12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ

DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO I

Sommario:

Introduzione
Diagnosi
Terapia

I disordini compresi nell’ambito delle reazioni di ipersensibilità di tipo I sono le malattie atopiche (rinite allergica, congiuntivite allergica, dermatite atopica e asma allergico [estrinseco][v. Cap. 68]) e alcuni casi di orticaria e di reazioni GI ad alimenti e di anafilassi sistemica. L’incidenza dell’asma è aumentata in modo considerevole, nonostante le cause siano in gran parte sconosciute. Recentemente è stato osservato un notevole aumento delle reazioni di tipo I in relazione all’esposizione a proteine idrosolubili contenute nei prodotti in lattice (p. es. guanti di gomma, paradenti, preservativi, cannule per l’assistenza respiratoria, cateteri ed estremità di clisteri con cuffie in lattice gonfiabili), particolarmente tra il personale medico e i pazienti esposti al lattice e tra i bambini con spina bifida e difetti di sviluppo dell’apparato urogenitale. Reazioni comuni al lattice sono l’orticaria, l’angioedema, la congiuntivite, la rinite, il broncospasmo e l’anafilassi.

Di norma, i pazienti con malattie atopiche (compresa la dermatite atopica) hanno una predisposizione ereditaria a sviluppare ipersensibilità mediata da anticorpi IgE nei confronti di sostanze inalate e ingerite (allergeni) che risultano innocue nelle persone non atopiche. Tranne nel caso della dermatite atopica, l’ipersensibilità è solitamente mediata da anticorpi della classe IgE. Nonostante le allergie alimentari mediate da IgE possano essere corresponsabili della sintomatologia della dermatite atopica nei lattanti e nei bambini piccoli, questa affezione è largamente indipendente da fattori allergici nei bambini più grandi e negli adulti, anche se la maggior parte dei pazienti continua a presentare allergie specifiche.

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Diagnosi

Anamnesi: un esame retrospettivo dei sintomi, delle loro relazioni con l’ambiente e con le variazioni di stagione e di circostanze, del loro decorso clinico e dell’eventuale familiarità per problemi analoghi dovrebbe fornire informazioni sufficienti per classificare la malattia come una forma atopica. L’anamnesi ha maggior valore dei test di laboratorio per determinare se un paziente è allergico e il paziente non deve essere sottoposto in maniera estensiva all’esecuzione di test cutanei a meno che non esista una ragionevole evidenza clinica di atopia. L’età di esordio può essere un indizio importante (p. es. l’asma infantile è più probabilmente legato ad allergia di quanto non sia l’asma che insorge dopo i 30 anni). Indicativi sono anche i sintomi stagionali (p. es. correlati con specifiche stagioni di impollinazione) o quelli che compaiono dopo il contatto con animali, fieno o polveri, o che si manifestano in ambienti particolari (p. es. a casa). Vanno presi in considerazione gli effetti di fattori contribuenti (p. es. il fumo di tabacco e altri agenti inquinanti, l’aria fredda, l’attività fisica, l’alcol, taluni farmaci e le situazioni stressanti).

Test non specifici: un aumento del numero degli eosinofili nel sangue e nelle secrezioni è spesso associato con le malattie atopiche, specialmente l’asma e la dermatite atopica. Nella dermatite atopica, i livelli sierici di IgE sono elevati e aumentano ulteriormente nel corso delle esacerbazioni e diminuiscono durante i periodi di remissione. Nonostante siano solitamente elevate, le concentrazioni sieriche di IgE non sono utili dal punto di vista diagnostico nell’asma atopico e nella rinite allergica. Occasionalmente, livelli di IgE molto elevati possono aiutare a confermare la diagnosi di aspergillosi polmonare allergica (v. Cap. 76) o di sindrome da iper-IgE (v. Cap. 147).

Test specifici: i test specifici vengono impiegati per confermare l’esistenza di ipersensibilità a un particolare allergene o gruppo di allergeni. I test cutanei sono il metodo più conveniente per confermare la presenza di un’ipersensibilità specifica. Essi devono essere selettivi e il loro impiego deve essere basato sugli indizi forniti dall’anamnesi. Le soluzioni impiegate per i test sono ottenute da estratti di materiali inalati, ingeriti o iniettati (p. es. pollini di alberi, graminacee ed erbe trasportati dal vento; acari della polvere; forfore e secrezioni di animali; veleni di insetti; cibi; e penicillina e suoi derivati). Fino a non molto tempo fa, pochi estratti allergenici erano standardizzati e la loro potenza era assai variabile. Molti estratti di impiego comune sono adesso standardizzati.

Per l’esecuzione del prick test (test della puntura), che si effettua di solito per primo, viene posta sulla cute una goccia di un estratto allergenico diluito; la cute viene poi punteggiata o forata passando attraverso l’estratto, solitamente premendo su di essa con l’estremità di uno specillo o di un ago 27 tenuta inclinata con un angolo di 20°, finché la punta non vi penetra liberamente.

Per l’esecuzione del test intradermico viene iniettata (usando una siringa da 0,5 o 1 ml e un ago corto 27) la quantità di estratto sterile diluito sufficiente per produrre una vescicola di 1-2 mm. Ogni serie di test cutanei deve comprendere l’impiego del solo diluente come controllo negativo e dell’istamina (10 mg/ml della soluzione base per il prick test o 0,1 mg/ml per il test intradermico) come controllo positivo. Un test cutaneo viene considerato positivo se provoca entro 15 min una reazione eritemato-pomfoide con presenza di un pomfo di diametro almeno 5 mm più grande del controllo.

Il prick test cutaneo è solitamente sufficiente per individuare un’ipersensibilità nei confronti della maggior parte degli allergeni. Il test intradermico, più sensibile, può essere quindi adoperato per saggiare allergeni inalatori sospetti che hanno prodotto un prick test negativo o di dubbia interpretazione. Per le allergie agli alimenti, il prick test da solo è diagnostico. I test intradermici per gli alimenti hanno un’alta probabilità di provocare reazioni positive senza significato clinico, come è stato dimostrato dai test di provocazione in doppio cieco per via orale.

Quando è impossibile eseguire i test cutanei diretti per la presenza di una dermatite generalizzata, di un dermografismo estremo o dell’incapacità del paziente a collaborare o a interrompere il test assumendo antiistaminici, si può eseguire un test di radioallergoassorbimento (RadioAllergoSorbent Test, RAST). Il RAST rileva la presenza di IgE sieriche specifiche per l’allergene saggiato. Un allergene noto, sotto forma di un coniugato insolubile polimero-allergene, viene miscelato con il siero da saggiare. Tutte le IgE specifiche per l’allergene presenti nel siero si legheranno al coniugato. La quantità di IgE specifiche per l’allergene presenti nel sangue del paziente viene determinata aggiungendo alla miscela un anticorpo anti-IgE marcato con 125I e misurando la quota di radioattività captata dal coniugato.

Il rilascio leucocitario di istamina, un test in vitro, rivela la presenza di IgE specifiche per l’allergene sui basofili sensibilizzati misurando la liberazione di istamina indotta dall’allergene da parte dei GB del paziente. Questo prezioso strumento di indagine ha consentito di comprendere i meccanismi della risposta allergica; come il RAST, esso non fornisce informazioni diagnostiche aggiuntive e in ambito clinico viene utilizzato raramente, se non mai.

Quando un test cutaneo positivo solleva un dubbio sul ruolo svolto da un particolare allergene nell’insorgenza della sintomatologia, si può eseguire un test di provocazione. L’allergene può essere instillato negli occhi, applicato nelle cavità nasali o fatto inalare per farlo giungere ai polmoni. Il test oftalmico non offre alcun vantaggio rispetto ai test cutanei e viene impiegato raramente. Il test di provocazione nasale, eseguito solo occasionalmente, è principalmente uno strumento di ricerca. Il test di provocazione bronchiale, anch’esso fondamentalmente uno strumento di ricerca, viene impiegato talvolta quando il significato clinico di un test cutaneo positivo è poco chiaro o quando non sono disponibili i reagenti per i test cutanei atti a dimostrare che i sintomi sono dovuti a sostanze cui un paziente è esposto (p. es. nell’asma occupazionale). I test di provocazione orale devono essere impiegati quando si sospetta che una sintomatologia che si presenta con regolarità sia correlata all’alimentazione, perché la positività dei test cutanei non è necessariamente significativa dal punto di vista clinico. La negatività di un test cutaneo eseguito con una preparazione antigenica affidabile, tuttavia, esclude la possibilità che la sintomatologia clinica sia dovuta a quell’alimento. I test di provocazione rappresentano l’unica maniera per saggiare gli additivi alimentari. (v. oltre per le diete di eliminazione e i test di provocazione.)

Test con efficacia non provata: non esiste alcuna prova a sostegno dell’impiego dei test di provocazione cutanei o sublinguali o dei test di tossicità leucocitaria per la diagnosi delle allergie.

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Terapia

Allontanamento: la terapia migliore consiste nell’eliminare l’allergene. Ciò può richiedere un cambiamento di alimentazione, di occupazione o di residenza; la sospensione di un farmaco; o l’allontanamento di un animale domestico. Alcuni locali, privi di allergeni (p. es., ragweed), sono una sorta di rifugio per le persone affette dalla malattia. Quando non è possibile evitare completamente il contatto con l’allergene (come nel caso della polvere domestica), si può ridurre l’esposizione rimuovendo gli arredi che raccolgono la polvere, i tappeti e i tendaggi; utilizzando coperture di plastica sui materassi e i cuscini; lavando e spolverando spesso; riducendo il livello di umidità degli ambienti; installando un impianto di filtrazione dell’aria ad alta efficienza. Gli acaricidi non si sono dimostrati clinicamente utili.

Immunoterapia allergenica: quando non è possibile evitare del tutto o controllare a sufficienza il contatto con un allergene e la terapia medica non è in grado di alleviare i sintomi della malattia atopica, si può tentare l’immunoterapia allergenica (chiamata anche iposensibilizzazione o desensibilizzazione) mediante l’iniezione sottocutanea di un estratto dell’allergene in dosi progressivamente crescenti. Possono verificarsi diversi effetti, anche se nessun test è correlato in maniera assoluta con il miglioramento clinico. Il titolo degli anticorpi bloccanti (neutralizzanti) IgG aumenta proporzionalmente alla dose somministrata. Talvolta, specialmente quando possono essere tollerate alte dosi di un estratto di polline, il livello sierico degli anticorpi IgE specifici diminuisce significativamente. Può essere diminuita anche la capacità di risposta dei linfociti (proliferazione) all’antigene.

I risultati più soddisfacenti si ottengono quando le iniezioni vengono proseguite per tutto l’anno. A seconda del grado di sensibilità, la dose di partenza è compresa tra 0,1 e 1,0 unità biologicamente attive (Biologically Active Units, BAU) per gli allergeni standardizzati dalla FDA. La dose viene aumentata una o due volte a settimana a una quantità  al doppio della dose precedente fino a raggiungere la massima concentrazione tollerata (p. es., per gli estratti di polline standardizzati, la dose di mantenimento va da 1000 a 4000 BAU). Una volta raggiunta, la dose massima può essere mantenuta con somministrazioni ogni 4-6 settimane per tutto l’anno; anche nelle allergie stagionali il trattamento continuativo è più efficace rispetto ai metodi prestagionali o costagionali.

I principali allergeni usati per la desensibilizzazione sono quelli che in genere non possono essere allontanati completamente: pollini, acari della polvere, muffe e veleno di imenotteri. I veleni di insetto sono standardizzati in base al peso; una dose iniziale tipica è 0,01 mg; la dose di mantenimento abituale varia da 100 a 200 mg. La desensibilizzazione alla forfora degli animali viene solitamente riservata ai soggetti che non possono evitare l’esposizione (p. es. veterinari e addetti ai laboratori), ma ci sono scarse prove che essa sia utile. La desensibilizzazione agli alimenti non è necessaria. I metodi di desensibilizzazione alla penicillina e al siero eterologo sono descritti nella Ipersensibilità ai farmaci, oltre.

Reazioni avverse: i pazienti sono spesso estremamente sensibili, specialmente agli allergeni dei pollini e se si somministra loro una dose eccessiva possono verificarsi reazioni variabili da una leggera tosse o starnutazione fino all’orticaria generalizzata, all’asma grave, allo shock anafilattico e, molto raramente, alla morte. Per prevenire tali reazioni bisogna osservare le seguenti precauzioni: aumentare la dose per piccoli incrementi, ripetere la stessa dose (o anche diminuirla) se la reazione locale indotta dall’iniezione precedente è ampia ( 2,5 cm di diametro) e ridurre la dose quando si usa un estratto nuovo. Spesso è buona norma ridurre la dose degli estratti di polline durante la stagione dell’impollinazione. L’iniezione IM ed EV deve essere evitata.

Nonostante tutte le precauzioni, talvolta si verificano ugualmente reazioni sfavorevoli. Dal momento che le reazioni gravi, pericolose per la vita (anafilassi) si sviluppano di solito entro 30 min, i pazienti devono restare in osservazione per questo lasso di tempo. I segni di una reazione imminente possono essere gli starnuti, la tosse, un senso di costrizione toracica o un rossore generalizzato, i formicolii e il prurito. Maggiori dettagli sulla sintomatologia e il trattamento sono esposti sotto Anafilassi, oltre.

Antiistaminici: l’alleviamento dei sintomi con la terapia farmacologica non va trascurato, finché il paziente è in via di valutazione e sono in via di elaborazione strategie di controllo o di trattamento più specifiche. L’uso di antiistaminici, simpaticomimetici, cromoglicato e glucocorticoidi per le singole malattie è descritto oltre. In generale, l’impiego precoce dei glucocorticoidi è giustificato nelle condizioni potenzialmente invalidanti autolimitantisi e di durata relativamente breve (attacchi stagionali di asma; pneumopatia infiltrativa; dermatite da contatto grave), mentre un impiego prudente dei glucocorticoidi può essere necessario qualora altre misure terapeutiche si rivelino insufficienti a mantenere sotto controllo una condizione cronica.

Le differenze farmacologiche tra i vari antiistaminici si manifestano per lo più nei loro effetti sedativi e antiemetici e in altri effetti a livello del SNC, come pure nelle loro proprietà anticolinergiche, antiserotoniniche e anestetiche locali. Gli antiistaminici con effetti anticolinergici costituiscono un problema specialmente nell’anziano.

Gli antiistaminici sono utili nel trattamento dei sintomi delle allergie, comprendenti la febbre da fieno stagionale, la rinite allergica e la congiuntivite. Sono moderatamente efficaci nella rinite vasomotoria. L’orticaria acuta e cronica e alcune dermatosi allergiche pruriginose rispondono bene. Essi sono utili anche nel trattamento delle reazioni da incompatibilità trasfusionale di minore gravità e delle reazioni sistemiche ai mezzi di contrasto radiografici iniettati EV. Essi sono di limitata utilità nella terapia del raffreddore comune, ma grazie ai loro effetti anticolinergici (v. oltre) possono ridurre la rinorrea.

L’istamina è distribuita ampiamente nei tessuti dei mammiferi. Nell’uomo le concentrazioni più elevate si osservano nella cute, nei polmoni e nella mucosa GI. Essa è presente principalmente nei granuli intracellulari delle mast-cellule, ma ne esiste anche un’importante quota extramastocitaria nella mucosa gastrica, e quantità più piccole nel cervello, nel cuore e in altri organi. La liberazione di istamina dai granuli di deposito delle mast-cellule può essere innescata da un insulto tissutale di tipo fisico, da diverse sostanze chimiche (compresi gli irritanti tissutali, gli oppiacei e gli agenti tensioattivi) e, meccanismo di gran lunga predominante, dalle interazioni antigene-anticorpo.

La funzione omeostatica specifica dell’istamina non è ancora stata chiarita. Le sue azioni, che nell’uomo si esplicano soprattutto a livello del sistema cardiovascolare, della muscolatura liscia extravascolare e delle ghiandole esocrine, sembrano essere mediate da due recettori diversi: H1 e H2. Questo capitolo tratterà dei recettori H1 e dei loro antagonisti (anti-H1). Per i recettori e gli antagonisti H2, v. Terapia in Malattia peptica ulcerosa nel Cap. 23.

A livello del sistema cardiovascolare, l’istamina è un potente vasodilatatore arteriolare che può provocare un esteso sequestro ematico periferico e ipotensione. Essa aumenta inoltre la permeabilità capillare deformando il rivestimento endoteliale delle venule postcapillari, con dilatazione degli spazi intercellulari endoteliali ed esposizione della superficie della membrana basale. Questa azione accelera la fuoriuscita di plasma e di proteine plasmatiche dal letto vascolare e, insieme alla dilatazione arteriolare e capillare, può causare uno shock circolatorio. L’istamina dilata anche i vasi cerebrali, fenomeno che può avere un ruolo nella cefalea vasomotoria.

La risposta tripla è mediata dalla liberazione locale intracutanea di istamina, che causa eritema locale da vasodilatazione, formazione di un pomfo dovuto a edema locale per aumento della permeabilità capillare e arrossamento secondario a un meccanismo neuronale riflesso che produce un’area circostante di vasodilatazione arteriolare. In altri distretti muscolari lisci, l’istamina può indurre una grave broncocostrizione e stimola la motilità GI. A livello delle ghiandole esocrine, essa aumenta la secrezione delle ghiandole salivari e bronchiali; a livello delle ghiandole endocrine, stimola il rilascio di catecolamine dalle cellule cromaffini del surrene, effetto che sembra essere mediato anch’esso dai recettori H1. A livello delle terminazioni nervose sensitive, l’instillazione locale di istamina può provocare intenso prurito.

Antagonisti H1: gli antiistaminici convenzionali possiedono una catena laterale etilaminica sostituita (simile a quella dell’istamina) legata a uno o più gruppi ciclici. La somiglianza tra la porzione etilaminica della istamina e la struttura etilaminica sostituita degli anti-H1 suggerisce che questa configurazione molecolare sia importante per le interazioni con il recettore. Gli anti-H1 sembrano agire per inibizione competitiva; essi non alterano in maniera significativa la produzione o il metabolismo dell’istamina.

Gli anti-H1, somministrati per via orale o rettale, sono generalmente ben assorbiti dal tratto GI. L’azione ha inizio di solito entro 15-30 min e raggiunge l’effetto massimo in 1 h; la durata d’azione è solitamente di 3-6 h, ma alcuni antagonisti agiscono considerevolmente più a lungo.

Gli effetti antiistaminici degli anti-H1 si evidenziano soltanto in presenza di un aumento di attività dell’istamina. Essi contrastano gli effetti dell’istamina sulla muscolatura liscia GI, ma nell’uomo la reazione allergica a livello della muscolatura liscia bronchiale non dipende principalmente dal rilascio di istamina e non risponde in maniera efficace ai soli antiistaminici. Gli anti-H1 bloccano efficacemente l’aumento della permeabilità capillare e la stimolazione nervosa sensitiva indotti dall’istamina, inibendo così la formazione dell’edema, l’arrossamento, il prurito, la starnutazione e la secrezione mucosa. Tuttavia, questi farmaci sono soltanto parzialmente efficaci nel far regredire la vasodilatazione e l’ipotensione indotte dall’istamina. Altri effetti clinici diversi dall’azione antagonista sull’istamina vengono discussi più avanti.

La Tab. 148-1 illustra sinteticamente il dosaggio, la via e la frequenza di somministrazione di alcuni anti-H1 di comune impiego. È possibile che la somministrazione nei bambini debba essere più frequente rispetto a quella negli adulti, a causa dell’emivita più breve degli antiistaminici (con le eccezioni riportate in tabella). Questi farmaci sono tutti antagonisti dei recettori H1; le loro differenze farmacologiche risiedono principalmente nel tipo e nell’intensità dei loro effetti secondari.

Poiché molti anti-H1 causano depressione del SNC e sonnolenza, essi talvolta vengono utilizzati come sedativi e ipnotici. Tuttavia, le alchilamine e i nuovi farmaci privi di effetto sedativo (astemizolo, cetirizina e loratadina) sono utili quando non si desidera indurre sedazione. D’altro canto, essi sono notevolmente più costosi e alcuni sono responsabili di interazioni farmacologiche pericolose (v. oltre). Le etanolamine deprimono in modo significativo il SNC; sebbene siano meno potenti e affidabili dei barbiturici e di altri sedativi a effetto centrale, esse sono utili come sedativi e ipnotici ma possiedono spiccate proprietà anticolinergiche, pertanto possono risultare scarsamente tollerati dagli anziani. Le etilendiamine inducono una depressione del SNC di grado minore, ma hanno maggiori effetti collaterali GI, rispetto alle etanolamine.

Il derivato etanolaminico difenidramina e il suo sale cloroteofillinico dimenidrinato, l’analogo fenotiazinico prometazina e le piperazine (ciclizina e meclizina) vengono tutti utilizzati per prevenire o trattare le chinetosi e per alleviare la nausea e le vertigini legate alla labirintite. La ciclizina, l’idrossizina e la meclizina sono state sospettate di essere teratogene negli animali e probabilmente non devono essere somministrate durante la gravidanza.

Gli anti-H1 fenotiazinici e la prometazina in particolare, sono utili come sedativi e risultano efficaci per la terapia sintomatica della nausea legata alla radioterapia e ad alcuni farmaci antitumorali; per quest’ultimo impiego essi sono meno efficaci della proclorperazina e della clorpromazina.

La maggior parte degli anti-H1 possiede una certa azione anticolinergica che può rendere conto della modesta attività antiparkinsoniana esplicata a livello centrale e dell’alleviamento sintomatico della rinorrea in corso di infezioni delle vie aeree superiori esercitata a livello periferico. In associazione con gli anestetici locali, alcuni anti-H1 sono stati impiegati per applicazioni topiche sulla cute sotto forma di creme e lozioni per ridurre il prurito. Tuttavia l’applicazione topica degli antiistaminici etilendiaminici comporta un rischio considerevole di sensibilizzazione farmacologica; essi non sono più approvati per questo tipo di impiego.

Gli effetti collaterali indesiderabili e la tossicità degli anti-H1 sono molto rari; essi comprendono: anoressia, nausea, vomito, stipsi, diarrea, dolenzia epigastrica, riduzione dell’attenzione, riduzione della capacità di concentrazione, sonnolenza e debolezza muscolare. Alterazioni della crasi ematica (p. es. leucopenia, agranulocitosi, trombocitopenia e anemia emolitica) si manifestano raramente. Il sovradosaggio è accompagnato dalla comparsa di effetti anticolinergici: secchezza delle fauci, palpitazioni, senso di costrizione toracica, ritenzione urinaria, disturbi visivi, convulsioni, allucinazioni e, in seguito, depressione respiratoria, febbre, ipotensione e midriasi. Essi sono spesso un problema soprattutto negli anziani.

Gli antiistaminici non sedativi astemizolo e cetirizina non devono essere somministrati insieme agli antibiotici della classe dei macrolidi, perché inibiscono il loro metabolismo. Alcuni di questi farmaci sono aritmogeni (non la loratadina e la fexofenadina). Infine, tutti tranne la loratadina presentano un rischio di categoria C durante la gravidanza.

Gli inibitori dei leucotrieni hanno un effetto antagonista a livello dei recettori per i leucotrieni D oppure inibiscono la sintesi dei leucotrieni, impedendo il broncospasmo. Essi hanno effetti clinici favorevoli, ma il loro ruolo nella terapia dell’asma non è ancora stabilito.

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