13. MALATTIE INFETTIVE

157. MALATTIE BATTERICHE

CAUSATE DA BACILLI GRAM-

TULAREMIA

(Febbre dei conigli o dei tafani)

Malattia acuta caratterizzata da una lesione ulcerativa locale primaria, linfoadenopatia regionale, sintomi sistemici imponenti, stato simil tifoideo, batteriemia e, occasionalmente, polmonite atipica.

Sommario:

Eziologia, epidemiologia e anatomia patologica
Sintomi e segni
Diagnosi
Profilassi, prognosi e terapia


Eziologia, epidemiologia e anatomia patologica

I quattro tipi di tularemia sono elencati nella Tab. 157-1. Il germe responsabile, la Francisella tularensis, è un bacillo aerobio di piccole dimensioni, pleiomorfo, immobile e non sporigeno che penetra nell’organismo per ingestione, inoculazione, inalazione o contaminazione. Esso è capace di penetrare la cute integra, anche se in realtà entra attraverso microlesioni. Il tipo A, il sierotipo più virulento per l’uomo, si rinviene nei conigli e nei roditori. Il tipo B provoca abitualmente un’infezione ulcero-ghiandolare lieve e si rinviene nell’acqua e negli animali acquatici. La trasmissione tra animali avviene attraverso artropodi che succhiano sangue e per cannibalismo.

Gli individui che più spesso contraggono l’infezione sono i cacciatori, i macellai, i contadini, i lavoranti di pelli e i dipendenti di laboratori biologici. Nei mesi invernali, la maggior parte dei casi di infezione deriva da contatti con conigli selvatici infetti (specialmente durante lo scuoiamento); nei mesi estivi l’infezione deriva solitamente da contatti con altri animali infetti o con uccelli o da contatti con pulci infette o con altri artropodi. Raramente si possono verificare casi per ingestione di carni infette, poco cotte o dal consumo di acque contaminate. Negli stati dell’ovest altre sorgenti di infezione sono le zecche, le mosche, i tafani e il contatto diretto con animali. Non si conoscono casi di trasmissione interumana.

Nei casi disseminati si hanno le caratteristiche lesioni necrotiche focali in vari stadi di evoluzione, diffuse in tutto il corpo. Esse sono di colorito bianco giallastro e variano da 1 mm a 8 cm; sono visibili all’esterno poiché le lesioni primarie si rinvengono sulle dita, sugli occhi o sulla bocca; sono comunemente rinvenute anche nei linfonodi, milza, fegato, rene e polmone. Nei casi di polmonite i focolai di necrosi si localizzano a livello polmonare. Microscopicamente la necrosi focale risulta circondata da monociti e fibroblasti giovani che sono a loro volta attorniati da grossi addensamenti di linfociti. Anche se può esserci un elevato grado di tossicità sistemica, finora non sono state scoperte tossine liberate dai germi.

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Sintomi e segni

L’esordio è repentino, 1-10 giorni dopo il contatto (abitualmente 2-4 giorni), con cefalea, brivido, nausea, vomito, febbre di 39,5-40°C e grave stato di prostrazione. Si manifestano anche astenia marcata, brividi ricorrenti e sudorazioni profuse. Entro 24-48 h compare un papula infiammata nella sede dell’infezione (polpastrello, braccio, occhio o palato), con l’eccezione della tularemia ghiandolare o tifoidea. La papula diviene rapidamente pustolosa e si ulcera, producendo un cratere ulceroso pulito con un essudato incolore, sottile e scarso. Le ulcere di solito sono singole alle estremità ma multiple nell’occhio o nella bocca. Solitamente è interessato soltanto un occhio, i linfonodi regionali si rigonfiano e possono dare suppurazione e abbondante secrezione. Al 5o giorno si manifesta spesso uno stato simil-tifoideo; il paziente può mostrare segni di polmonite atipica con sintomi come quelli di altri tipi di polmonite (v. Cap. 73). La polmonite tularemica può essere accompagnata da delirio. Anche se sono spesso presenti segni di consolidamento polmonare, talvolta i soli segni della polmonite tularemica sono costituiti dalla riduzione del murmure respiratorio e da occasionali rantoli. Una tosse secca, non produttiva è associata a una sensazione di bruciore retrosternale. In qualsiasi fase della malattia può anche manifestarsi un’eruzione aspecifica simil-rosolia. La milza è ingrossata e può aversi anche perisplenite. Di regola è presente leucocitosi, ma la conta dei GB può risultare normale con un semplice aumento dei leucociti polimorfonucleati. Nei casi non trattati la temperatura permane elevata per 3-4 sett. e si risolve gradualmente. Rare complicanze dell’infezione sono: mediastinite, ascesso polmonare e meningite.

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Diagnosi

Un’anamnesi positiva per contatti con conigli o con roditori selvatici o per esposizioni a vettori artropodi, l’esordio improvviso dei sintomi e le lesioni primarie caratteristiche permettono di solito di giungere alla diagnosi. Le infezioni di tipo laboratoristico sono spesso tifoidee o polmonari, senza lesioni primarie dimostrabili e sono difficili da diagnosticare. L’isolamento del microrganismo dalle lesioni, dai linfonodi o dall’escreato, anche se potenzialmente pericoloso per il personale di laboratorio, è determinante per la diagnosi. Dal momento che questo microrganismo è così altamente infettivo, il laboratorio non deve tentarne l’isolamento senza l’uso di cappe protettive. È necessaria una cautela estrema nella manipolazione dei tessuti infetti o dei terreni di coltura. I test di agglutinazione divengono positivi di regola dopo il decimo giorno, ma quasi mai prima dell’ottavo giorno di malattia. La diagnosi è confermata dall’incremento di un titolo agglutinante. Il siero di pazienti affetti da brucellosi può dare reazioni positive contro gli Ag della F. tularensis ma spesso a titoli assai più bassi.

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Profilassi, prognosi e terapia

Quando si entra in aree endemiche devono essere indossati vestiti che impediscano alle zecche il contatto con la cute, devono essere utilizzati repellenti e deve essere effettuata una minuziosa ricerca delle zecche. Quando si maneggiano conigli e roditori, soprattutto nelle aree endemiche, devono essere utilizzati abiti protettivi, compresi guanti di gomma e maschere per il viso. Tutte le zecche devono essere rimosse immediatamente; i microrganismi possono essere presenti nelle feci dell’animale, nelle feci delle zecche e sul pellame dell’animale stesso. Gli uccelli selvatici e la selvaggina devono essere cotti con cura prima di cibarsene; l’acqua potenzialmente contaminata deve essere disinfettata prima dell’uso.

La mortalità è pressoché nulla nei casi trattati e di circa il 6% nei casi non curati. Il decesso si verifica in seguito a infezione diffusa, polmonite, meningite o peritonite. Le recidive sono rare, ma possono manifestarsi in soggetti trattati in maniera inadeguata. La prima infezione conferisce un’immunità completa.

Il farmaco di scelta è la streptomicina (0,5 g IM q 12 h sino alla defervescenza); successivamente 0,5 g/die per 5 giorni. Ugualmente efficace è la gentamicina, 3-5 mg/kg/die IM o EV in 3 dosi frazionate. Si può somministrare cloramfenicolo o tetracicline, fino a normalizzare la temperatura corporea, a dosi di 500 mg PO q 6 h, successivamente a dosi di 250 mg qid per 5-7 giorni; con questi due farmaci si possono avere a volte delle recidive e inoltre essi non prevengono la suppurazione dei linfonodi. La F. tularensis è sensibile in vitro alle cefalosporine di III generazione. Quando la diagnosi non è chiara al momento dell’esordio e si sospetta la tularemia, possono costituire un’utile terapia iniziale il cefotazime 1-2 g EV q 8 h o il ceftriaxone 1 g EV q 12 più la streptomicina o la gentamicina ai dosaggi menzionati. Per la polmonite ci sarà una terapia supplementare identica a quella per la polmonite pneumococcica (v. Cap. 73).

Bendaggi umidi di soluzione fisiologica applicati con continuità sono indicati per le lesioni cutanee primarie e possono lenire la gravità della linfangite e della linfoadenite. Gli ascessi di grandi dimensioni possono essere drenati, ma ciò è necessario soltanto raramente, a meno che la terapia antibiotica sia stata iniziata con ritardo. Nella tularemia oculare si ottiene sollievo con applicazioni di compresse imbevute di soluzione fisiologica calda e con l’uso di occhiali scuri; nei casi gravi si possono instillare 1-2 gocce q 4 h di omatropina al 2%. La cefalea intensa di regola viene controllata dalla codeina (15-60 mg PO o SC q 3-4 h).

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