11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA

144. PRINCIPI DI TERAPIA DEI TUMORI

Sommario:

Introduzione
CHIRURGIA
RADIOTERAPIA
CHEMIOTERAPIA
TERAPIA ADIUVANTE E MULTIMODALE
ALTRE MODALITÀ
    Terapia endocrina
    Modificatori della risposta biologica
    Ipertermia e crioterapia
TERAPIA DEGLI EFFETTI COLLATERALI
    Nausea e vomito
    Citopenia
    Altri comuni effetti collaterali
TUMORI NON GUARIBILI

Un trattamento efficace di un tumore richiede l’eliminazione di tutte le cellule neoplastiche, sia se la malattia è limitata alla sede primitiva, con estensione locoregionale, sia se vi sono metastasi in altre regioni del corpo. Le principali modalità di trattamento sono la chirurgia e la radioterapia (per la malattia locale e locoregionale) e la chemioterapia (per le forme con diffusione sistemica). Altre importanti metodiche comprendono la terapia endocrina (per alcuni tipi di neoplasia, p. es., prostata, mammella, endometrio, fegato), l’immunoterapia (modificatori della risposta biologica per incrementare l’attività citocida endogena del sistema immune e vaccini tumorali) e termoterapia (crioterapia e ipertermia). La terapia multimodale associa i vantaggi derivanti da ciascuna metodica.

La definizione clinica dei termini oncologici aiuta a comprendere gli obiettivi e i progressi della terapia. Per una possibile guarigione, deve essere ottenuta una remissione o risposta completa, che richiede la scomparsa della malattia clinicamente evidente. Questo tipo di pazienti potrebbe sembrare guarito ma può ancora avere cellule neoplastiche vitali che, nel tempo, possono essere causa di recidiva. Una risposta parziale è una riduzione > 50% del volume della massa o delle masse tumorali. Una risposta parziale può portare a una palliazione e a un prolungamento della sopravvivenza significativi, ma la ricrescita del tumore è inevitabile. Un paziente può anche non avere alcuna risposta.

L’intervallo tra la scomparsa della neoplasia e la recidiva è definito intervallo libero da malattia o sopravvivenza libera da malattia. Analogamente, la durata della risposta si misura dalla comparsa della risposta parziale al momento della progressione. La sopravvivenza è il tempo che va dalla diagnosi al decesso.

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CHIRURGIA

La chirurgia rappresenta la più antica forma efficace di terapia del cancro. La chirurgia con intento curativo richiede che il tumore sia localizzato o abbia una diffusione locoregionale limitata, in modo da permettere una resezione in blocco. Ciò si applica in particolare al tumore della vescica, mammella, cervice, colon, endometrio, laringe e testa-collo, rene, polmone, ovaio e testicolo. Nelle situazioni in cui non può essere effettuata una resezione in blocco, trattamenti multimodali con radioterapia, chemioterapia o chemioradioterapia possono ridurre le dimensioni del tumore, rendendo possibile una resezione chirurgica curativa.

Le neoplasie guaribili con la sola chirurgia sono elencate nella Tab. 144-1. In dettaglio gli aspetti del trattamento chirurgico sono trattati nei capitoli sui tumori dei singoli organi.

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RADIOTERAPIA

La radioterapia viene somministrata secondo varie metodiche. La più comune è l’irradiazione esterna con acceleratore lineare, che rilascia elevate percentuali di fotoni (radiazioni). La radioterapia con fascio di neutroni è utilizzata per alcuni tumori che hanno un ristretto margine tissutale. La radioterapia con fascio di elettroni ha una penetrazione nei tessuti piuttosto ridotta ed è maggiormente utilizzata per la cute o per le neoplasie superficiali. La terapia con protoni, anche se scarsamente disponibile, può consentire di raggiungere piccoli tumori anche profondi con fasci strettamente collimati. La brachiterapia comporta il posizionamento di una sorgente radioattiva nello stesso letto tumorale (p. es., nella prostata o nell’encefalo) attraverso degli aghi, cedendo quindi una dose molto alta in un piccolo campo. Gli isotopi radioattivi per via sistemica possono essere utilizzati per gli organi che possiedono i recettori per il loro "uptake" (tumore della tiroide) o a scopo palliativo in caso di diffusione ossea generalizzata (p. es., stronzio radioattivo per le metastasi di tumore prostatico). La radioterapia a scopo curativo generalmente richiede una malattia locale o locoregionale che possa essere circoscritta all’interno del campo di radiazione.

Il danno cellulare indotto dalle radiazioni è casuale e aspecifico, con effetti complessi sul DNA. L’efficacia della terapia dipende dal danno cellulare che va oltre la normale capacità di riparazione. In genere, i meccanismi di riparazione del tessuto normale sono più efficaci di quelli del tumore, consentendo una diversa citotossicità.

La radioterapia è curativa in molte neoplasie (v. Tab. 144-1). La radioterapia associata alla chirurgia (per testa e collo, laringe o cancro dell’utero) o con chemioterapia e chirurgia (per sarcomi o tumori della mammella, dell’esofago, del polmone o del retto) migliora le percentuali di guarigione rispetto alle tradizionali modalità di terapia usate singolarmente. La fototerapia, il più recente approccio multimodale, utilizza un derivato della porfirina (una protoporfirina) per legarsi e quindi illuminare la neoplasia, allo scopo di ottenere una captazione selettiva della radiazione luminosa.

La radioterapia è in grado di fornire un importante effetto palliativo sul tumore, anche quando la guarigione non è possibile. La radioterapia nei tumori cerebrali prolunga lo stato di benessere del paziente; nelle neoplasie che comprimono il midollo, può eliminare il deficit neurologico; nelle sindromi della vena cava, può eliminare il rischio di morte improvvisa; e nelle metastasi sintomatiche o associate a dolore, di solito controlla la sintomatologia.

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CHEMIOTERAPIA

Il chemioterapico ideale dovrebbe colpire e distruggere solo le cellule tumorali senza effetti collaterali o tossicità sulle cellule normali. Purtroppo, tale farmaco non esiste; vi è un basso indice terapeutico tra l’effetto citotossico sulle cellule tumorali e quello sulle cellule normali. Ciononostante, la chemioterapia, anche con farmaci usati singolarmente, ha portato alla guarigione di alcuni tipi di tumore (cioè, coriocarcinoma, leucemia a cellule capellute, leucemia linfatica cronica). Più comunemente, regimi terapeutici con più farmaci con meccanismo, siti d’azione intracellulare e tossicità differenti (per ridurre la possibile tossicità cumulativa) forniscono percentuali di guarigione significative (p. es., nella leucemia acuta, nel tumore della vescica e del testicolo, nel morbo di Hodgkin, nel linfoma maligno, nel tumore polmonare a piccole cellule e nei tumori del rinofaringe).

L’inefficacia dei farmaci chemioterapici in vivo quando l’efficacia è stata documentata in vitro ha indotto un gran numero di studi sulla resistenza ai farmaci. Uno dei meccanismi identificati, la simultanea resistenza a più farmaci, è dovuto a vari geni che limitano la concentrazione del farmaco e il suo effetto sulle cellule tumorali del paziente. I tentativi di superamento di questa resistenza non hanno avuto successo.

I più comuni farmaci chemioterapici considerati efficaci sono descritti nella Tab. 144-2.

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TERAPIA ADIUVANTE E MULTIMODALE

Il limitato successo del trattamento con chirurgia o radioterapia da sole ha portato a scoprire che la chirurgia associata alle radiazioni può aumentare l’intervallo libero da malattia e la percentuale di guarigione in alcuni tumori (p. es., ginecologici, polmonari, del laringe e della testa e del collo). Essendo queste modalità rivolte al controllo locoregionale, la chemioterapia viene associata a scopo adiuvante per eliminare le cellule tumorali che si siano diffuse oltre la regione interessata. La chemioterapia adiuvante può aumentare la sopravvivenza libera da malattia e la percentuale di guarigione in circa il 30% dei casi di tumore della mammella nelle donne e negli uomini, di tumore del colon (Dukes B2 e C), tumore avanzato della vescica e dell’ovaio. Questo successo ha portato all’uso della chemioterapia o della radioterapia prima della chirurgia, definita terapia di induzione (o neoadiuvante). Questo approccio ha migliorato la sopravvivenza nel tumore infiammatorio e avanzato della mammella, del polmone (p. es., stadio IIIA e B), del rinofaringe e della vescica.

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ALTRE MODALITÀ

Terapia endocrina

La terapia endocrina additiva o ablativa può influenzare il decorso di alcune neoplasie. La terapia endocrina non è curativa; è solo palliativa. L’orchiectomia ha un importante valore palliativo nel carcinoma prostatico metastatico, con un prolungamento abituale della sopravvivenza da 3 a 5 anni. La sua efficacia è basata sulla presenza di una popolazione cellulare testosterone- dipendente nel tumore prostatico. Altre neoplasie con recettori ormonali nelle loro cellule (p. es., mammella, endometrio, ovaio) possono spesso avere un miglioramento palliativo con terapia ormonale ablativa. Questo successo ha indotto l’uso di ormoni nel trattamento farmacologico per questo tipo di tumori. Gli estrogeni costituiscono un efficace trattamento palliativo per il tumore della prostata ma aumentano il rischio di cardiopatia. Queste osservazioni hanno portato all’uso di inibitori della secrezione di gonadotropine. Il leuprolide, un analogo sintetico dell’ormone che induce il rilascio delle gonadotropine, inibisce la secrezione delle gonadotropine e la conseguente produzione di androgeni dalle gonadi e ha un’efficacia analoga all’orchiectomia come trattamento palliativo del tumore prostatico. Un blocco androgenico ancora più completo può essere ottenuto aggiungendo un antiandrogeno orale (flutamide o bicalutamide), che riduce il legame dell’ormone androgeno ai suoi recettori; questa associazione sembra dare una sopravvivenza libera da malattia maggiore di 6-12 mesi rispetto al solo leuprolide o all’orchiectomia.

Analogamente, la privazione degli estrogeni (con l’ovariectomia) ha un effetto palliativo nel tumore della mammella in fase avanzata. Il tamoxifene, un farmaco ormonale orale, può legarsi ai recettori degli estrogeni delle cellule di tumore mammario ed è altrettanto efficace dell’ovariectomia come trattamento palliativo. Il tamoxifene è una terapia particolarmente efficace per il tumore mammario metastatico nelle donne in post-menopausa. Come terapia adiuvante del tumore della mammella, prolunga la durata della sopravvivenza libera da malattia, migliora del 20-30% la percentuale di guarigione delle pazienti con recettori positivi e riduce il rischio di neoplasia mammaria nel seno controlaterale di circa il 60%. Per i dettagli sulla terapia endocrina, v. Tab. 144-2.

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Modificatori della risposta biologica

Gli interferoni, le interleuchine e il tumor necrosis factor (TNF) sono proteine biologiche che intervengono nelle risposte immunologiche (protettive). Sono sintetizzate dalle cellule del sistema immune in presenza di infezione virale come risposta immune protettiva. In concentrazioni farmacologiche, hanno un effetto palliativo in alcune neoplasie.

Gli interferoni si sono dimostrati attivi in alcuni tumori. Nella leucemia a cellule capellute si sono avute percentuali di risposte complete del 60-80%. Nella leucemia mieloide cronica, fino al 20% dei pazienti possono ottenere una risposta completa (con negativizzazione del cromosoma Philadelphia). L’interferone può aumentare la sopravvivenza libera da malattia (12-24 mesi) dopo un trattamento chemioterapico efficace nel mieloma e in alcune forme di linfoma. La sopravvivenza è in parte prolungata nei pazienti con melanoma e carcinoma renale a cellule chiare. Un effetto estetico palliativo si ha nel sarcoma di Kaposi. Le maggiori tossicità dell’interferone comprendono astenia, nausea, leucopenia, febbre con brividi e mialgia.

Le interleuchine, in primo luogo la linfochina interleuchina-2 prodotta da cellule T attivate, sono state utilizzate con modesti effetti palliativi nel carcinoma renale. Varie altre interleuchine sono in corso di studio, come il TNF.

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Ipertermia e crioterapia

Il riscaldamento del letto tumorale (a 41°C [105,8°F]) per aumentare la necrosi cellulare con l’uso di farmaci o radiazioni è stato sperimentato con scarsi risultati. La criochirurgia (con una sonda all’interno della massa tumorale) produce un modesto effetto palliativo nel tumore del fegato e nel tumore mammario inoperabile.

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TERAPIA DEGLI EFFETTI COLLATERALI

Nausea e vomito

Gli antiemetici prevengono o controllano la nausea e il vomito, che comunemente insorgono con la radioterapia dell’addome e con molti farmaci chemioterapici, specie se in combinazione. Talvolta la nausea e il vomito sono funzionali (v. Vomito Funzionale nel Cap. 21) o dovuti allo stesso tumore. Pertanto, la causa sottostante deve sempre essere riconosciuta e trattata.

La stimolazione del centro del vomito nel midollo allungato avviene nella zona "grilletto" chemiorecettoriale (CTZ), nella corteccia cerebrale o nell’apparato vestibolare oppure deriva dalla trasmissione diretta di stimoli provenienti da aree periferiche (p. es., mucosa gastrica). Gli antiemetici sembrano agire in queste aree, ma il loro meccanismo non è stato ancora ben capito. Di solito la terapia farmacologica è più efficace nella profilassi che non nel trattamento di nausea e vomito.

Gli antagonisti del recettore della serotonina sono i farmaci più efficaci attualmente disponibili per il trattamento della nausea e del vomito associati a radioterapia o chemioterapia e a molti processi patologici. In pratica non si ha nessuna tossicità con il granisetron e l’ondansetron, anche se, raramente, con l’ondansetron sono insorte cefalea e ipotensione ortostatica. Questi farmaci costituiscono la terapia antiemetica di prima linea; il loro maggiore svantaggio è il costo.

Gli antidopaminergici comprendono molte delle fenotiazine (p. es., proclorperazina, flufenazina), che sembrano agire con una depressione selettiva del CTZ e, in minor grado, sul centro del vomito. Questi farmaci di seconda scelta sono utili nel trattamento di nausea e vomito leggeri o moderati. Dato che la maggior parte delle fenotiazine (eccetto la tioridazina e la mesoridazina) sembra avere la stessa efficacia, se somministrate in dosi sufficienti, la scelta del farmaco può dipendere dalla valutazione degli effetti collaterali.

La metoclopramide stimola la motilità del tratto superiore dell’apparato GI, aumenta il tono e l’ampiezza della contrazione gastrica e aumenta la peristalsi duodenale e digiunale. Il risultato è un’accelerazione dello svuotamento gastrico e del transito intestinale.

La metoclopramide funziona come antiemetico attraverso gli effetti gastrocinetici e inoltre sembra avere qualche effetto centrale antagonista dopaminergico. Gli effetti collaterali più importanti sono i sintomi extrapiramidali, in parte dose- dipendenti. Il benadryl è in grado di proteggere da questi. Altri effetti collaterali comprendono sonnolenza e astenia. Il farmaco è controindicato nei casi in cui la stimolazione della motilità GI può essere pericolosa (ostruzioni meccaniche o perforazioni), nel feocromocitoma e nei pazienti epilettici o in coloro che assumono farmaci ugualmente in grado di provocare sintomi extrapiramidali. Il suo uso come antiemetico è stato ampiamente rimpiazzato dagli antagonisti dei recettori della serotonina.

Il dronabinolo (D-9-tetraidrocannabinolo (THC), è un farmaco approvato per il trattamento di nausea e vomito provocati dalla chemioterapia antiblastica, nei pazienti che non rispondono al trattamento antiemetico convenzionale. Il THC è il componente psicoattivo principale della marijuana. Il meccanismo dell’azione antiemetica è sconosciuto, ma si ritiene che i cannabinoidi si leghino ai recettori per gli oppioidi del cervello anteriore e possano indirettamente inibire il centro del vomito. Questo farmaco è stato abbandonato poiché per os ha una biodisponibilità variabile, non è efficace contro la nausea e il vomito dei regimi chemioterapici contenenti cisplatino e ha importanti effetti collaterali (p. es., sonnolenza, ipotensione ortostatica, secchezza delle fauci, alterazioni dell’umore, alterazioni della cognizione spazio-temporale).

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Citopenia

Durante la radioterapia o la chemioterapia possono svilupparsi anemia, leucopenia e trombocitopenia. La comparsa di sintomi clinici e una ridotta efficacia della radioterapia si hanno con valori di ematocrito < 30%. Anche se le trasfusioni con sacche di globuli rossi sono raramente necessarie, l’eritropoietina ricombinante è utilizzata nel controllo dell’astenia nel paziente affetto da neoplasia per supplire al fabbisogno di globuli rossi. In genere, la posologia di 100-150 U/kg SC tre volte/ sett. (un comodo dosaggio per l’adulto è 10000 U) è molto efficace e ha ridotto o eliminato il fabbisogno di emotrasfusioni. Una piastrinopenia importante (piastrine < 10000/ml), specie se è presente sanguinamento, può essere trattata con trasfusioni di piastrine concentrate. La trombopoietina ricombinante è disponibile e probabilmente ridurrà notevolmente la necessità di tali trasfusione.

La neutropenia (conta dei neutrofili < 1000/ml) è la citopenia clinicamente più importante poiché possono insorgere febbre neutropenica e aumentato rischio di infezioni. La febbre > 38°C (100,4°F) in un paziente granulocitopenico deve essere considerata una emergenza. La valutazione del paziente neutropenico deve comprendere colture immediate di sangue, escreato, urine e feci. L’esame clinico deve andare alla ricerca di possibili raccolte ascessuali (p. es., retina, orecchio, retto). Poiché l’assenza dei neutrofili ha come conseguenza che i segni abituali di riconoscimento di un ascesso possono non essere evidenti, il dolore localizzato e le alterazioni della normale consistenza tissutale possono essere i segni di un ascesso incipiente.

Un paziente stabile può essere trattato con un regime domiciliare intensivo presso molti centri, ma in assenza di un programma di trattamento definito, è necessario il ricovero ospedaliero. Un trattamento con antibiotici ad ampio spettro deve essere iniziato subito dopo aver ottenuto i risultati degli esami colturali di sangue, escreato, urine e di ogni lesione cutanea sospetta. Se sono presenti infiltrati polmonari diffusi, il medico deve includere nella diagnosi differenziale la polmonite da Pneumocystis carinii e istituire una terapia empirica, specie nei pazienti con leucemia o linfoma. In presenza di un quadro infiltrativo polmonare, gli antibiotici devono includere trimetoprim-sulfametossazolo, un aminoglicoside e una cefalosporina. Nei pazienti con catetere venoso permanente, le infezioni da gram + sono comuni e dovrebbe essere aggiunta la vancomicina. Se la febbre persiste oltre le 24 h, deve essere aggiunta una penicillina semisintetica (p. es., ticarcillina). Se la febbre continua per 72-120 h, deve essere presa in considerazione un’eziologia micotica e deve essere aggiunta al programma terapeutico l’amfotericina B.

Un importante elemento addizionale nella terapia durante la sepsi o la febbre neutropenica è la terapia con citochine come il fattore stimolante le colonie granulocitarie (GCSF o in alternativa il fattore stimolante le colonie di macrofagi [GM-CSF]). Il G-CSF (5 mg/kg/die SC o in infusione endovena) è il farmaco di scelta e deve essere prescritto alla comparsa della febbre o della sepsi.

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Altri comuni effetti collaterali

Le enteriti post-attiniche possono essere migliorate con antidiarroici. Le mucositi da radioterapia possono precludere significativamente l’alimentazione orale e portare a malnutrizione e a perdita di peso. Misure semplici (p. es., l’uso di analgesici e di lidocaina topica prima dei pasti, una dieta blanda senza alimenti o succhi a base di agrumi, evitando temperature troppo alte o troppo basse) consentono al paziente di alimentarsi e mantenere il peso. Se tali semplici misure falliscono, deve essere presa in considerazione un’alimentazione enterale con un tubo di plastica flessibile (Dobhoff) fino a quando l’intestino tenue torni funzionalmente normale. In caso di mucosite e diarrea o di alterata funzione intestinale, si può istituire un’alimentazione parenterale. Il dolore può costituire un problema ma può essere trattato con farmaci, radioterapia locale o chirurgia (v. Cap. 167). Analogamente, la depressione deve essere riconosciuta. Una discussione franca sui timori del paziente spesso può rimuovere l’ansia; un crescente armamentario di farmaci è attualmente disponibile per il trattamento della depressione (v. Cap. 189).

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TUMORI NON GUARIBILI

Una comune concezione errata è che alcuni tumori non siano suscettibili di trattamento. Anche se la neoplasia può essere inguaribile, il paziente può essere curato. Curare significa qualcosa di più dell’uso di chirurgia, radioterapia o chemioterapia e vuol dire prendersi cura saggiamente del paziente. Per i pazienti le cui neoplasie non sono responsive a queste modalità di trattamento, l’uso di un’inefficace chemioterapia tanto per "fare qualcosa" contro il tumore non è una buona pratica medica. Una terapia adeguata per questo tipo di pazienti (e per tutti i pazienti affetti da cancro) comprende un supporto nutrizionale, un efficace controllo del dolore, un trattamento palliativo importante e un supporto sociale e psichiatrico. Soprattutto, il paziente deve sapere che l’équipe terapeutica non lo abbandonerà poiché non esiste una terapia specifica o questa non è stata efficace.

La partecipazione in protocolli di ricerca attentamente controllati, se disponibile e appropriata, deve essere presa in considerazione e discussa con il paziente. L’hospice o altri simili programmi di cura della fase terminale costituiscono un importante elemento della terapia dei tumori. Per maggiori informazioni concernenti i pazienti con malattia inguaribile, v. Cap. 294.

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