFINITÀ PER L’OSSIGENO

Il sangue più a lungo conservato presenta una riduzione del 2,3-difosfoglicerato (DPG), che determina un aumento di affinità per l’O2 e un minor rilascio di O2 ai tessuti. C’è scarsa evidenza che la carenza di DPG sia clinicamente significativa, eccetto che nelle exanguinotrasfusioni nei neonati eritroblastotici e in alcuni pazienti con grave scompenso cardiaco.

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