15. DISTURBI PSICHIATRICI

189. DISTURBI DELL'UMORE

(Disturbi affettivi)

Gruppo di malattie eterogenee, tipicamente ricorrenti, che comprende i disturbi monopolari (depressivi) e quelli bipolari (maniaco-depressivi), caratterizzati da alterazioni pervasive dell’umore, disfunzioni psicomotorie e sintomi vegetativi.

(Per i disturbi dell’umore nell’infanzia, v. il Cap. 274)

Sommario:

Introduzione
Epidemiologia
Eziologia
Rischio di suicidio
Diagnosi

La pratica diagnostica attuale pone l’accento sulla depressione e sull’euforia come i componenti affettivi fondamentali dei disturbi dell’umore. Tuttavia, l’ansia e l’irritabilità sono altrettanto comuni, il che spiega la persistente popolarità del termine più generico "disturbo affettivo", la precedente denominazione ufficiale.

La tristezza e la gioia fanno parte della vita quotidiana e vanno distinte dalla depressione clinica e dall’euforia patologica. La tristezza, o depressione normale, è una risposta universale dell’uomo alle sconfitte, alle delusioni e ad altre avversità; tale risposta può essere di tipo adattativo, permettendo un ritiro che preservi le risorse interiori. La depressione passeggera ("blues") si può avere come reazione ad alcune festività o anniversari significativi, durante la fase premestruale e nelle prime 2 sett. dopo un parto. Tali reazioni non sono anormali, ma le persone predisposte alla depressione possono scompensarsi proprio in questi periodi.

Il cordoglio (lutto normale), prototipo della depressione reattiva, si presenta in risposta a separazioni e perdite significative (p. es., morte, separazione coniugale, delusioni amorose, abbandono dell’ambiente familiare, emigrazione forzata, catastrofi civili). Il cordoglio può manifestarsi con sintomi d’ansia come insonnia, agitazione, iperattività del sistema nervoso autonomo. Analogamente ad altre avversità, in genere le separazioni e le perdite non causano una depressione clinica, eccetto che nelle persone predisposte a un disturbo dell’umore.

L’euforia, di solito legata al successo e al raggiungimento di obiettivi, è a volte considerata come una difesa contro la depressione o come negazione del dolore di una perdita (p. es., una rara forma di reazione al lutto in cui un’iperattività euforica può sostituire completamente il più prevedibile cordoglio). Nei soggetti predisposti, tali reazioni possono condurre alla mania. Una depressione paradossa può far seguito a eventi positivi, probabilmente perché le maggiori responsabilità a essi associate spesso vanno affrontate da soli.

Si pone diagnosi di depressione o di mania quando la tristezza o l’euforia sono eccessivamente intense e permangono oltre l’impatto prevedibile di un evento vitale stressante oppure insorgono in assenza di un fattore stressante. I sintomi e i segni spesso si raggruppano in sindromi distinte che di solito recidivano o, più raramente, perdurano senza remissione. La depressione e la mania cliniche, a differenza delle reazioni emotive normali, causano una marcata compromissione delle funzioni fisiche, sociali e della capacità lavorativa.

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Epidemiologia

Una determinata forma di disturbo dell’umore che può richiedere attenzione clinica colpisce il 20% delle donne e il 12% degli uomini. Queste percentuali corrispondono in gran parte al disturbo depressivo maggiore monopolare e alle sue varianti. Sebbene l’incidenza del disturbo bipolare nella popolazione generale sia stata stimata inferiore al 2%, le nuove stime sono vicine al 4-5%. La depressione colpisce con un’incidenza doppia le donne rispetto agli uomini; il disturbo bipolare ha incidenza uguale nei due sessi, ma le forme depressive prevalgono nelle donne e quelle maniacali negli uomini. Il disturbo bipolare di solito esordisce nell’adolescenza, tra i 20 e i 30 anni, o tra i 30 e i 40; i disturbi monopolari esordiscono, in media, tra i 20 e i 30 anni, tra i 30 e i 40, o tra i 40 e i 50. Le persone nate nei 20 anni successivi alla seconda guerra mondiale hanno tassi più elevati di depressione e suicidio, spesso associati a tassi maggiori di abuso di sostanze, rispetto a quelle nate prima. Il sesso femminile è il maggior fattore di rischio demografico di depressione; la classe sociale, la cultura e la razza non hanno mostrato un’associazione significativa con la depressione. Tuttavia, il disturbo bipolare è leggermente più comune nelle classi socioeconomiche elevate. Le manifestazioni cliniche dei disturbi dell’umore sembrano modificate da fattori culturali. Per esempio, le lamentele fisiche, la preoccupazione, la tensione e l’irritabilità sono manifestazioni comuni nelle classi socioeconomiche più basse; le rimuginazioni su temi di colpa e l’auto-rimprovero sono più caratteristici della depressione nelle culture anglosassoni; la mania tende a manifestarsi in maniera più florida in alcune regioni mediterranee e africane e tra i neri americani. Fattori economici, come la disoccupazione e i tracolli finanziari improvvisi, sono stati associati a più alti tassi di suicidio tra gli uomini.

I disturbi dell’umore sono i disturbi psichiatrici a più alta prevalenza, poiché contribuiscono al 5% dei pazienti nei servizi pubblici di salute mentale, al 65% dei pazienti psichiatrici ambulatoriali, e al 10% di tutti i pazienti visitati in strutture mediche non psichiatriche.

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Eziologia

Disturbi dell’umore primari: l’interazione di numerosi fattori contribuisce all’insorgenza di questi disturbi. L’eredità; è il fattore predisponente più importante. La modalità ereditaria precisa è incerta, ma in alcune forme di disturbo bipolare possono essere implicati geni dominanti (legati al cromosoma X o autosomici). L’ereditarietà poligenica, come substrato genetico comune per il disturbo bipolare e per quello monopolare ricorrente, è l’ipotesi più diffusa. Ciò che si eredita non è noto. Tuttavia si ritiene che la via finale comune dei disturbi dell’umore sia una compromissione della funzionalità limbico-diencefalica; studi recenti di neuroimmagine coinvolgono inoltre le strutture extrapiramidali sottocorticali e le loro connessioni prefrontali. La neurotrasmissione colinergica, catecolaminergica (noradrenergica o dopaminergica) e serotonergica (5-HT) appare soggetta a disregolazione. L’eredità può anche accrescere la probabilità di una depressione attraverso l’esposizione dei bambini agli effetti negativi dei disturbi dell’umore dei loro genitori (p. es., rottura di legami affettivi).

La perdita di un genitore nell’infanzia non accresce il rischio di sviluppare un disturbo dell’umore da parte di una data persona. Tuttavia, se tale persona sviluppa un disturbo dell’umore, la depressione tende a insorgere in età più precoce e segue un decorso cronico intermittente, che porta a un marcato disturbo della personalità e a tentativi di suicidio.

Gli eventi stressanti che scatenano gli episodi di un disturbo affettivo possono essere di tipo biologico o psicologico. Eventi vitali traumatici, specialmente separazioni, spesso precedono gli episodi depressivi e maniacali; tuttavia, tali eventi possono rappresentare le manifestazioni prodromiche di un disturbo dell’umore, piuttosto che la sua causa (p. es., i soggetti con disturbi affettivi spesso si estraniano dalle persone a loro care). Il viraggio dalla depressione alla mania è spesso annunciato da una riduzione del sonno che dura da 1 a 3 gg, e può essere indotto sperimentalmente con la deprivazione del sonno, particolarmente della fase a movimenti oculari rapidi (Rapid Eye Movement, REM). Tale viraggio spesso fa seguito a una terapia con antidepressivi. Anche l’uso di stimolanti, la sospensione di sedativi-ipnotici, i viaggi intercontinentali e i cambiamenti di luce stagionali possono indurre la mania.

Sebbene possano essere affetti da una depressione clinica i soggetti con ogni tipo di personalità, questa é più comune nelle persone con temperamento predisposto alla distimia e alla ciclotimia. La depressione monopolare é di insorgenza più probabile nelle persone con introversione e tendenze ansiose. Tali persone spesso non hanno le abilità sociali necessarie per adattarsi a richieste vitali significative e guariscono con difficoltà da un episodio depressivo. Le persone con disturbo bipolare tendono a essere estroverse e competitive; utilizzano spesso l’attività come mezzo per combattere la depressione.

Il fatto che il sesso femminile sia un fattore di rischio per depressione viene solitamente spiegato con la presunta natura maggiormente affiliativa delle donne, con i loro tratti di dipendenza e con l’impossibilità di controllare il loro destino nelle società maschiliste. Tuttavia, anche fattori di vulnerabilità biologica risultano rilevanti. Avere due cromosomi X è un fattore importante nei disturbi bipolari, se in essi è implicato un linkage-X dominante. In confronto agli uomini, le donne hanno livelli più elevati di monoaminossidasi (l’enzima che degrada i neurotrasmettitori considerati importanti per l’umore). La funzionalità tiroidea è più spesso alterata nelle donne. Le donne possono usare contraccettivi orali contenenti progesterone, ritenuto una sostanza depressogena, e subire alterazioni endocrine premestruali e post-partum. Le donne depresse manifestano con maggiore probabilità lo stile di personalità introverso, rimuginante-inibito tipico dei disturbi monopolari, mentre gli uomini depressi hanno con più probabilità lo stile estroverso, orientato all’azione, tipico dei disturbi bipolari.

Disturbi dell’umore secondari: spesso, un disturbo dell’umore insorge in associazione a un disturbo non affettivo attraverso un meccanismo che può essere fisiologico, psicologico o di ambedue i tipi (v. Tab. 189-1). Alcuni disturbi, come la depressione mixedematosa, sono causati da fattori fisio-chimici e sono considerati depressioni sintomatiche. Altri, come la depressione che accompagna disturbi cardiopolmonari debilitanti, vengono intepretati di solito come reazioni depressive al disturbo di base. Spesso sono in gioco ambedue i meccanismi (p. es., nei pazienti con AIDS che hanno una disfunzione cerebrale e una profonda tristezza). Il disturbo bipolare è raramente la complicanza di un altro disturbo psichiatrico; se è preceduto da abuso di alcol o di sostanze, ciò rappresenta più probabilmente un tentativo di curare da sé le manifestazioni prodromiche del disturbo.

I riscontri emergenti sui disturbi non affettivi e sui farmaci che producono depressione suggeriscono che la patogenesi di tutti i disturbi dell’umore forma un continuum, e che la distinzione tra disturbi dell’umore primari e secondari è arbitraria. Tutti i pazienti che soddisfano i criteri per un disturbo dell’umore devono essere trattati a prescindere da quali altri disturbi siano presenti e a prescindere da quanto la depressione appaia comprensibile alla luce del disturbo di base.

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Rischio di suiicidio

Il suicidio, la complicanza più grave nei pazienti con disturbi dell’umore, è la causa di morte nel 15-25% dei pazienti con tali disturbi senza trattamento; la depressione non diagnosticata o trattata in modo inadeguato contribuisce al 50-70% dei suicidi. Il suicidio, che ha la maggiore incidenza nei giovani e negli anziani che non hanno un buon supporto sociale, tende a verificarsi entro 4-5 anni dal primo episodio clinico. I periodi maggiormente a rischio sono la fase precoce di remissione della depressione (quando l’attività psicomotoria sta tornando normale, ma l’umore è ancora flesso), gli stati misti bipolari, la fase premestruale e gli anniversari personali significativi (v. anche Cap. 190). Anche l’abuso concomitante di alcol e di sostanze accresce il rischio di suicidio. Una disfunzionalità serotoninergica sembra essere uno dei fattori biochimici implicati nel suicidio; la profilassi con litio (che stabilizza il sistema serotoninergico) è efficace per la sua prevenzione.

Tra tutti i farmaci prescritti per i disturbi dell’umore, l’overdose con un antidepressivo eterociclico o con il litio (v. anche Tab. 307-3) ha maggiori probabilità di essere letale; spesso l’alcol é un fattore di complicanza. L’overdose da antidepressivi eterociclici causa un coma iperattivo con effetti atropinici; la causa di morte è di solito una aritmia cardiaca o uno stato di male convulsivo. A causa del legame proteico, la diuresi forzata e l’emodialisi sono inutili, e il trattamento va focalizzato sulla stabilizzazione delle funzioni cardiache e cerebrali. Per l’overdose da litio, la diuresi forzata con cloruro di sodio o mannitolo, l’alcalinizzazione delle urine e l’emodialisi possono essere misure salvavita. Gli inibitori delle monoaminossidasi, attualmente prescritti meno spesso, causano raramente overdose. Gli antidepressivi più recenti (p. es., gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, la venlafaxina, il nefazodone, la mirtazapina, il bupropione) in genere non sembrano fatali nell’overdose a scopo di suicidio (uno dei loro maggiori vantaggi).

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Diagnosi

La diagnosi si basa sul quadro sintomatologico (v. Tab. 189-2), sul decorso, sull’anamnesi familiare e sulla risposta a volte inequivocabile ai trattamenti somatici. Devono essere escluse cause mediche o neurologiche secondarie, soprattutto dopo i 40 anni.

Non vi sono esami di laboratorio patognomonici per i disturbi dell’umore. A volte, in strutture di ricerca, vengono utilizzati alcuni test di funzionalità limbico-diencefalica, come il test di stimolazione con l’ormone stimolante del rilascio della tireotropina (TRH), il test di soppressione con desametasone (DST) e l’EEG da sonno per la latenza dei movimenti oculari rapidi (REM). Non vi è accordo sulla sensibilità e specificità diagnostica di questi test, e non servono allo screening. Un risultato negativo al test non esclude un disturbo depressivo; sul piano clinico, un risultato positivo è più significativo.

Quando i sintomi d’ansia sono predominanti, la diagnosi di depressione può essere difficile (v. Tab. 189-3). Nei disturbi depressivi primari sono comuni preoccupazioni eccessive, attacchi di panico e sintomi ossessivi, che scompaiono quando l’episodio depressivo va incontro a remissione. Di converso, nei disturbi d’ansia primari, questi sintomi di solito fluttuano in modo irregolare, e la remissione dei sintomi depressivi generalmente non li elimina. Predominanti sintomi d’ansia che compaiono per la prima volta dopo i 40 anni sono molto probabilmente ascrivibili a un disturbo primario dell’umore.

Con stato misto ansioso-depressivo (depressione ansiosa) si intendono quegli stati in cui sono presenti sintomi lievi comuni all’ansia e ai distur

bi dell’umore. Di solito tali stati seguono un decorso cronico intermittente. In ragione della maggiore gravità dei disturbi depressivi e del rischio di suicidio, i pazienti con stato misto ansioso-depressivo vanno trattati per la depressione. Ossessioni, panico e fobie sociali con depressione ipersonnica suggeriscono un disturbo bipolare di tipo II.

Negli anziani, la pseudodemenza depressiva si associa a ritardo psicomotorio, diminuzione della concentrazione e compromissione della memoria, e quindi può essere confusa con la demenza in fase precoce, che spesso esordisce con alterazioni affettive (v. Demenza nel Cap. 171). In generale, quando la diagnosi è incerta, va tentato il trattamento del disturbo depressivo, in ragione della sua migliore prognosi. Numerose caratteristiche (v. Tab. 189-4) possono essere d’aiuto nella diagnosi differenziale.I termini depressione mascherata e equivalenti affettivi vengono spesso usati per spiegare sintomi fisici prevalenti (p. es., cefalea, faticabilità, insonnia) o disturbi del comportamento quando le alterazioni dell’umore sono minime o assenti. Gli equivalenti affettivi comprendono i passaggi all’atto di tipo antisociale (specialmente nei bambini e negli adolescenti), le condotte impulsive di rischio, il gioco d’azzardo, il dolore cronico, l’ipocondria, gli stati d’ansia e i cosiddetti disturbi psicosomatici. In mancanza di sintomi affettivi di base, la diagnosi di disturbo dell’umore non è esatta, a meno che nel passato non si siano verificati episodi di tipo affettivo, che la condizione recidivi periodicamente e che l’anamnesi familiare includa disturbi dell’umore. Poiché la diagnosi può essere difficile, vengono spesso condotti dei tentativi terapeutici con antidepressivi e/o stabilizzanti dell’umore.

La diagnosi differenziale tra i disturbi dell’umore cronici intermittenti, come la ciclotimia e la distimia, e i disturbi da uso di sostanze è difficile. La depressione monopolare è una causa meno comune di alcolismo e di abuso di sostanze di quanto si pensasse un tempo (v. Cap. 195). I pazienti depressi e maniacali possono usare alcol o sostanze nel tentativo di trattare i propri disturbi del sonno, e i pazienti maniacali possono ricercare le sostanze (p. es., la cocaina) per aumentare l’eccitamento, di solito con effetti catastrofici sulla loro malattia. I disturbi da uso di sostanze possono essere accompagnati dagli effetti tossici delle sostanze stesse, da astinenza o da complicanze di tipo sociale, causando così una depressione transitoria o intermittente. Un abuso di sostanze episodico, specialmente di alcol (dipsomania), o un esordio dopo i 30 anni suggeriscono la diagnosi di disturbo dell’umore primario con abuso di sostanze secondario. Quando la diagnosi è in dubbio, un tentativo terapeutico con un antidepressivo o con farmaci stabilizzanti dell’umore può avere spesso una validità clinica.La distinzione tra una psicosi affettiva e la schizofrenia o il disturbo schizoaffettivo (v. Cap. 193) può essere difficile, perché nei disturbi dell’umore si manifestano anche molte caratteristiche schizofreniche (p. es., deliri o allucinazioni non congrue all’umore). È importante porre la diagnosi corretta, perché il litio può causare neurotossicità nella schizofrenia e i neurolettici possono causare discinesia tardiva nei disturbi dell’umore. La diagnosi deve basarsi sul quadro clinico globale, sull’anamnesi familiare, sul decorso e sulle caratteristiche associate (v. Tab. 189-5). Anche l’allucinosi alcolica, la sospensione di farmaci sedativo-ipnotici, la psicosi da sostanze psichedeliche e altri disturbi sistemici o cerebrali possono produrre sintomi psicotici. La diagnosi di disturbo schizoaffettivo non va posta sino a che non siano stati esclusi tali fattori complicanti. Quando la diagnosi è dubbia, vi è l’indicazione per un tentativo terapeutico con un antidepressivo, con uno stabilizzante dell’umore oppure con la terapia elettroconvulsiva, in ragione della miglior prognosi dei disturbi dell’umore.

Anche la distinzione tra disturbi dell’umore e disturbi di personalità gravi (p. es., personalità borderline) può essere difficile, specialmente quando il disturbo dell’umore ha un decorso cronico o intermittente (come p. es., la distimia, la ciclotimia o il disturbo bipolare di tipo II). Un decorso precedente con manifestazioni affettive, specialmente se bifasiche, e un’anamnesi familiare di disturbi dell’umore vanno a supporto della diagnosi. Alcuni esami di laboratorio (soprattutto la latenza REM e la stimolazione con TRH) sono simili nei pazienti con disturbo di personalità borderline e in quelli con disturbi dell’umore; questa analogia può voler dire che i due disturbi sono correlati o che questi test non sono utili alla diagnosi differenziale. Alcuni esperti ritengono che almeno alcune forme di disturbo borderline di personalità rappresentino una variante di un disturbo dell’umore, ma questa teoria è controversa. Per i pazienti giovani che hanno un decorso tempestoso e impulsivo che potrebbe culminare in gravi tentativi di suicidio, si raccomanda un tentativo con farmaci timolettici e stabilizzanti dell’umore, condotto da personale esperto in un setting controllato (un ospedale o una clinica per disturbi dell’umore).

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