11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA

140. DISCRASIE PLASMACELLULARI

Gruppo di disordini clinicamente e biochimicamente diversi di eziologia sconosciuta, caratterizzati da una sproporzionata proliferazione di un clone di cellule B e dalle presenza di un’immunoglobulina strutturalmente ed elettroforeticamente omogenea (monoclonale) o da una subunità polipeptidica nel siero o nelle urine.

MIELOMA MULTIPLO

(Mieloma plasmacellulare; mielomatosi)

Malattia neoplastica progressiva caratterizzata da plasmocitosi midollare (tumore plasmacellulare) e iperproduzione di una immunoglobulina monoclonale intatta (IgG, IgA, IgD o IgE) o della proteina di Bence Jones (catene leggere monoclonali k o l).

Sommario:

Introduzione
Eziologia e patogenesi
Anatomia patologica
Sintomi e segni
Diagnosi
Prognosi e terapia

Il mieloma multiplo è spesso associato a lesioni osteolitiche multiple, ipercalcemia, anemia, danno renale e aumentata suscettibilità alle infezioni batteriche; la produzione di immunoglobuline normali è difettosa. L’incidenza è stimata 2-3/ 100000 persone, il rapporto maschio-femmina è 1,6:1 e la maggior parte dei pazienti è > 40 anni. La prevalenza nella popolazione di colore è doppia che nella popolazione bianca.

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Eziologia e patogenesi

L’eziologia è sconosciuta. Una relazione è suggerita dal reperto del virus erpetico-associato al sarcoma di Kaposi nelle cellule dendritiche in coltura provenienti dai pazienti con mieloma. Questo virus codifica per un omologo dell’interleuchina-6; l’interleuchina-6 umana promuove la crescita del mieloma e stimola il riassorbimento dell’osso.

La specifica cellula di origine è sconosciuta. L’analisi delle sequenze geniche immunoglobuliniche e i marker cellulari di superficie suggeriscono una trasformazione maligna di un centro cellulare post-germinativo.

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Anatomia patologica

Si sviluppano una diffusa osteoporosi o discrete lesioni osteolitiche, di solito nella pelvi, alla colonna vertebrale, alle coste e al cranio. Le lesioni sono dovute alla sostituzione del normale tessuto osseo da parte di tessuto neoplastico plasmacellulare oppure a un fattore secreto dalle plasmacellule maligne (fattore di attivazione degli osteoclasti). Le lesioni osteolitiche sono di solito multiple, ma occasionalmente sono rappresentate da masse solitarie intramidollari. I plasmocitomi extraossei sono molto rari, ma si possono presentare in tutti gli organi, soprattutto nel primo tratto dell’apparato respiratorio.

I plasmocitomi producono IgG nel 55% dei pazienti mielomatosi e IgA in circa il 20%; il 40% dei portatori di mieloma IgG o IgA ha anche proteinuria di Bence Jones. Le catene leggere del mieloma sono state riscontrate nel 15-20% dei pazienti; in questi casi le plasmacellule secernono soltanto catene leggere monoclonali libere (proteine di Bence Jones k o l) e all’elettroforesi solitamente non si evidenzia la proteina M nel siero. I pazienti con la forma micromolecolare tendono ad avere una maggiore incidenza di lesioni osteolitiche, ipercalcemia, insufficienza renale e amiloidosi rispetto alle altre varietà di mieloma. Il mieloma IgD rappresenta circa l’1% dei casi: i livelli sierici della paraproteina sono spesso relativamente bassi ed è tipica una marcata proteinuria di Bence Jones (di tipo l nell’80-90% dei casi). Sono stati descritti solo pochi casi di mieloma IgE. Il mieloma non secernente (nessuna componente M identificabile nel siero o nelle urine) è molto raro (< 1% dei casi).

Nel 10% dei pazienti, specialmente in quelli con proteinuria di Bence Jones, sono presenti depositi di amiloide (v. nel Cap. 18).

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Sintomi e segni

I sintomi più frequenti all’esordio sono: dolore osseo persistente (spesso al torace o in regione lombare), che non ha alcuna altra causa apparente, insufficienza renale e infezioni batteriche ricorrenti. Sono frequenti le fratture patologiche e lo schiacciamento vertebrale, che può determinare compressione midollare e paraplegia. L’insufficienza renale (rene mielomatoso) può essere causata dall’estesa formazione di cilindri all’interno dei tubuli renali, dall’atrofia delle cellule epiteliali tubulari e dalla fibrosi interstiziale. In alcuni pazienti predomina l’anemia accompagnata talvolta da debolezza e facile stancabilità, mentre in alcuni casi spiccano i sintomi da iperviscosità (v. Macroglobulinemia,sopra). La linfoadenomegalia e l’epatosplenomegalia sono rare.

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Diagnosi

Nel paziente con proteina M nel siero, uno dei tre criteri che seguono permette di porre diagnosi di mieloma: strati o agglomerati di plasmacellule nel midollo, lesioni osteolitiche (senza la presenza di carcinoma metastatico o malattia granulomatosa) o proteinuria di Bence Jones > 300 mg/ 24 ore

Gli esami ematologici mostrano un’anemia normocromica-normocitica con formazione di "rouleaux". La conta dei GB e delle piastrine è normale. La VES è spesso notevolmente aumentata con valori talora > 100 mm/h, così pure l’azotemia, la creatininemia e l’uricemia. In alcuni pazienti è presente talora un basso "gap anionico". In circa il 10% dei pazienti si rivela ipercalcemia. Il livello sierico della b2-microglobulina è frequentemente elevato ed è correlato con la massa cellulare mielomatosa.

La proteinuria è frequente a causa dell’eccessiva sintesi e secrezione di catene leggere monoclonali libere. La determinazione della Bence Jones nelle urine con le cartine reagenti non è attendibile; il test di solubilità al calore, d’altra parte, può trarre in inganno; per uno "screening" di base sono invece utili i test con l’acido solfosalicilico e con l’acido toluensulfonico. Nel mieloma raramente c’è albuminuria significativa; tale reperto suggerisce l’esistenza di amiloidosi concomitante o malattia da deposito di catene leggere.

Nell’80% circa dei casi l’elettroforesi mostra un’omogenea banda M stretta; la mobilità del picco M può riscontrarsi dalla regione a2 fino a quella g lenta. Il restante 20% dei pazienti sintetizza soltanto catene leggere monoclonali libere (proteine di Bence Jones) e l’elettroforesi proteica mette in evidenza soltanto un’ipogammaglobulinemia senza picco M. In quasi tutti i pazienti con mieloma a catene leggere è comunque possibile dimostrare all’elettroforesi proteica delle urine concentrate la presenza di un picco M omogeneo. Attraverso l’immunoelettroforesi o immunofissazione, che utilizza antisieri monospecifici, è possibile identificare, nel siero o nelle urine, la classe immunoglobulinica di appartenenza del picco M.

La rx dello scheletro può mostrare le tipiche immagini osteolitiche a stampo oppure un’osteoporosi diffusa. Dal momento che lesioni di tipo osteoblastico sono rare, la scintigrafia ossea con radionuclidi solitamente non è utile per la diagnosi. La RMN può essere utile, particolarmente nel predire l’esito nei pazienti con malattia in stadio iniziale.

L’aspirato midollare e la biopsia ossea generalmente mostrano un alto numero di plasmacellule in diversi stadi di maturazione, ma, raramente, il numero di cellule normali è normale. La morfologia delle plasmacellule non ha alcun rapporto con la classe delle immunoglobuline sintetizzate. Il mieloma è una malattia le cui cellule si riuniscono a focolaio, per cui, anche se in alcuni casi il reperto di plasmacellule a strati o ad ammassi permette di fare diagnosi, molto spesso inizialmente c’è soltanto una modesta plasmocitosi aspecifica.

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Prognosi e terapia

Anche se la malattia ha un andamento evolutivo, con un trattamento ottimale è possibile migliorare la qualità e la durata della vita. Circa il 60% dei pazienti trattati mostra segni oggettivi di miglioramento; la sopravvivenza media è di circa 2,5-3 anni, ma questo varia proporzionalmente all’estensione della malattia al momento della diagnosi, alla disponibilità di adeguati mezzi di supporto e alla risposta ai farmaci. Sono segni prognostici sfavorevoli gli alti livelli di proteina M nel siero o nelle urine, valori sierici elevati di b2-microglobulina, lesioni ossee diffuse, l’ipercalcemia, l’anemia e l’insufficienza renale.

Il mantenimento della deambulazione è vitale per la protezione dall’ipercalcemia e la qualità dell’osso. Il dolore è alleviato abbastanza dagli analgesici e dall’irradiazione a dosi palliative (18-24 Gy) dei segmenti scheletrici interessati dalla malattia. Tuttavia, la radioterapia può alterare la capacità del paziente di poter ricevere dosi citotossiche di chemioterapia sistemica. Tutti i pazienti devono ricevere il pamidronato (90 mg/ mese EV), che riduce le complicanze scheletriche e riduce il dolore osseo e la necessità di assumere analgesici. Questo trattamento può anche migliorare la sopravvivenza.

È estremamente importante idratare il paziente: la disidratazione, in un paziente con proteinuria di Bence Jones, prima dell’infusione endovenosa del tracciante, può scatenare una insufficienza renale acuta con oliguria. Con una buona idratazione (diuresi > 2000 ml/die), è possibile prevenire una compromissione grave della funzione renale anche in pazienti che hanno una proteinuria di Bence Jones prolungata e massiva (10-30 g/die).

Il prednisone PO alle dosi di 60-80 mg/die è utile per il controllo dell’ipercalcemia; nei casi refrattari, il pamidronato può essere utile (v. sopra). Sebbene la maggior parte dei pazienti non richieda allopurinolo, una dose di 300 mg/die PO controlla l’iperuricemia. Gli antibiotici sono indicati nelle infezioni batteriche in atto, mentre ne è sconsigliabile l’uso profilattico. La maggior parte dei pazienti presenta infezioni solo durante la neutropenia indotta dalla chemioterapia. In alcuni studi è stato dimostrato che la somministrazione, profilattica, EV delle immunoglobuline possa ridurre il rischio di infezioni. Tuttavia, deve essere riservata a pazienti selezionati con infezioni ricorrenti. Nell’anemia sintomatica sono indicate le trasfusioni di concentrati di GR. L’eritropoietina ricombinante è molto efficace nel far regredire l’anemia, specialmente nei pazienti con disfunzione renale; tuttavia il suo uso deve essere limitato ai pazienti per i quali la chemioterapia riduce l’Hb.

Chemioterapia: la risposta alla chemioterapia è indicata dalla riduzione nel siero o nelle urine della proteina M. La chemioterapia convenzionale raramente elimina la proteina M; tuttavia, un miglioramento obiettivo (una riduzione  50% nel siero o nelle urine della proteina M) spesso segue l’uso do alchilanti orali (melfalan o ciclofosfamide). La sopravvivenza media può aumentare anche di 3-7 volte.

Il prednisone (1 mg/kg/die per 4 giorni q 4-6 settimana) o un altro glucocorticoide deve essere utilizzato unitamente al melfalan o alla ciclofosfamide. I glucocorticoidi possono essere usati da soli per trattare pazienti con mieloma diagnosticato de novo.

Il melfalan può essere somministrato in modo intermittente (0,25 mg/kg/die per 4 gg q 4-6 sett.). Circa 2 sett. dopo la somministrazione, una conta di GB deve essere effettuata al nadir; se la conta dei GB è > 3000/ml, la dose può essere inadeguata. La risposta al melfalan può migliorare se a esso si associa il prednisone (1 mg/kg/die per 4 gg q 6 sett.). La ciclofosfamide (200 mg/die per 5-7 gg, poi 50-100 mg/die per il mantenimento) è ugualmente efficace. Poiché questi farmaci provocano leucopenia e piastrinopenia, la conta dei GB e delle piastrine deve essere strettamente monitorizzata.

In una minoranza dei pazienti rispondenti si può sviluppare una leucemia acuta non linfoblastica o una mielodisplasia che possono essere correlate al periodo di esposizione ad agenti mutageni (alchilanti o radiazioni). Quindi, bisogna avere cura che i pazienti ricevano la terapia per il minor tempo necessario. La continuazione della terapia oltre questo punto non ha dimostrato migliorare la sopravvivenza.

La terapia ad alte dosi, cioè, l’uso di regimi polichemioterapici più aggressivi che necessitano di supporto ematopoietico, appare promettente, sebbene è stato difficile dimostrare il miglioramento della sopravvivenza globale. Poiché i farmaci alchilanti devono essere evitati nella terapia ad alte dosi (danneggiano le cellule staminali ematopoietiche), devono essere prese in considerazione prima del trapianto la vincristina per infusione e la doxorubicina con desametasone orale. In uno studio, è stato dimostrato che la terapia ad alte dosi, seguita da trapianto autologo, in pazienti che hanno ricevuto previamente diversi cicli di chemioterapia convenzionale, migliori i tassi di remissione e la sopravvivenza.

Il supporto di cellule staminali periferiche autologhe ha largamente sostituito il trapianto di midollo per i pazienti con mieloma sottoposti a chemioterapia mieloablativa. Questa procedura deve essere considerata in pazienti < 70 anni con malattia stabile o responsiva dopo trattamento con diversi cicli di chemioterapia convenzionale. Tuttavia, la mortalità correlata al trattamento è elevata.

La terapia di mantenimento è stata tentata con farmaci non chemioterapici, incluso l’interferone, che prolunga la remissione ma ha un piccolo effetto sulla sopravvivenza globale. I glucocorticoidi sono in corso di valutazione.

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