13. MALATTIE INFETTIVE

163. INFEZIONE DA VIRUS DELL'IMMUNODEFICIENZA UMANA (HIV)

Infezione causata da uno di due retrovirus imparentati (HIV-1 e HIV-2) che provocano una grande varietà di manifestazioni cliniche, che vanno dallo stato di portatore asintomatico fino a malattie gravemente debilitanti e mortali collegate allo stato di immunodeficienza.

Sommario:

Introduzione
Trasmissione
Patogenesi
Epidemiologia
Sintomi e segni
Diagnosi di laboratorio
Prognosi
Prevenzione della trasmissionedel HIV
Prevenzione delle infezioni opportunistiche
Terapia


Alcuni retrovirus sono oncogeni e altri hanno effetti patologici che alterano le normali funzioni cellulari o provocano la morte cellulare. Dei retrovirus di cui è nota la capacità di infettare l’uomo, i tipi I e II del human T-cell lymphotrophic virus (HTLV) sono associati a neoplasie linfoidi e a malattie neurologiche e, con minor frequenza, a gravi immuno depressioni, mentre invece il HIV causa immuno- soppressione ma non sembra causare direttamente delle neoplasie.

Il HTLV-I e il HTLV-II sono entrambi linfotropici e oncogeni, del tipo retrovirus C e causano leucemie/linfomi delle cellule T degli adulti in < 5% dei soggetti infettati. L’espansione dei linfociti CD4+ T (helper) nei tessuti e nel torrente ematico porta a leucemia, linfoadenopatia diffusa, epatosplenomegalia e a lesioni cutanee. Molti pazienti appaiono immunosoppressi e alcuni sono soggetti alle stesse infezioni opportunistiche cui vanno incontro i pazienti con infezione avanzata da HIV. Il HTLV-I è anche neurotropico e causa una mielopatia progressiva (paraparesi spastica tropicale o la mielopatia HTLV associata [MHA]) in < 1% dei portatori. Nei portatori di HTLV-II sono stati descritti alcuni casi di mielopatia. Dal punto di vista clinico, la MHA è una paraparesi spastica progressiva con astenia, rigidità, ottundimento, parestesie degli arti inferiori, poliuria e incontinenza. Tali sintomi si presentano entro i primi dieci anni dall’infezione. (V. anche Paraparesi spastica tropicale/ Mielopatia HTLV I-associata nel Cap. 162.)

Il HTLV-I si trasmette per via sessuale e attraverso il sangue, anche se sembra che la maggior parte delle infezioni venga trasmessa verticalmente dalla madre al bambino durante l’allattamento. Lo spettro di malattia e la sieroprevalenza del HTLV-I fanno pensare che l’infezione sia distribuita in modo amplio, ancorché non omogeneo. Per esempio, livelli alti di HTLV-I sono presenti nel Giappone meridionale e nei Caraibi e tra i consumatori di droghe EV e le prostitute in alcune città degli USA (sono state descritte alcune piccole aree di endemia anche in Puglia, n.d.t.).

Il retrovirus umano che ha avuto il più grande impatto sociale e medico è il HIV-1, che è stato identificato nel 1984 quale causa di una diffusa epidemia di una grave immunodepressione denominata sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS).

La AIDS è un disordine dell’immunità cellulo- mediata caratterizzata da infezioni opportunistiche, tumori, disturbi neurologici e da una varietà di altre sindromi. La AIDS è la manifestazione più grave dello spettro di condizioni correlate al HIV (v. Sintomi e segni, oltre). Il rischio che una persona con HIV, non trattata, sviluppi la AIDS è stimato del 1-2%/anno nei primi anni dopo l’infezione e del 5%/anno in seguito. Il rischio cumulativo è di circa il 50% nei primi 10 anni. Praticamente tutte le persone con infezioni da HIV non trattate sono infine destinate a sviluppare la AIDS. Alcune conseguenze a lungo termine dell’infezione da HIV (p. es., altre neoplasie o malattie neurologiche croniche) possono non essere ancora state delucidate.

La AIDS veniva inizialmente definito dallo sviluppo di gravi infezioni opportunistiche e/o di alcuni tumori secondari, come il sarcoma di Kaposi e il linfoma non-Hodgkin, noto per essere associato a un’immunità cellulo-mediata difettiva. La definizione formulata dai Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie degli USA (CDC) nel 1993 (adottata successivamente dall’OMS e dall’Italia-ndt) categorizzava come (A) gli adulti e gli adolescenti asintomatici, come (B) quelli sintomatici con condizioni attribuibili al HIV e come (C) la AIDS conclamata; v. Tab. 163-1 e 163-2. I pazienti con infezione da HIV sono categorizzati inoltre per il numero dei linfociti CD4> 500 cellule/ml (1), 200-499 cellule/ml (2), < 200 cellule/ml (3). All’inizio dell’epidemia molti pazienti divennero consapevoli della loro infezione da HIV quando ricevettero una diagnosi di un’infezione opportunistica potenzialmente letale oppure di un tumore senza aver presentato in precedenza sintomi di una condizione patologica cronica.

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Trasmissione

La trasmissione del HIV richiede il contatto con un fluido corporeo contenente cellule o plasma infetti. Il HIV può essere presente in ogni fluido o essudato che contiene plasma o linfociti e, specificamente, sangue, sperma, secrezioni vaginali, latte materno, saliva o essudati delle ferite. Sebbene teoricamente possibile, la trasmissione attraverso saliva o goccioline emesse con tosse o starnuti è estremamente rara e probabilmente non si verifica affatto. Il HIV non viene trasmesso tramite contatti casuali o nemmeno per contatti stretti di natura non sessuale che si verificano nell’ambito lavorativo, scolastico o domestico. Le più comuni modalità di trasmissione sono il trasferimento diretto di liquidi biologici attraverso l’uso condiviso di aghi contaminati oppure i rapporti sessuali.

Le pratiche sessuali che non comportino l’esposizione a liquidi biologici sono esenti da rischio. Altre pratiche, quali la fellatio e il cunnilingus sembrano essere relativamente, anche se non in maniera assoluta, sicure. Il rischio più alto si ha attraverso il rapporto genitale, in special modo il rapporto anale ricettivo. Le pratiche sessuali che producono traumi delle mucose prima o durante il rapporto aumentano il rischio. L’uso di condom in latex, ma non quelli prodotti con membrane naturali o di barriere vaginali diminuisce ma non elimina il rischio. I lubrificanti a base oleosa diminuiscono il livello di protezione fornita dai condom in latex in quanto essi li dissolvono.

Le cellule infette o i virioni liberi possono raggiungere le cellule bersaglio in un nuovo ospite attraverso la trasfusione di sangue, un’ iniezione accidentale o l’esposizione di una membrana mucosa. Il ruolo dell’infiammazione della membrana mucosa è illustrato dall’effetto di altre malattie trasmesse sessualmente (STD) sulla suscettibilità all’infezione da HIV. La trasmissione del HIV è sicuramente aumentata dall’ulcera venerea ed è più probabile in presenza di herpes, sifilide, infezioni da trichomonas e forse da altre STD.

La trasmissione del HIV attraverso una puntura accidentale, stimata attorno a 1/300 incidenti, è molto più difficile e molto meno frequente della trasmissione dell’epatite B, presumibilmente a causa del numero relativamente basso di virioni di HIV presenti nel sangue della maggior parte dei pazienti infetti. Il rischio di trasmissione del HIV sembra essere aumentato nel caso di ferite profonde o di iniezioni di sangue, come quando gli aghi cavi contenenti sangue penetrino la cute.

Il rischio di trasmissione del HIV da personale sanitario infetto che osservi delle buone tecniche, a pazienti non infetti è molto basso anche se non è chiara la sua quantizzazione. È stata documentata la trasmissione da un singolo dentista ad almeno sei dei suoi pazienti. Tuttavia, indagini accurate effettuate su pazienti trattati da altri medici con infezione da HIV e da chirurghi non ha permesso di evidenziare altri casi di pazienti infettati. Le modalità di trasmissione del HIV dal dentista ai suoi pazienti non è stata compresa e rimane un episodio preoccupante, ma apparentemente unico. Le procedure o le situazioni dalle quali il personale medico infetto deve essere escluso non sono state identificate con chiarezza. La trasmissione del HIV durante l’assistenza medica costituisce un problema potenziale se il sangue da trasfondere non viene sottoposto a screening o gli strumenti medici non vengono sterilizzati in modo adeguato.

Il ricorso al test ELISA (v. oltre) per il controllo dei donatori di sangue ha ridotto enormemente il rischio di contrarre il HIV tramite trasfusione. Tuttavia gli individui ai primi stadi dell’infezione da HIV che non abbiano già prodotto una risposta anticorpale, possono avere i test ELISA e Western Blot transitoriamente negativi mentre sono positivi i risultati dell’antigene p24 del HIV nel plasma. Queste persone rendono ragione di un rischio potenziale molto basso, ma continuo, di infezione da HIV associata a trasfusioni (stimato tra 1/10000 e 1/ 100000 per unità trasfusa). Attualmente lo screening obbligatorio sia con la ricerca degli anticorpi che dell’antigene p24 può ulteriormente ridurre tale rischio.

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Patogenesi

Due retrovirus strettamente correlati, HIV-1 e HIV-2 sono stati identificati come la causa della AIDS in diverse regioni geografiche. Il HIV-1 causa la maggior parte dei casi di AIDS nell’emisfero occidentale, in Europa, in Asia e nell’Africa centrale, meridionale e orientale; il HIV-2, che sembra meno virulento del HIV-1, è il principale agente della AIDS nell’Africa occidentale. In alcune regioni dell’Africa occidentale sono presenti entrambi i microrganismi.

Tutti i retrovirus contengono un enzima chiamato transcrittasi inversa che converte l’RNA virale in una copia del DNA provirale che si integra nel DNA della cellula ospite. Questi provirus integrati si duplicano con i normali geni cellulari durante ogni divisione della cellula. Così tutte le cellule discendenti dalla prima cellula infettata conterranno il DNA retrovirale. Il DNA provirale del HIV è sia trascritto a RNA che tradotto in proteine in modo da produrre centinaia di copie del virus infettante. Cruciale per il passo finale del ciclo vitale del HIV è un altro enzima, la proteasi del HIV. Quest’enzima converte il virus immaturo, non contagioso, nella forma contagiosa tramite la separazione di proteine importanti così che si possano risistemare all’interno del virus una volta che questo sia fuoriuscito dalla cellula umana infetta.

Il HIV infetta uno dei principali sottogruppi dei linfociti T, definito sul piano fenotipico dalle glicoproteine di membrana T4 o CD4 e sul piano funzionale come cellule helper/inducer. Il HIV infetta anche cellule non linfoidi, come i macrofagi, le cellule microgliali e varie cellule endoteliali ed epiteliali. Le cellule dendritiche nei linfonodi possono far aderire il HIV alla superficie cellulare anche se non ne sono invase. Come conseguenza dell’infezione da HIV, il numero e le funzioni delle cellule-T, delle cellule-B, delle cellule natural-killer e dei monociti/macrofagi subiscono delle alterazioni. Malgrado le anomalie delle cellule non CD4+, molte delle disfunzioni immunologiche nella AIDS sembrano spiegarsi per la perdita di questi linfociti helper la cui importanza è determinante per l’immunità cellulo-mediata (v. Cap. 146).

I migliori predittori di insorgenza di gravi infezioni opportunistiche che caratterizzano la AIDS (v. Tab.163-1) sono dati dal numero totale dei linfociti CD4+ (conta dei CD4) in circolazione e dal livello di HIV RNA (carica virale). Il numero dei CD4 è il prodotto del numero dei GB, della percentuale dei linfociti nei GB e della percentuale dei linfociti che portano i marcatori dei CD4. I livelli normali sono di circa 750 ± 250 cell/ml, ma i livelli sono di solito ridotti di circa il 40-50% nelle prime fasi dell’infezione. La vulnerabilità alle infezioni opportunistiche si accresce marcatamente quando i livelli dei linfociti CD4 sono < 200/ml. Un altro segno della diminuzione dell’immunità cellulare mediata è la perdita dell’ipersensibilità ritardata agli Ag iniettati intradermicamente come il test alla tubercolina per la TBC. La carica virale (numero di copie di HIV-1 RNA in 1 ml di plasma) rappresenta un marcatore predittivo utile del decorso clinico e una misura della risposta alla terapia antiretrovirale. I livelli del HIV-1 RNA aumentano all’aumentare del livello di immunosoppressione, ma gli alti livelli anticipano anche la velocità futura di declino del numero di CD4, anche in pazienti senza sintomi o evidenza di grave immuno depressione (> 500 CD4 cell/ml). Il rischio di progressione verso la AIDS o la morte sembra aumentare di circa il 50% ad ogni aumento di tre volte dell’RNA virale plasmatico.

I linfociti CD8+ suppressor/citotossici sembrano essere normali dal punto di vista funzionale e aumentati numericamente in corso di infezione da HIV, fatto questo che può contribuire a un’ulteriore immunosoppressione e dare come risultato una riduzione del rapporto CD4:CD8 (di norma  2:1) a < 1. Dal momento che altre infezioni virali (p. es., CMV, Epstein-Barr virus, influenza, epatite B) possono produrre delle riduzioni transitorie del rapporto CD4:CD8, rapporti ridotti non sono specifici.

I concetti sulle modalità di alterazione del sistema immunitario da parte del HIV sono stati radicalmente modificati dalla scoperta dell’elevata velocità sia di produzione che di rimozione del HIV, come è rivelato dalla rapida riduzione del HIV RNA plasmatica durante il trattamento con i potenti farmaci antiretrovirali. Il tempo mediano di turnover del HIV RNA nel plasma (tempo impiegato perché la metà dei virioni HIV sia rimpiazzato) è stimato essere inferiore a un giorno, che corrisponde in un’infezione da moderata a grave a circa 108-109 virioni/die. Questa rapida replicazione virale fornisce molte opportunità perché possano verificarsi delle mutazioni e perciò ci possa essere la possibilità per la rapida comparsa di mutanti virali resistenti ai farmaci antiretrovirali. Nel caso delle cellule CD4, l’emivita è più breve (circa 2 giorni). Sembra che le cellule CD4 infettate più di recente forniscano > 99% dell’RNA plasmatico; dopo circa 2 giorni di replicazione virale, queste cellule muoiono. Perciò, anche nei pazienti asintomatici si svolge una costante distruzione delle cellule CD4 a velocità determinate dal livello di RNA plasmatico. Nel corso di una terapia antiretrovirale efficace, i livelli di HIV RNA plasmatici scendono nel giro di giorni e raggiungono livelli più bassi o diventano non evidenziabili nel giro di pochi giorni o di mesi. Queste informazioni e un numero di nuovi e potenti farmaci antiretrovirali hanno radicalmente cambiato l’approccio alla terapia antiretrovirale (v. oltre).

Le relazioni tra l’RNA nel plasma e i livelli nei linfonodi e nel cervello sono in corso di intenso studio dal momento che non è chiaro l’effetto del trattamento su questi serbatoi di HIV. Anche quando le terapie di combinazione riducono il HIV RNA plasmatico a livelli non misurabili, il virus rimane evidenziabile per diversi anni nei linfonodi. I livelli liquorali di HIV RNA nei pazienti trattati con farmaci efficaci come gli inibitori nucleosidici della transcrittasi inversa (p. es., zidovudina o stavudina) sono di solito non misurabili e possono riflettere i livelli del virus nel cervello, anche se questo non è ancora provato. Colpire il HIV in questi serbatoi può costituire un passaggio fondamentale verso l’eliminazione dell’infezione da HIV nei pazienti.

Il modello di perdita dei linfociti CD4+ procede in tre fasi e a velocità variabili da paziente a paziente. Entro i primi mesi dell’infezione, il numero di cellule CD4+ circolanti diminuisce rapidamente. Un periodo prolungato di diminuzione più lenta può essere seguito da un altro di diminuzione più rapida per 1-2 anni prima che si sviluppi la AIDS. La variazione nei tassi di deplezione linfocitaria nel tempo e tra gli individui sembra correlarsi ai livelli di HIV RNA nel plasma. Tuttavia, i meccanismi sottostanti la distruzione cellulare non sono stati compresi del tutto.

L’immunità umorale è altrettanto compromessa. L’iperplasia dei linfociti-B (produttori di Ac) nei linfonodi causa la linfadenopatia e l’aumento della secrezione di Ac, che porta all’iperglobulinemia. Persiste la produzione di Ac per Ag precedentemente incontrati; tuttavia, la risposta ai nuovi Ag è difettiva e a volte assente. Così, i livelli totali degli Ac (specialmente IgG e IgA) possono essere elevati e il tasso degli Ac contro agenti specifici (p. es., il citomegalovirus) può essere superiore ai livelli normali, ma la risposta all’immunizzazione diminuisce in maniera sempre maggiore con la diminuzione del numero dei CD4.

Le anomalie immunologiche misurabili nella AIDS comprendono anergia (dimostrata dalla mancanza di risposte di ipersensibilità ritardata all’iniezione intradermica dei comuni Ag; p. es., tetano, parotite, Candida albicans), scarsa risposta proliferativa delle cellule T ai mitogeni e agli antigeni, un’ipergammaglobulinemia policlonale, livelli plasmatici dei complessi immuni aumentati, diminuiti Ac di risposta agli Ag di richiamo e di prima sensibilizzazione, una diminuzione della funzione delle cellule natural killer e un aumento dei livelli dei marcatori di attivazione immunitaria come la a1-timosina, l’interferone acido-labile, la neopterina e la b2-microglobulina.

Infezioni opportunistiche: la tipologia delle specifiche infezioni opportunistiche varia geograficamente, tra i gruppi a rischio e come risultato di interventi sanitari. Negli USA e in Europa, > 90% dei pazienti con AIDS che presentano il sarcoma di Kaposi (SK) è omosessuale o bisessuale di sesso maschile, forse a causa della coinfezione con il virus umano herpes-8, un cofattore virale di nuova identificazione (con HIV) per il sarcoma di Kaposi. La toxoplasmosi e la TBC sono più comuni nelle zone tropicali dove è alta la prevalenza di infezioni latenti da Toxoplasma gondii e Mycobacterium tuberculosis nella popolazione generale. Anche nei paesi industrializzati dove l’incidenza della TBC è bassa, il HIV ha causato l’aumento del tasso di TBC e delle sue presentazioni atipiche. L’ampia utilizzazione di schemi di profilassi efficaci contro patogeni quali Pneumocystis carinii e Mycobacterium avium complex ha ridotto il rischio di queste infezioni almeno nei paesi industrializzati.

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Epidemiologia

Da quando la AIDS è stata scoperta per la prima volta nel 1981, quando furono individuati casi di polmonite da Pneumocystis carinii e di sarcoma di Kaposi in uomini omosessuali in California e a New York, essa ha assunto proporzioni epidemiche; negli USA sono stati notificati > 581000 casi e 357000 decessi a tutto il dicembre 1996. Viene stimato che in tutto il mondo si siano avuti 30 milioni di infezioni da HIV e 10 milioni di casi di AIDS.

Vengono riconosciuti due modelli di trasmissione del HIV. Negli USA e in Europa (tipo 1), la trasmissione è principalmente omosessuale o parenterale. La maggior parte dei pazienti è di sesso maschile e di età compresa tra 20 e 49 anni appartenenti a gruppi ad alto rischio (p. es., uomini omosessuali o bisessuali, consumatori di droghe EV che condividono gli stessi aghi e pazienti emotrasfusi o riceventi emoderivati che a volte trasmettono il HIV a donne per via eterosessuale). Negli USA, le donne costituiscono una percentuale in aumento (circa 20%) di tutti i casi di AIDS.

Tra le persone con emofilia e altri disordini della coagulazione, la AIDS è divenuta la principale causa di mortalità. Prima del 1985, il rischio di infezione da HIV tra gli emofiliaci è stato correlato con il grande bisogno dei pazienti di concentrati di fattore VIII e l’origine dei prodotti plasmatici utilizzati negli USA. L’ampia distribuzione di prodotti plasmatici commercializzati, provenienti dagli USA ha dato come risultato un alto tasso di infezione da HIV, anche in quei pazienti residenti in aree non interessate all’inizio dall’epidemia. Nella maggior parte dell’Europa, dove i fattori di coagulazione provengono da una popolazione con un basso livello di rischio di infezione da HIV, sono stati infettati un minor numero di emofiliaci. Tuttavia, l’introduzione dello screening per il HIV sul sangue e il trattamento di riscaldamento degli emoderivati oppure l’uso di prodotti derivati dalla tecnologia bioingegneristica per l’emofilia ha successivamente eliminato il rischio di infezione.

In Africa, Sud America e nell’Asia meridionale (tipo 2), la trasmissione è soprattutto eterosessuale. In queste aree, gli uomini e le donne sono colpiti pressoché nella stessa proporzione. Un insieme dei due modelli è stato riscontrato in paesi quali il Brasile e la Tailandia. Nell’evoluzione tipica, le infezioni seguono le vie di comunicazione e di traffico commerciale tra le città e successivamente si diffondono alle aree rurali.

La continua diffusione del HIV nei paesi in via di sviluppo, che possiedono risorse minime con cui fronteggiare l’epidemia, presenta gravi implicazioni. La diffusione in Tailandia di due distinti sierogruppi di HIV-1 è a questo proposito illustrativo. Intorno al 1990 circa, epidemie parallele di HIV trasmesso per via eterosessuale (genotipo A) e trasmesso da aghi (genotipo B) infettò rapidamente le prostitute e i loro clienti e i consumatori di oppiacei EV che condividevano gli stessi aghi.

L’infezione di un gran numero di donne in età feconda ha portato a un numero consistente di casi pediatrici di AIDS (v. Infezione da virus di immunodeficienza umana nei bambini in Infezioni virali nel Cap. 265). Il HIV può essere trasmesso per via transplacentare o perinatale. Il virus è stata trovato nel latte materno e anche l’allattamento al seno è stato implicato nella trasmissione. Inoltre, gruppi di neonati e di bambini sono stati infettati dall’uso ripetuto di aghi inadeguatamente sterilizzati.

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Sintomi e segni

Il HIV causa un ampio spettro di problemi clinici che possono far pensare ad altre malattie. Immediatamente dopo l’infezione e per un periodo di tempo prolungato (oltre diversi mesi in un esiguo numero di persone) si ha un breve stato di portatore sieronegativo. Durante questo periodo, il virus si riproduce rapidamente sin quando il sistema immunitario inizia a reagire e/o le cellule obiettivo si esauriscono. Il HIV oppure l’antigene HIV p24 (capside) è evidenziabile nel plasma, anche quando nessun Ac anti-HIV sia rintracciabile. Entro 1-4 sett. dall’infezione alcuni pazienti sviluppano una sindrome retrovirale acuta o un’infezione da HIV primaria con febbre, malessere, eruzioni cutanee, artralgia e linfadenopatia generalizzata che di solito dura 3-14 giorni, seguita entro giorni, e fino a 3 mesi, dalla sieroconversione degli Ac anti-HIV. La sindrome retrovirale acuta spesso viene scambiata per una malattia febbrile del tratto respiratorio superiore (influenza) o per mononucleosi. In seguito, queste manifestazioni acute scompaiono (anche se solitamente persiste la linfadenopatia) e i pazienti diventano portatori asintomatici sieropositivi. Alcuni di questi pazienti sviluppano una sintomatologia lieve e remittente che non si inquadra nella definizione di AIDS (p. es., candidosi, zoster, diarrea, astenia, febbre). La leucopenia è reperto comune e possono aversi anche anemia e trombocitopenia immuno-mediata.

Sintomi neurologici: i sintomi neurologici sono comuni e possono essere la prima manifestazione della AIDS. I sintomi possono essere dovuti agli effetti del HIV, infezioni opportunistiche, neoplasie o complicanze vascolari. Essi includono meningite asettica acuta; neuropatie periferiche di diversi tipi; encefalopatia con convulsioni; deficit motori focali, sensitivi o dell’andatura e disturbi cognitivi che progrediscono fino alla demenza (v. Demenza non Alzheimer nel Cap. 171).

La neuropatia periferica può causare parestesie dolorose, perdita moderata della sensibilità distale (distribuzione a guanto e calza), diminuzione dei riflessi achillei, debolezza distale e atrofia e possono verificarsi in vari gradi. Sia la sindrome di Guillain-Barré che la poliradicolopatia da citomegalovirus (CMV) possono manifestarsi in forma di paralisi ascendente.

Una miopatia simile alla polimiosite può complicare la AIDS o la terapia con zidovudina.

La meningite asettica può causare cefalea, febbre e fotofobia e può essere associata a una pleiocitosi mononucleare nel LCR. Una meningite asettica transitoria può accompagnare l’infezione primaria da HIV.

Un’encefalite subacuta può essere causata dal HIV, dal CMV o da entrambi. L’interessamento neurologico può rivelare, in sede autoptica, degli ammassi nodulari di cellule microgliali senza altri infiltrati infiammatori nella materia grigia. Con i noduli, nei casi di encefalite da CMV, sono state associate inclusioni intranucleari e intracitoplasmiche di CMV. Nella materia bianca si rinvengono piccoli e non ben definiti foci di demielinizzazione perivenulare. Cefalea, stato confusionale, perdita della memoria, difficoltà psicomotorie, mioclonia, crisi convulsive e grave demenza progressiva fino al coma sono le manifestazioni tipiche che appaiono settimane o mesi prima del decesso. Possono essere presenti atrofia corticale alla TC, pleiocitosi del LCR con un elevato livello proteico e anomalie diffuse all’EEG, tutte non specifiche. La dimostrazione del CMV DNA nel LCR tramite reazione a catena della polimerasi può permettere la diagnosi di encefalite da CMV, ventricolite o mielite/poliradiculopatia.

Disturbi cognitivi e motori meno marcati si verificano in molti pazienti con AIDS, anche se in modo clinicamente meno evidente e socialmente meno debilitanti; per tale motivo non vengono sempre riconosciuti. Le aree della funzione cognitiva più frequentemente colpite sono l’attenzione, la velocità di elaborazione delle informazioni e la comprensione. Queste anomalie della sfera cognitiva non sono spiegate da disturbi dell’umore o da farmaci oppure da abuso di alcol. Esse sono associate a un quadro di atrofia cerebrale come viene evidenziato alla RMN, a un’attivazione immunitaria (elevati livelli di b2-microglobulina), livelli misurabili di HIV RNA (> 200 copie/ml) nel LCR e altre anomalie neurologiche. Lievi disturbi cognitivi e motori non progrediscono necessariamente in modo rapido verso la demenza, comunque molti pazienti presentano un quadro che progressivamente va deteriorandosi. È stata documentata una risposta al trattamento sia nel caso dell’encefalopatia da CMV che in quella da HIV, ma in entrambi i casi ciò non è prevedibile.

Infezioni opportunistiche del SNC: l’encefalite da toxoplasma causa cefalea, letargia, stato confusionale, crisi convulsive e segni focali che evolvono nel giro di gg o di sett. Gli aspetti neuroradiologici alla TC o alla RMN comprendono lesioni con un "enhancement" ad anello con una preferenza per i gangli basali. I test sierologici per gli Ac IgG antitoxoplasma indicanti un’infezione antecedente e latente cronicamente sono quasi sempre positivi ma non sempre forniscono la prova che la lesione sia causata dal Toxoplasma. I test sierologici negativi riducono di molto la probabilità che una lesione sia causata da Toxoplasma gondii. Il LCR mostra una pleiocitosi lieve o moderata ed elevata proteinorrachia. La biopsia cerebrale può permettere di giungere alla diagnosi; tuttavia nei pazienti sieropositivi spesso si attua una terapia empirica con pirimetamina e sulfadiazina (o clindamicina se il paziente è allergico ai sulfamidici), sotto stretto controllo per 7-10 giorni in attesa di una risposta clinica. Con la terapia, la prognosi è buona e le recidive possono essere prevenute con la profilassi con trimetoprim/sulfametossazolo o clindamicina/pirimetamina.

In corso di AIDS si manifestano anche meningiti da criptococco, da istoplasma e tubercolari (da Mycobacterium tuberculosis) che sono caratterizzate da febbre e cefalea e sono suscettibili di trattamento. La leucoencefalopatia multifocale progressiva (v. Cap. 162), un’encefalite causata da papovavirus, non risponde alla terapia e ha un decorso solitamente progressivo e con esito fatale nel giro di pochi mesi.

Neoplasie dell’encefalo: il linfoma primitivo a cellule B (non-Hodgkin) dell’encefalo produce segni focali consistenti con la sua localizzazione anatomica. La TC a volte mostra una massa che a volte prende il contrasto e non può essere distinta in maniera affidabile da un’encefalite focale causata da Toxoplasma, TBC, Cryptococcus o da altri microrganismi opportunisti. In questi casi, la RMN può essere più discriminante e la biopsia cerebrale è necessaria per una diagnosi definitiva. Nei pazienti con AIDS i linfomi sistemici possono interessare il SNC, tuttavia nel caso del sarcoma di Kaposi ciò avviene di rado. (V. anche Cap. 145.)

Sintomi ematologici: alcuni pazienti presentano anemia sintomatica o trombocitopenia immunomediata. La trombocitopenia associata al HIV risponde solitamente agli stessi trattamenti (corticosteroidi, splenectomia, immunoglobuline EV) della porpora trombocitopenica idiopatica e quasi mai provoca emorragie. (V. anche Cap. 145.)

Sintomi GI: dolori addominali, nausea e vomito o diarrea contribuiscono al calo ponderale e alla cachessia cosicché affliggono di solito i pazienti con AIDS avanzata. Varie infezioni opportunistiche e forme tumorali possono interessare il tratto GI. I siti interessati includono l’orofaringe (Candida, sarcoma di Kaposi, linfoma, herpes simplex e stomatite aftosa), esofago (herpes simplex, CMV, Candida), stomaco (sarcoma di Kaposi e linfoma), intestino (Salmonella, Clostridium difficile, CMV, herpes simplex) e tratto biliare (cryptosporidium e CMV). Inoltre, pancreatite iatrogena (p. es., didanosina) o epatite (p. es., fluconazolo) possono complicare la terapia. La diarrea per la quale non viene identificata una causa può persistere per lunghi periodi o recidivare a intermittenza, anche in pazienti senza una grave immunosoppressione o altri sintomi.

Sintomi dermatologici: le manifestazioni cutanee dell’infezione da HIV complicano tutti gli stadi dal rash e dalle ulcere genitali dell’infezione primaria al sarcoma di Kaposi disseminato nella AIDS conclamata (v. Cap. 126). Lo zoster, comune durante tutto il decorso dell’infezione, ne è spesso la prima manifestazione. Lesioni ematogene di criptococcosi o di angiomatosi bacillare possono costituire importanti elementi per giungere alla diagnosi di queste infezioni opportunistiche.

Sintomi orali: la candidosi orale (mughetto) è tra le prime e le più comuni manifestazioni dell’infezione da HIV; è di solito indolore, può non essere notata dal paziente e può fornire un elemento utile nei pazienti non ancora diagnosticati come affetti da infezione da HIV. La leucoplachia capelluta orale, diagnosticata tramite il riscontro di aree ingrossate, biancastre, filiformi ai lati della lingua, è probabilmente causata dal virus di Epstein-Barr e può essere trattata con acyclovir. Le ulcere causate dall’herpes simplex o di eziologia ignota (aftose) possono essere grandi, dolenti e persistenti e possono interferire con la nutrizione. Le patologie parodontali possono divenire gravi, fino a condurre a sanguinamento, edema gengivale e perdita dei denti. Sia il sarcoma di Kaposi che i linfomi possono manifestarsi nell’orofaringe, di solito come masse indolori.

Sintomi polmonari: di gran lunga la più importante infezione polmonare associata al HIV è la TBC, che è di frequente la prima manifestazione dell’infezione da HIV in quei paesi dove tale patologia è altamente endemica. Presentazioni atipiche (infrequente la presenza di cavitazioni, infiltrati dei lobi inferiori, malattia miliare e adenopatia), anergia al test cutaneo con la tubercolina e stato confusionale o coesistenza con altri patogeni opportunisti, possono rendere difficile la diagnosi. Il polmone è inoltre un sito comune di infezioni opportunistiche causate da funghi quali Pneumocystis carinii, Cryptococcus neoformans, Histoplasma neoformans, Coccidioides immitis e Aspergillus sp. Le polmoniti batteriche causate da pneumococchi, Haemophilus, Pseudomonas e Rhodococcus sono particolarmente comuni nei consumatori di droghe EV. Sia il sarcoma di Kaposi che i linfomi a cellule B possono interessare i linfonodi mediastinici e il polmone.

Sintomi nelle donne: il quadro d’esordio e il decorso dell’infezione da HIV nelle donne assomiglia a quello dell’uomo, a eccezione della candidosi vaginale cronica refrattaria e dell’aumentato rischio di neoplasie intraepiteliali cervicali. Alcune STD quali la malattia infiammatoria pelvica possono avere un quadro atipico, più aggressivo e resistente al trattamento nelle donne con infezione da HIV. Si raccomanda di sottoporre a test per il HIV, le donne con forme aggressive o insolitamente resistenti di STD o con candidosi vaginale.

Le complicanze cardiovascolari includono endocardite batterica trombotica (specialmente nei consumatori di droghe EV) o una cardiomiopatia con insufficienza cardiaca congestizia.

L’insufficienza renale o la sindrome nefrosica complicano di rado la AIDS, ma possono essere fonte di grave inabilità (v. anche Cap. 224).

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Diagnosi di laboratorio

L’evidenziazione di anticorpi anti-HIV costituisce un metodo sensibile, specifico, economico e ampiamente disponibile, nella maggior parte degli stadi dell’infezione. Test sierici rapidi (10 min), sistemi di raccolta dei campioni a domicilio e test anti-HIV sulla saliva e sulle urine, sono utili in alcune situazioni, ma possono richiedere test di conferma tramite le metodiche sierologiche standard. L’evidenziazione del HIV RNA nel sangue fornisce una diagnosi sensibile e specifica di infezione da HIV nei pazienti in uno stadio molto precoce di infezione quando gli anticorpi possono non essere ancora evidenziabili.

I test per l’evidenziazione degli anticorpi anti-HIV includono l’ELISA, che può evidenziare anticorpi diretti contro le proteine del HIV. La metodica ELISA è altamente sensibile e specifica, ma può comunque fornire test falsamente positivi. Quando il test dà risultato positivo, l’ELISA va ripetuto sullo stesso campione. Nel caso di un secondo test positivo va effettuato un test più specifico di conferma, p. es., il Western blot che è una procedura immunoelettroforetica per l’identificazione degli Ac contro proteine virali specifiche separate dal loro peso molecolare.

I test ELISA, che misurano direttamente gli Ag virali (p24) piuttosto che gli Ac antivirali, sono relativamente insensibili. I test che misurano i livelli dell’antigene sono stati soppiantati dalle più sensibili misurazioni dell’RNA plasmatico.

Diversi e sensibili test per l’RNA plasmatico quali la reazione a catena della polimerasi per la transcrittasi inversa (RT-PCR), che amplifica gli acidi nucleici virali o il DNA ramificata (bDNA), che amplifica il segnale, sono sensibili e accurati per un’ampia gamma di concentrazioni virali (fino a 1000000 di copie/ml di plasma). I limiti inferiori di evidenziazione si aggirano intorno a 400 copie/ml per la RT-PCR (test più recenti hanno un limite di 20-50 copie/ml, n.d.t.) e a 5000 copie/ml per la bDNA e la sensibilità di questi test è stata migliorata. Altri metodi per l’amplificazione degli acidi nucleici, quali l’amplificazione degli acidi nucleici basata sulle sequenze (NASBA) e l’amplificazione trascrizione-mediata (TMA), sono in corso di sviluppo per aumentare la sensibilità di quantizzazione del HIV RNA.

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Prognosi

Il rischio di sviluppare la AIDS o di morire, per una persona con infezione da HIV, può essere stimato combinando il numero dei linfociti CD4+ e i livelli di RNA plasmatico (v. Patogenesi, sopra). La conta dei CD4+ fornisce informazioni sull’immediata vulnerabilità verso le infezioni opportunistiche e il livello di HIV RNA plasmatico predice i futuri livelli di CD4+. La riduzione dei livelli plasmatici dell’RNA da parte della terapia antiretrovirale riduce il rischio di complicanze e di morte e spesso permette l’aumento dei CD4+.

Le infezioni opportunistiche sono rimaste la causa immediata di morte per quasi tutti i pazienti con AIDS. I progressi nella profilassi ha diminuito l’incidenza di Pneumocystis, Toxoplasma, Mycobacterium avium complex (MAC), Cryptococcus e di altre infezioni opportunistiche e di conseguenza il loro contributo alla morbilità e alla mortalità. Il miglior trattamento farmaceutico di queste infezioni, e in minor modo, del sarcoma di Kaposi ha migliorato anche gli esiti.

L’introduzione della terapia antiretrovirale di combinazione ha enormemente prolungato la sopravvivenza dei pazienti con AIDS a periodi di 2-3 anni, ma la durata dell’effetto benefico è variabile e per il momento non del tutto definito. I nuovi farmaci antiretrovirali utilizzati in combinazioni potenti e il monitoraggio dei livelli virali plasmatici (RNA), fanno sperare di poter estendere la sopravvivenza dei pazienti a tutte le fasi dell’infezione da HIV. Questi benefici possono essere compromessi dalla resistenza dei virus ai farmaci che viene influenzata dal precedente uso di farmaci antiretrovirali da parte del paziente e dall’adesione del paziente stesso agli schemi di combinazione propostigli e dal loro stadio di infezione (v. Terapia, oltre).

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Prevenzione della trasmissione del HIV

Sono in corso di sviluppo molteplici strategie per indurre immunità protettiva nelle persone non infette da HIV. Gli immunogeni comprendono il virus attenuato e l’intero virus ucciso, proteine e peptidi virali ottenuti da ingegneria genetica (p. es., dalla membrana virale) e il virus vaccinico geneticamente modificato per esprimere le proteine virali del HIV. Questi sforzi sono frenati dalla mancanza di un marcatore misurabile dell’immunità protettiva come l’Ac neutralizzante indotto dal vaccino anti-polio oppure da un modello animale conveniente. Nonostante ciò, continuano a essere sviluppati e testati nuovi vaccini per determinarne la sicurezza e l’immunogenicità.

Il contatto sessuale con un portatore di HIV rimane la causa più comune di trasmissione. La pietra miliare della prevenzione è l’educazione sanitaria volta a evitare pratiche sessuali non sicure, riducendo il numero e la frequenza dei contatti sessuali, evitando pratiche ad alto rischio (p. es., la penetrazione anale) e usando barriere protettive come i profilattici. L’uso costante del profilattico riduce di molto la trasmissione del HIV. L’effetto degli antivirali sulla trasmissione è incerto, ma probabilmente il loro uso riduce il rischio. Sintomatici o meno, i portatori di HIV devono essere esortati a evitare pratiche sessuali non sicure con persone non infettate.

A tutte le donne in gravidanza deve essere offerta la possibilità di effettuare il test anti-HIV. Le donne positive al HIV devono essere esortate a prendere in considerazione la possibilità di rimandare la gravidanza almeno finché la gestione del HIV in gravidanza non sia stato studiata meglio. Il rischio di trasmissione in utero, durante il parto o nel post-partum da donne infette ai loro bambini è stimato essere del 30-50%, ma la zidovudina (ZDV o AZT) da sola riduce l’infezione acquisibile durante il parto di 2/3 e una combinazione di farmaci può essere ancora più efficace. Per molte donne infette da HIV, l’interruzione della gravidanza può rappresentare un’alternativa considerato il rischio basso, ma reale, di trasmissione e tenendo conto, anche, del fatto che i farmaci necessari per mantenere il proprio stato di salute possono presentare rischi per il feto.

Bisogna educare e ammonire i tossicodipendenti EV sul rischio di condividere gli stessi aghi con altri tossicodipendenti. Sarebbe ideale combinare questo sforzo con la terapia di disintossicazione.

Il test per gli Ac del HIV deve essere offerto in modo confidenziale a chiunque ne faccia richiesta, ma solo unitamente a un’azione di informazione e assistenza prima e dopo il test. I soggetti a rischio di contrarre l’infezione da HIV-anche se anti-HIV negativi-non devono donare il sangue o gli organi per i trapianti a causa del rischio quantunque ridotto che essi hanno di poter essere stati infettati di recente e quindi di essere contagiosi, ancorché negativi al test.

Generalmente non bisogna mettere in isolamento i pazienti ricoverati con infezione da HIV, eccetto quando le loro complicanze infettive (p. es., una sospetta o provata TBC) siano trasmissibili. Le superfici contaminate da sangue o da altri fluidi corporei devono essere pulite e disinfettate. Il HIV è reso subito inattivo dal calore e da molti disinfettanti, incluso il perossido, l’alcol, il fenolo e l’ipoclorito. I fluidi corporei e i tessuti dei pazineti con infezione da HIV devono essere maneggiati con estrema attenzione.

I medici e i dentisti devono indossare i guanti nell’esaminare tutti i pazienti se può verificarsi contatto con membrane mucose o con altre superfici umide. Dal momento che le punture accidentali da ago sono comuni, gli operatori sanitari devono essere istruiti sul modo di evitare tali incidenti.

Si ritiene che la profilassi post-esposizione con l’uso immediato di terapia antiretrovirale dopo ferite penetranti che coinvolgano sangue infetto dal HIV (punture d’ago) o dopo la contaminazione mucosa massiva (occhi o bocca), riduca la trasmissione. Attualmente per la profilassi post-esposizione in seguito a esposizioni relativamente ad alto rischio si raccomanda una combinazione di un inibitore delle proteasi con due inibitori della transcrittasi inversa. La zidovudina (ZDV o AZT) è sembrata in uno studio ridurre il rischio di trasmissione dopo punture d’ago e questa è l’unica evidenza che la profilassi funzioni. A causa del basso rischio di infezione a seguito della maggior parte delle esposizioni, studi prospettici controllati di efficacia della profilassi non sono praticabili. Tumori o difetti alla nascita successivi a brevi esposizioni a questi farmaci non sono stati riscontrati in quei pochi soggetti, peraltro sani, che hanno utilizzato la ZDV per questo scopo. Dal momento che ad alcune donne in fase precoce di gravidanza può venire offerta una profilassi a seguito di esposizione prima che la gravidanza sia sospettata o confermata, nelle donne in potenziale stato di gravidanza devono essere prese speciali precauzioni. Problemi aggiuntivi sorgono quando sono ignoti, per quanto concerne il HIV, il paziente fonte o lo stato sierologico del sangue, ma vanno assolutamente tentati l’identificazione della fonte e lo screening del soggetto per il HIV.

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Prevenzione delle infezioni opportunistiche

La profilassi primaria per la polmonite da P. carinii è raccomandata per i pazienti con livelli di CD4< 200/ml. L’intervallo tra le somministrazioni in grado di fornire la massima protezione con il farmaco di scelta, trimetoprim-sulfametoxazolo (TMP-SMX), non è stato determinato. Una compressa a giorni alterni è tollerata meglio di una compressa "forte" al giorno e schemi che prevedono il progressivo aumento della dose migliorano la tollerabilità. Alcuni pazienti che non possono tollerare il TMP-SMX tollerano il dapsone. Dal momento che sia i sulfamidici che i sulfoni provocano effetti collaterali (p. es., febbre, neutropenia, rash cutanei), in una minoranza dei pazienti, la pentamidina per aerosol rappresenta un’utile alternativa.

Per le infezioni micobatteriche, da toxoplasma e fungine è stata sviluppata una profilassi primaria. La rifabutina, la claritromicina e l’azitromicina possono contribuire a prevenire le infezioni disseminate da MAC nei pazienti con livelli di CD4 < 50 cell/ml. L’azitromicina può essere il farmaco preferito, in quanto si somministra una sola volta a settimana (2 compresse da 600 mg), fornisce una protezione (70%) simile a quella fornita dalla somministrazione della claritromicina e non interagisce con altri farmaci. La prevenzione della riattivazione della TBC è importante nei pazienti che hanno la probabilità di avere infezioni inattive di Mycobacterium tuberculosis. Si raccomanda il trattamento quotidiano con isoniazide.

Il rischio di riattivazione di Toxoplasma gondii, specialmente del cervello, è indicato dagli anticorpi (IgG) nel siero che identificano le infezioni latenti di Toxoplasma. L’encefalite da toxoplasma è relativamente rara negli USA in quanto le infezioni latenti da toxoplasma sono rare negli USA (circa il 15% degli adulti) confrontata con l’Europa e la maggior parte dei paesi in via di sviluppo e in quanto il TMP-SMX usato per la prevenzione della polmonite da pneumocystis fornisce un’eccellente protezione.

Per alcune infezioni fungine profonde (p. es., candidosi esofagea o meningite criptococcica e polmonite), la profilassi primaria con fluconazolo assunto quotidianamente (100 mg) o settimanalmente (400 mg) si è mostrata efficace. La prevenzione di queste malattie è costosa e può non essere indicata dal momento che, nella maggior parte dei casi, esse sono suscettibili al trattamento.

La profilassi secondaria è indicata con il fluconazolo per i pazienti con candidosi orale, vaginale o esofagea recidivante o per la meningite criptococcica o la polmonite; per l’istoplasmosi, invece, e probabilmente per alcune forme di aspergillosi, può essere utilizzato l’itraconazolo (v. Cap. 158). Anche la profilassi secondaria è indicata per prevenire le recidive di polmonite da P.carinii, infezioni criptococciche, encefalite da toxoplasma e herpes simplex (v. rispettivamente Cap. 73, 158, 161 e 154).

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Terapia

Diversi nuovi principi di terapia per l’infezione da HIV sono emersi nel corso della seconda metà degli anni ‘90. Nuove metodologie per misurare rapidamente gli effetti dei farmaci sul HIV nel sangue, cioè la soppressione dei livelli plasmatici di HIV RNA e una migliore comprensione della rapida produzione di HIV, anche negli stadi di malattia clinicamente inattivi, hanno cambiato l’approccio alla terapia antiretrovirale.

Combinazioni di farmaci che hanno di solito come bersaglio due enzimi (la transcrittasi inversa e la proteasi) costituiscono ora lo standard terapeutico e l’uso di farmaci in monoterapia viene scoraggiato. Il trattamento con una combinazione da due a quattro farmaci può interrompere rapidamente la riproduzione virale, preservare la funzionalità immunitaria e diminuire la probabilità di emergenza di mutanti virali farmaco-resistenti. La durata della risposta alle diverse combinazioni di farmaci varia con la loro capacità di sopprimere con successo completamente la replicazione virale, che di solito richiede una adesione continua a combinazioni di tre potenti farmaci.

I livelli plasmatici di HIV RNA forniscono uno strumento rapido e diretto di misura degli effetti dei farmaci antiretrovirali. Il monitoraggio terapeutico dei livelli di HIV RNA valuta all’inizio (a 4-8 sett.) e in corso di terapia (ogni 3-4 mesi) l’effetto della terapia combinata. La riduzione dell’RNA plasmatico è diventato il metodo accettato di misura degli effetti della monoterapia o delle terapie di combinazione. Livelli in aumento possono indicare una non adesione ai regimi prescritti o l’emergenza di varianti genetiche di HIV resistenti ai farmaci.

La terapia dei pazienti con livelli plasmatici misurabili di RNA (> 400 copie/ml) anche in caso di conta di linfociti CD4 relativamente alta (> 500 cell/ml) viene ora raccomandata da alcuni esperti. L’evidenza che giustifica questo approccio intensivo e costoso alla terapia in pazienti con malattia meno avanzata (CD4 > 500) rimane anedottica. L’alta velocità di riproduzione virale e clearance virale dimostrata nella maggior parte dei pazienti a tutti gli stadi di HIV giustifica questo approccio.

Farmaci antiretrovirali: i farmaci antiretrovirali utilizzati nel trattamento dell’infezione da HIV sono elencati per classe nella Tab. 163-3 per nome generico e abbreviato. Viene inoltre indicato lo stato dei singoli farmaci, nel 1998, rispetto all’iter di approvazione da parte della FDA. Tre delle quattro classi di farmaci disponibili agiscono inibendo la transcrittasi inversa del HIV; gli inibitori della proteasi interferiscono con l’attività della proteasi del HIV (v. Patogenesi, sopra).

La maggior parte degli esperti raccomanda che i pazienti ad ogni stadio dell’infezione da HIV con più di 5000 copie/ml di HIV RNA sia trattato con una combinazione di terapia, inclusi due nucleosidi (p. es., ZDV e lamivudina [3TC]), due nucleosidi e un inibitore delle proteasi (p. es., indinavir) o due nucleosidi e un inibitore delle transcrittasi inversa non nucleosidico (p. es., nevirapina). Sebbene alcuni farmaci interagiscono con altri e ne influenzino la loro metabolizzazione, in alcuni casi questo è di ausilio. Per esempio, quando due inibitori delle proteasi, saquinavir e ritonavir, sono combinati, il ritonavir aiuta ad aumentare i livelli del saquinavir diminuendo la sua metabolizzazione.

Un’altra utile interazione coinvolge la prevenzione della o la compensazione per la selezione di mutanti genetici del HIV farmaco-resistenti. Per esempio, se somministrato in monoterapia, il 3TC seleziona rapidamente ceppi di HIV con una singola mutazione che permette al virus di crescere in presenza del farmaco. Dopo alcuni mesi di terapia di ZDV, molti pazienti sviluppano una mutazione che riduce l’effetto antivirale della ZDV. Tuttavia, se il 3TC e la ZDV sono somministrate insieme, la combinazione raggiunge una notevole soppressione del HIV, anche in pazienti con resistenza alla ZDV, in quanto la mutazione per la resistenza al 3TC aumenta la suscettibilità del HIV alla ZDV.

Le combinazioni possono essere pericolose se comportano l’aumento o la diminuzione dell’eliminazione di uno dei farmaci, portando a livelli di farmaco che possono essere o troppo elevati o troppo bassi o se hanno una tossicità combinata. Le informazioni sulle combinazioni farmacologiche si vanno rapidamente accumulando e condizioneranno le scelte future.

Gli effetti collaterali dei farmaci antiretrovirali, che variano con il tipo di farmaco e con la dose, rimangono una preoccupazione costante sia per i pazienti che per i medici. Molti effetti collaterali (p. es., cefalea da ZDV) spesso divengono meno gravi con il passare del tempo, ma altri (p. es., gastralgie con la didanosina) possono indicare problemi gravi (p. es., pancreatite) che richiedono un’azione immediata. Dal momento che alcuni effetti collaterali (p. es., anemia, pancreatite, epatite, intolleranza al glucoso) possono essere evidenziati da test ematochimici prima che causino sintomi, il monitoraggio periodico dei parametri ematologici ed ematochimici così come dei sintomi è fondamentale. Infine, la durata della terapia non è definita: i farmaci vanno assunti soltanto fin quando i benefici della terapia antiretrovirale sono superiori agli effetti collaterali e ai costi. I gravi effetti collaterali dei farmaci antiretrovirali sono elencati nella Tab. 163-3.

La resistenza farmacologica è più probabile se i pazienti ricevono un’inadeguata fornitura di farmaci o non assumono la terapia secondo le indicazioni ricevute. Sebbene la terapia combinata ritardi la selezione di mutanti di HIV resistenti, di solito essi non la prevengono a meno che non si ottenga una soppressione totale della replicazione virale. Un’attenzione stretta all’adesione dei pazienti alle indicazioni terapeutiche e un monitoraggio del HIV RNA plasmatica aiuta sicuramente a limitare le selezione di ceppi resistenti.

Alcune complicanze da HIV del SNC, al momento non trattabili (p. es., la leucoencefalopatia progressiva multifocale), possono rispondere alla terapia antiretrovirale se viene corretto il difetto immune primario. Sono state documentate risposte alla terapia antiretrovirale in pazienti che presentavano disturbi cognitivi HIV indotti. La misurazione dei livelli di HIV RNA nel liquor sembra fornire uno strumento di valutazione della replicazione del HIV e degli effetti della terapia antiretrovirale sul cervello, ma l’utilità del monitoraggio dell’RNA del LCR non è ancora stata dimostrata.

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