11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA

143. IMMUNOLOGIA DEI TUMORI

IMMUNOTERAPIA

Sommario:

Introduzione
IMMUNTERAPIA PASSIVA CELLULARE
IMMUNOTERAPIA PASSIVA UMORALE
IMMUNOTERAPIA SPECIFICA ATTIVA
IMMUNOTERAPIA ASPECIFICA

È opportuno considerare l’immunoterapia come facente parte di un argomento più ampio, vale a dire la terapia biologica, ovvero l’utilizzazione dei modificatori della risposta biologica (BRM). Queste sostanze possono agire attraverso uno o più meccanismi per: (1) stimolare la risposta antitumorale dell’ospite mediante l’incremento del numero delle cellule effettrici o attraverso la produzione di uno o più mediatori solubili (p. es., linfochine); (2) ridurre i meccanismi immunosoppressori dell’ospite; (3) alterare le cellule tumorali per aumentare la loro immunogenicità o renderle più sensibili ai danni dei processi immunologici; e (4) migliorare la tolleranza dell’ospite ai farmaci citotossici o alla radioterapia (p. es., stimolando la funzione del midollo osseo con il fattore di crescita stimolante le colonie granulocitarie o altri fattori ematopoietici). I primi tre meccanismi costituiscono una manipolazione dei processi immunologici e sono considerati immunoterapia. Un BRM può avere effetti immunologici e non immunologici; p. es., l’a-IFN aumenta l’espressione degli ATA sulle cellule tumorali e l’attività delle cellule NK, ma inibisce anche la proliferazione delle cellule tumorali direttamente attraverso meccanismi non immunologici.

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IMMUNOTERAPIA PASSIVA CELLULARE

Immunoterapia cellulare passiva è un termine utilizzato quando cellule effettrici specifiche, attivate, sono direttamente infuse al paziente e non sono indotte o espanse nell’organismo del paziente. I primi tentativi riguardano la reinfusione dei linfociti del paziente stesso dopo espansione in vitro mediante esposizione all’IL-2 (fattore di crescita delle cellule T). Queste cellule sono definite cellule killer attivate da linfochine (cellule LAK). A volte le cellule sono esposte prima alla fitoemoagglutinina, un mitogeno linfocitario, per permettere l’espansione di una grande varietà di cellule linfoidi periferiche. Questi approcci sono un’estensione degli studi nei quali i linfociti allogenici erano trasfusi in maniera crociata tra pazienti affetti da tumore dopo un tentativo di immunizzazione mediante trapianti di tumore. La disponibilità di grandi quantità di IL-2 ricombinante ha reso possibile la tecnica delle cellule LAK più IL-2 e in alcuni pazienti con melanomi e carcinomi renali si sono osservate risposte obiettive.

Poiché l’infusione di IL-2 dopo quella delle cellule LAK è associata a una tossicità significativa, sono allo studio modifiche della metodica. Un approccio è quello di isolare ed espandere la popolazione di linfociti che hanno infiltrato il tumore in vivo e possono avere pertanto una specificità tumorale (definiti linfociti infiltranti il tumore [TIL]). L’infusione di TIL permette di usare livelli più bassi di IL-2 con uguale o maggiore efficacia antitumorale. I TIL possono anche essere modificati geneticamente in modo da esprimere molecole con capacità tumoricida per aumentare la loro citotossicità.

Un’altra modifica dell’immunità cellulare passiva è l’utilizzo concomitante di interferon, che aumenta l’espressione degli antigeni MHC e degli ATA sulle cellule tumorali, aumentando quindi il numero di cellule tumorali uccise da parte delle cellule effettrici infuse. Tuttavia, le remissioni sono state rare.

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IMMUNOTERAPIA PASSIVA UMORALE

L’uso di anticorpi antitumorali come forma di immunoterapia passiva (in contrasto con la stimolazione attiva del sistema immunitario dell’ospite) risale ad almeno un secolo fa. La tecnologia degli ibridomi ha incrementato le potenzialità di questo approccio all’immunoterapia nell’uomo poiché permette di individuare e di produrre in vitro anticorpi monoclonali diretti contro varie neoplasie nell’uomo e negli animali.

Il siero antilinfocitario è stato impiegato nella leucemia linfoide cronica e nei linfomi a cellule B e T, ottenendo una temporanea riduzione del numero dei linfociti o del volume dei linfonodi. In alcuni studi con anticorpi monoclonali murini diretti contro vari antigeni associati a melanoma maligno e linfomi sono state osservate risposte significative; al momento anticorpi non di origine umana ma "resi umani" sono usati per prevenire l’insorgere di una reazione immune contro l’immunoglobulina del topo.

Un’altra modifica è la coniugazione di anticorpi monoclonali antitumore con tossine (p. es., ricino, tossina difterica) o con radioisotopi, in maniera che gli anticorpi possano liberare questi agenti tossici specificamente sulle cellule tumorali. Un nuovo approccio, con entrambi i meccanismi cellulare e umorale, è lo sviluppo di anticorpi bispecifici, comprendenti un anticorpo che reagisce contro la cellula tumorale legato a un secondo anticorpo che reagisce con una cellula effettrice citotossica, così da rendere quest’ultima più specifica per il tumore.

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IMMUNOTERAPIA SPECIFICA ATTIVA

Gli approcci studiati per indurre un’immunità cellulare a scopo terapeutico nell’animale da esperimento portatore di tumore sono più promettenti delle metodiche di immunoterapia passiva. Indurre una capacità immunitaria in un ospite che non è riuscito a sviluppare un’effettiva risposta una prima volta richiede speciali procedure che consentano la presentazione degli antigeni tumorali alle cellule effettrici dell’ospite. Vengono utilizzati a tale scopo cellule tumorali intatte, antigeni tumorali ben caratterizzati o immunostimolanti generici.

Cellule tumorali autoctone (cellule prelevate dall’ospite) sono state utilizzate in vari tumori tra cui il carcinoma renale e il melanoma maligno, dopo irradiazione, trattamento con neuraminidasi, coniugazione con apteni o ibridazione in vitro con linee cellulari perenni. Più recentemente, approcci basati sull’uso di cellule tumorali geneticamente modificate per produrre molecole immunostimolanti (incluse le citochine come il fattore di stimolazione dei granulociti e dei macrofagi o la IL-2, molecole coadiuvanti come la B7-1 e molecole allogeniche di classe I MHC) sono stati utilizzati con successo in studi su animali e vengono attualmente valutati in studi clinici sull’uomo.

Cellule tumorali allogeniche (cellule prelevate da altri pazienti) sono state utilizzate in pazienti con leucemia linfoblastica e mieloblastica acuta. La remissione è indotta da chemioterapia e radioterapia intensive; le cellule tumorali allogeniche irradiate sono quindi trattate con il vaccino costituito dal bacillo di Calmette-Guérin (BCG) o altri adiuvanti (v. oltre). Remissioni prolungate o più alte percentuali di reinduzione sono state riportate in alcuni gruppi di pazienti, ma non nella maggior parte dei casi.

I vaccini con antigeni tumorali ben definiti costituiscono uno degli approcci più promettenti nell’immunoterapia dei tumori. Uno dei vantaggi derivanti dall’uso di antigeni già caratterizzati è che l’efficacia della tecnica di immunizzazione può essere prontamente valutata poiché è già noto un punto di riferimento (cioè, risposte misurabili a uno specifico peptide). Un numero crescente di antigeni tumorali è stato inequivocabilmente identificato come target per sviluppo di cellule T specifiche in pazienti affetti da neoplasia. Questi comprendono antigeni che hanno una normale sequenza ma sono espressi in maniera inadeguata nel tumore e antigeni derivanti da geni che hanno subito mutazioni durante lo sviluppo del tumore (p. es., oncogeni). I linfomi a cellule B hanno un antigene unico che deriva dalla regione variabile della sequenza immunoglobulinica espressa in modo clonale (l’idiotipo). Questo antigene è unico nelle cellule tumorali ma differisce nei diversi pazienti.

L’immunità cellulare (che coinvolge le cellule T citotossiche) verso specifici e ben caratterizzati antigeni può essere indotta con l’uso di peptidi di sintesi a catena corta in sostanze adiuvanti o coniugati in vitro a cellule autologhe che presentano l’antigene (esposizione dell’antigene). Queste cellule, con l’antigene esposto, ovvero che presentano l’antigene, sono reintrodotte per via endovenosa e vanno a stimolare la risposta delle cellule T del paziente all’antigene peptidico esposto. I primi risultati degli studi clinici hanno mostrato risposte significative. L’immunizzazione con sequenze idiotipo appositamente sintetizzate espresse dalle cellule di pazienti con linfoma a cellule B ha evidenziato percentuali di risposta significative.

L’immunità antigene-specifica può anche essere indotta da virus ricombinanti (p. es., adenovirus, virus vaccinico) che esprimono degli ATA come il CEA. Questi virus che rilasciano antigeni sono oggetto di studio per la loro attività antitumorale.

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IMMUNOTERAPIA ASPECIFICA

Gli interferoni (IFN), derivati da GB (IFN-a e -g) o da fibroblasti (IFN-b), oppure sintetizzati da batteri con tecniche di ricombinazione genetica, sono glicoproteine dotate di attività antitumorale e antivirale che possono aver origine in parte da meccanismi a mediazione immunologica. A seconda della dose, gli IFN possono esaltare o ridurre le funzioni immunitarie umorali e cellulari e influenzare anche l’attività dei macrofagi e delle cellule NK. Gli IFN inoltre inibiscono la divisione cellulare e alcuni processi di sintesi in vari tipi di cellule. Le sperimentazioni cliniche nell’uomo hanno indicato che gli IFN hanno un’attività antitumorale nella leucemia a cellule capellute, nella leucemia mieloide cronica e nel sarcoma di Kaposi associato all’AIDS. Qualche risposta di grado minore è stata osservata nel linfoma non Hodgkin, nel mieloma multiplo e nel carcinoma dell’ovaio. Tuttavia, gli IFN possono indurre particolare tossicità; i pazienti possono sviluppare febbre, malessere generale, leucopenia, alopecia e mialgie.

In alcuni studi randomizzati sono stati impiegati adiuvanti batterici (come il bacillo tubercolare attenuato[BCG]), estratti di BCG (p. es., residuo metanolo-estratto [MER]) o sospensioni di Corynebacterium parvum ucciso. Essi sono stati utilizzati con o senza aggiunta di antigene tumorale nel trattamento di un’ampia varietà di neoplasie, solitamente in associazione a chemio o radioterapia intensive. L’iniezione diretta di BCG nei noduli di melanoma porta quasi sempre alla regressione dei noduli inoculati e talvolta di noduli distanti non inoculati. L’instillazione intravescicale di BCG in pazienti con carcinoma superficiale della vescica ha prolungato l’intervallo libero di malattia, probabilmente come effetto di meccanismi immunologici. Alcuni studi indicano che il residuo estratto con metanolo può contribuire a prolungare le remissioni indotte dalla chemioterapia nella leucemia mieloblastica acuta e che il BCG, in associazione alla polichemioterapia, può prolungare la sopravvivenza nei pazienti con carcinoma ovarico e forse nel linfoma non Hodgkin. Tuttavia, in molti studi non sono stati osservati benefici.

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