15. DISTURBI PSICHIATRICI

189. DISTURBI DISTURBI DELL'UMORE

DEPRESSIONE

(Disturbo monopolare)

Sommario:

Introduzione
Sintomi, segni e diagnosi
Terapia


Nella sua piena espressione sindromica, la depressione clinica si manifesta come disturbo depressivo maggiore, con decorso episodico e gradi variabili di manifestazioni residuali tra gli episodi.

Inizio Pagina

Sintomi, segni e diagnosi

L’umore è tipicamente depresso, irritabile e/o ansioso. Il paziente può apparire infelice, con la fronte corrugata, gli angoli della bocca rivolti in giù, la postura curva, il contatto visivo scarso e l’eloquio monosillabico (o assente). L’umore patologico può essere accompagnato da rimuginazioni di colpa, idee di autodeprezzamento, diminuzione della capacità di concentrazione, indecisione, diminuzione dell’interesse per le attività abituali, ritiro, senso di impotenza e disperazione e idee ricorrenti di morte e di suicidio. I disturbi del sonno sono frequenti. In alcuni casi, il disturbo dell’umore è così profondo da non consentire il pianto; il paziente lamenta l’incapacità di provare le normali emozioni (come il dolore, la gioia e il piacere) e la sensazione che il mondo sia diventato senza colore, senza vitalità, come morto. In questi pazienti, il ritorno della capacità di piangere è di solito un segno di miglioramento.

La melancolia (precedentemente detta depressione endogena) ha un quadro clinico qualitativamente distinto, caratterizzato da marcato rallentamento psicomotorio (del pensiero e dell’attività) o agitazione (p. es., i pazienti sono irrequieti, si torcono le mani, hanno urgenza dell’eloquio), perdita di peso, sensi di colpa irrazionali e perdita della capacità di provare piacere. L’umore e l’attività hanno variazioni diurne, con nadir al mattino. La maggior parte dei pazienti con manifestazioni melancoliche lamenta difficoltà nell’addormentamento, risvegli frequenti e insonnia a metà notte e al primo mattino. Il desiderio sessuale è spesso diminuito o perso. Può aversi amenorrea. L’anoressia e la perdita di peso possono portare a deperimento e ad anomalie secondarie del bilancio elettrolitico.

Alcuni esperti considerano le manifestazioni psicotiche, che si verificano nel 15% di tutti i pazienti con manifestazioni melancoliche, il contrassegno di un sottotipo depressivo delirante o psicotico. I pazienti hanno la convinzione delirante di avere commesso colpe o crimini imperdonabili; voci allucinatorie li incolpano di vari misfatti e li condannano a morte. Si possono manifestare allucinazioni visive (p. es., di bare o di familiari deceduti), che tuttavia sono infrequenti. I sentimenti di insicurezza e di indegnità possono condurre alcuni pazienti a credere di essere osservati o perseguitati. Altri credono di avere malattie incurabili o vergognose (p. es., il cancro o una malattia a trasmissione sessuale) e di poter contaminare altre persone. Molto raramente, una persona con depressione psicotica può uccidere dei familiari, figli compresi, per "salvarli" da future disgrazie e poi suicidarsi. I risultati del test di soppressione al desametasone nei pazienti con depressione psicotica sono costantemente positivi.

Nella depressione atipica, caratteristiche vegetative inverse dominano la presentazione clinica; esse includono sintomi ansioso-fobici, peggioramento serale, insonnia iniziale, ipersonnia spesso anche diurna e iperfagia con aumento di peso. A differenza dei pazienti con manifestazioni melancoliche, quelli con depressione atipica mostrano miglioramento dell’umore grazie a eventi potenzialmente positivi, ma spesso cadono in una depressione paralizzante per la più lieve avversità. La depressione atipica e i disturbi bipolari di tipo II si sovrappongono largamente.

La diagnosi di depressione clinica è di solito agevole, ma il riconoscimento dei sintomi più lievi può essere difficile. Per esempio, nel disturbo depressivo maggiore con remissione incompleta, i sintomi depressivi classici scompaiono e vengono sostituiti da preoccupazioni ipocondriache subacute o croniche, da malumore con irritabilità e da problemi coniugali secondari. In altri pazienti, considerati depressi mascherati, la depressione può non essere vissuta in maniera consapevole. Piuttosto, i pazienti si lamentano di essere malati fisicamente e possono indossare una maschera difensiva di apparente allegria (depressione sorridente). Altri lamentano stanchezza, algie e dolori vari, paura di calamità e paura di impazzire. In questi pazienti la latenza REM è abbreviata, a supporto della natura affettiva della presentazione clinica.

La diagnosi si basa sull’insieme di segni e sintomi descritti sopra e va presa in considerazione per tutti i pazienti, particolarmente quelli che dicono di non aver bisogno di trattamento, oppure rifiutano di cooperare con le procedure mediche o i trattamenti necessari.

Inizio Pagina

Terapia

Principi generali: la maggior parte dei soggetti con depressione viene trattata ambulatorialmente. La farmacoterapia, applicata nel contesto di una terapia di sostegno e di un intervento psicoeducazionale (v. oltre), è il trattamento di scelta per la depressione da moderata a grave; la depressione più lieve può essere trattata con la psicoterapia. Tutti i pazienti con depressione devono essere interrogati con tatto ma direttamente circa l’ideazione, i piani o i gesti di suicidio. Tutte le comunicazioni a contenuto autodistruttivo vanno prese sul serio.

All’inizio, il medico deve visitare i pazienti con depressione una o due volte a sett. per fornire sostegno e informazioni sul disturbo, nonché per monitorare i progressi. Durante le fasi precoci del trattamento, può essere d’aiuto tenersi in contatto con il paziente e la sua famiglia con qualche telefonata. Poiché molte persone provano imbarazzo e demoralizzazione per il fatto di avere un disturbo mentale, il paziente, la sua famiglia e il suo datore di lavoro (quando sia utile e con il consenso informato del paziente) vanno informati del fatto che molto spesso la depressione è un disturbo medico autolimitante con prognosi favorevole. Alcuni pazienti possono trovare inaccettabile la diagnosi di depressione, e il medico deve rassicurarli che la depressione non riflette un difetto caratteriale, fornendo qualche spiegazione sulle alterazioni biologiche della depressione. I pazienti preoccupati dal "prendere farmaci" possono essere rassicurati che gli antidepressivi non creano un’abitudine. Dire ai pazienti che il percorso verso la guarigione spesso è oscillante aiuta a ridurre la demoralizzazione e assicura la compliance. Il trattamento degli episodi depressivi con i farmaci va proseguito per un periodo pari almeno alla durata naturale di un episodio (cioè, 6 mesi).

Spesso dei consigli specifici sono di giovamento ai pazienti, come dire loro di essere quanto più attivi possibile, ma senza intraprendere impegni insormontabili, di provare a stare in compagnia, di non darsi la colpa per la propria depressione e di ricordare che i cattivi pensieri sono parte della malattia e passeranno. Alle persone significative per il paziente va detto che la depressione è una malattia grave che richiede un trattamento specifico; che i pazienti con depressione non sono pigri; che la perdita della persona amata o del lavoro è spesso il risultato, non la causa della depressione; che la religione può dare conforto ma non cura; che l’attività fisica non è un trattamento specifico per la depressione e che le vacanze possono causare un peggioramento.

Antidepressivi: gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) comprendono la fluoxetina, la sertralina, la paroxetina e la fluvoxamina (v. Tab. 189-6).

I principi seguenti sono utili alla comprensione di come gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (Selective Serotonin Reuptake Inhibitors, SSRI) e gli altri antidepressivi di nuova generazione influenzano il sistema serotoninergico (5-idrossitriptamina, 5-HT). Il blocco presinaptico della 5-HT produce una maggiore quantità di 5-HT che va a stimolare i numerosi recettori 5-HT postsinaptici. La stimolazione dei recettori 5-HT 1 è associata a effetti antidepressivi e ansiolitici. La stimolazione dei recettori 5-HT2 produce nervosismo, insonnia e disfunzione sessuale e il loro blocco è associato a miglioramento della depressione. La stimolazione dei recettori 5-HT3 si associa a nausea e cefalea e il loro blocco elimina la nausea.

Impedendo la ricaptazione presinaptica della 5-HT, gli SSRI come effetto finale portano a una funzione serotoninergica centrale più efficiente. Non hanno effetti anticolinergici e antiadrenergici, né effetti sulla conduzione cardiaca. Sebbene siano selettivi per il sistema serotoninergico, gli SSRI non hanno specificità di azione sui diversi recettori della 5-HT. Così, mentre la stimolazione dei 5-HT 1 causa effetti antidepressivi e ansiolitici, la stimolazione dei 5-HT 2 e dei 5-HT 3 provoca i comuni effetti collaterali dei SSRI: nausea, ansia, insonnia, cefalea, irrequietezza e disfunzione sessuale. Così, paradossalmente, gli SSRI possono sia eliminare che provocare l’ansia. Nei primissimi mesi può manifestarsi anoressia, specialmente con la fluoxetina; la perdita di peso può essere utile per i pazienti sovrappeso e nei bulimici. La sedazione è minima o inesistente, ma alcuni pazienti tendono alla sonnolenza diurna nelle prime sett. di trattamento. L’agitazione può rendere necessaria la sospensione nel 3-4% dei pazienti. Raramente, si verifica acatisia (dovuta a debole attività dopaminergica). I più comuni effetti collaterali sono quelli di tipo sessuale (p. es., diminuzione della libido, difficoltà orgasmiche) che interessano sino a 1/3 dei pazienti. Alcuni pazienti accettano questi effetti come il prezzo per il miglioramento della depressione, ma un paziente su dieci chiede il passaggio a un’altra classe di antidepressivi o ne ha necessità. Altri effetti collaterali sono la diarrea e la cefalea. Le interazioni farmacologiche sono rare. Gli SSRI in caso di sovradosaggio sono sicuri, hanno un ampio margine terapeutico e sono relativamente facili da somministrare, con scarsa necessità di aggiustamenti posologici (eccetto che per la fluvoxamina). Il successo di questi farmaci ha contribuito alla diffusa accettabilità del trattamento della depressione con gli antidepressivi da parte dei pazienti.

Gli SSRI sono indicati anche nei disturbi correlati alla depressione in cui gli antidepressivi eterociclici non sono efficaci, tra cui il disturbo distimico, la depressione atipica, quella stagionale, il disturbo ossessivo-compulsivo, la fobia sociale, la bulimia, la sindrome premestruale e probabilmente il disturbo borderline di personalità.

Il nefazodone, che blocca in primo luogo i recettori 5-HT2, inibisce anche la ricaptazione della 5-HT e della noradrenalina. Il risultato è un’azione antidepressiva e ansiolitica senza disfunzioni sessuali; inoltre non vi è il problema della nausea poiché il nefazodone blocca anche i recettori 5-HT3. A differenza della maggior parte degli antidepressivi, il nefazodone non sopprime il sonno REM e produce un sonno riposante. Tuttavia, possono insorgere gravi aritmie cardiache con l’uso contemporaneo di terfenadina o astemizolo.

Il trazodone, un antidepressivo simile al nefazodone, è un bloccante del recettore 5-HT2, ma non inibisce la ricaptazione presinaptica della 5-HT. Può causare priapismo (in 1 soggetto su 1000), che non è stato rilevato con il nefazodone. A differenza del nefazodone, il trazodone è un a1-bloccante noradrenergico e si associa a ipotensione posturale. È estremamente sedativo, quindi il suo uso in dosi antidepressive (> 400 mg/die) è limitato. Viene per lo più usato in dosi basse (da 50 a 100 mg prima del sonno) per eliminare l’insonnia dovuta agli SSRI.

La mirtazapina blocca gli autorecettori a2-adrenergici così come i recettori 5-HT2 e 5-HT3. Il risultato è una funzione serotoninergica più efficiente senza disfuzione sessuale e nausea. Non ha effetti avversi sulla funzione cardiaca, ha un’interazione minima con gli enzimi epatici che metabolizzano i farmaci ed è generalmente ben tollerata, fatta eccezione per la sedazione e l’aumento di peso mediato dal blocco dell’H1 (istamina).

Gli antidepressivi eterociclici, il trattamento standard per la depressione prima degli anni ‘90, comprendono i triciclici (le amine terziarie amitriptilina e imipramina e i loro metaboliti aminici secondari nortriptilina e desipramina), i triciclici modificati e gli antidepressivi tetraciclici. In acuto, questi farmaci aumentano principalmente la disponibilità di noradrenalina e in certo grado di serotonina, bloccando la loro ricaptazione nel vallo sinaptico. La somministrazione cronica desensibilizza i recettori b1-adrenergici sulla membrana postsinaptica (la possibile via comune finale della loro attività antidepressiva). Come gli SSRI, gli antidepressivi eterociclici sono efficaci nel 65% di tutti i pazienti clinicamente depressi. Sebbene i dati disponibili siano incerti, molti medici ritengono che questi farmaci abbiano un margine di superiorità rispetto agli SSRI nel trattamento dei pazienti con manifestazioni melancoliche e di quelli con depressione in regime di ricovero.

I più comuni effetti collaterali degli antidepressivi eterociclici derivano dal loro effetto di blocco muscarinico e dalle loro azionia1-antiadrenergiche. La maggior parte di questi antidepressivi è quindi inutilizzabile per i pazienti con malattie cardiache. Anche bassi dosaggi possono provocare tachicardia ed effetti chinidino-simili sulla conduzione cardiaca. La desipramina può indurre aritme gravi nei bambini. Poché gli antidepressivi eterociclici possono provocare ipotensione posturale, sono controindicati nei pazienti con osteoporosi, arteriosclerosi cerebrale o cardiopatia ischemica. Altri effetti collaterali frequenti comprendono visione offuscata, xerostomia, tachicardia, stipsi e ritardo minzionale (almeno con gli antidepressivi triciclici a struttura aminica secondaria). La sedazione può essere considerata o meno un effetto collaterale, a seconda del bisogno di indurre e mantenere il sonno, ed è causata principalmente dal blocco dei recettori 5-HT2 e H1. In alcuni pazienti si verifica un eccessivo aumento di peso. Gli antidepressivi eterociclici, eccetto l’amoxapina, non bloccano in misura apprezzabile i recettori D2 (dopaminergici). Una tossicità sul piano comportamentale (eccitamento, confusione, allucinazioni o sedazione eccessiva) è particolarmente probabile nei pazienti anziani con cerebropatia organica. Tutti gli antidepressivi eterociclici, in particolare la maprotilina e la clomipramina, abbassano la soglia convulsiva.

La venlafaxina ha un doppio meccanismo d’azione serotoninergico e adrenergico, come gli antidepressivi triciclici, ma il suo profilo di effetti collaterali è più lieve, più o meno come quello degli SSRI; il problema maggiore durante le prime 2 sett. è la nausea. Se la dose viene aumentata gradualmente (iniziando con aumenti di 37,5 mg/ die) la venlafaxina è ben tollerata, specialmente quando viene usata la forma a rilascio prolungato. Questo farmaco può essere occasionalmente più rapido (in < 1 sett.) degli altri antidepressivi. Si consiglia il monitoraggio della PA, in quanto la PA diastolica si innalza nel 3-5% dei pazienti con dosi > 225 mg/die. La venlafaxina ha alcuni vantaggi rispetto agli SSRI: sembra più efficace nei pazienti con depressione grave o resistente e dal momento che non ha un elevato legame proteico e non ha praticamente alcuna interazione con gli enzimi epatici che metabolizzano i farmaci, pone scarsi rischi se viene somministrata insieme ad altri farmaci.

Il buproprione non ha effetti sul sistema serotoninergico. Attraverso meccanismi non chiari, migliora la funzionalità catecolaminergica, dopaminergica e noradrenergica. È relativamente libero da effetti sul ciclo della depressione bipolare. Può giovare ai pazienti depressi con un disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività in associazione, a quelli con dipendenza da cocaina e infine a quelli che tentano di smettere di fumare. Il bupropione non ha effetti sul sistema cardiovascolare, ma può causare convulsioni (nello 0,4% dei pazienti con dosi > 450 mg/die); il rischio è maggiore nei pazienti con bulimia. Non produce effetti collaterali sulla sfera sessuale e ha scarse interazioni con farmaci concomitanti. Un effetto collaterale comune è l’agitazione, molto attenuata con la forma a rilascio prolungato, che lo rende più tollerabile.

Gli inibitori delle monoaminossidasi (IMAO) inibiscono la deaminazione ossidativa delle tre classi di amine biogene (noradrenalina, dopamina e 5-HT) e di altre feniletilamine. Hanno effetti scarsi o nulli sull’umore normale e, sebbene la tranilcipromina abbia alcune azioni dirette amfetamino-simili, in genere non hanno rischio di abuso. Il loro principale valore è rappresentato dall’efficacia laddove altri antidepressivi hanno fallito. Sono indicati anche per la depressione atipica.

Gli IMAO attualmente sul mercato come antidepressivi negli USA (p. es., la fenelzina e la tranilcipromina) sono irreversibili e non selettivi (inibiscono le MAO-A e le MAO-B). Possono causare crisi ipertensive se assunti contemporaneamente a un farmaco simpaticomimetico oppure a cibo contenente tiramina o dopamina. Questo effetto viene chiamato "effetto formaggio", perché il formaggio stagionato ha un contenuto elevato di tiramina. Sono scarsamente usati per paura di questa reazione. Gli IMAO più selettivi e reversibili (p. es., la moclobemide e il befloxatone, che inibiscono le MAO-A) non sono ancora disponibili negli USA e sono relativamente privi di queste interazioni.

Per prevenire le crisi ipertensive da IMAO, il paziente deve evitare i farmaci simpaticomimetici (tra cui la fenilpropanolamina e il dextrometorfano, componenti di molti decongestionanti nasali da banco e dei sedativi della tosse), la reserpina e la meperidina, così come le birre di malto, il Chianti, lo sherry, i liquori e i cibi troppo maturi e invecchiati che contengono tiramina o dopamina (p. es., banane, fave o baggiane, estratti di lievito, fichi secchi, uva passa, yogurt, formaggio, panna acida, salsa di soia, aringhe sott’olio, caviale, fegato e cibi eccessivamente elaborati).

La crisi ipertensiva si manifesta con cefalea grave pulsante; la PA può raggiungere 240/ 140 mm Hg. I pazienti devono portare con sé delle compresse da 25 mg di clorpromazina, assumerne 1 o 2 compresse non appena insorgono i segni di tale reazione e andare al pronto soccorso più vicino. Sebbene per le crisi ipertensive talvolta si prescriva la nifedipina sublinguale in dosi da 10 a 20 mg, la clorpromazina é più sicura e tranquillizza il paziente. Spesso riesce a ridurre la PA finché il paziente non arriva al pronto soccorso.

Per quanto temibile, la crisi ipertensiva è relativamente rara. I problemi più comuni sono l’ipotensione posturale e il senso di stordimento. Un paziente depresso che ha un’ipertensione lieve ed é candidato a un IMAO, può giovarsi dei suoi effetti sia sulla depressione che sulla PA. Gli IMAO possono essere utili nei pazienti che assumono litio, per i quali i diuretici sono generalmente controindicati. Effetti collaterali frequenti degli IMAO sono difficoltà nell’erezione (meno comune con la tranilcipromina), ansia, nausea, vertigini, insonnia, edemi declivi e aumento di peso. Il potenziale cardiotossico e gli effetti collaterali anticolinergici sono minimi. L’epatotossicità (la ragione per cui il primo IMAO, l’iproniazide, é stato abbandonato) é rara con gli IMAO di uso attuale.

Gli IMAO non vanno usati con altri tipi di antidepressivi, e devono passare almeno 2 sett. (5 con la fluoxetina, che ha un’emivita lunga) tra l’uso dei due tipi di farmaci. Gli IMAO, usati con gli antidepressivi che hanno effetto sul sistema serotoninergico (p. es., SSRI, nefazodone) possono produrre una sindrome caratterizzata da ipertermia maligna, grave danno muscolare, insufficienza renale, convulsioni e infine la morte. I pazienti che assumono IMAO e che hanno bisogno anche di antiasmatici, antiallergici e anestetici locali o generali, vanno trattati dallo psichiatra insieme a un internista, un dentista o un anestesista che abbiano competenza in campo neuropsicofarmacologico.

Il metilfenidato, alla dose di 5 mg 1 volta/die o bid può essere di giovamento ai pazienti anziani con depressione cronica lieve e anergia in seguito a malattie infettive protratte o a interventi chirurgici.

Linee guida per la terapia farmacologica antidepressiva nei diversi tipi di depressione: la precedente risposta a un antidepressivo specifico (sia da parte del paziente che di un familiare) guida la scelta del farmaco. Altrimenti, la cosa migliore è iniziare con un SSRI per la sua sicurezza e facilità di somministrazione. Sebbene i diversi SSRI abbiano la stessa efficacia per la media dei casi di depressione, molti medici usano la fluoxetina per i pazienti letargici e la fluvoxamina e la paroxetina per quelli più ansiosi; la sertralina è efficace per entrambi i tipi. L’insonnia, un effetto collaterale frequente degli SSRI, va trattata riducendo la dose o aggiungendo una dose bassa di un antidepressivo eterociclico sedativo. Per la nausea e la diarrea che si verificano nella fase precoce della terapia con SSRI si sviluppa una tolleranza; le cefalee pulsanti tuttavia non sempre scompaiono, rendendo necessaria la sospensione del SSRI. Se causa agitazione, un SSRI va sospeso (più spesso ciò avviene con la fluoxetina). Se nel corso di una terapia con SSRI insorgono diminuzione della libido, impotenza o anorgasmia, si raccomanda la riduzione del dosaggio, oppure può essere utile una sospensione del SSRI per un fine settimana; in molti casi, è necessario passare a un antidepressivo di altra classe.

Il nefazodone è particolarmente efficace per i pazienti con ansia e insonnia, e non provoca effetti collaterali sulla sfera sessuale. Il buproprione e la mirtazapina sono inoltre privi di effetti collaterali sulla funzione sessuale. La fluoxetina e il bupropione sono i farmaci di elezione per i pazienti che aumentano di peso durante la depressione; quelli con una perdita di peso significativa possono trarre beneficio dalla mirtazapina.

La somministrazione dell’intera dose di antidepressivo eterociclico prima del sonno rende di solito inutile l’uso di ipnotici, riduce al minimo gli effetti collaterali durante il giorno e aumenta la compliance (v. Tab. 189-6). Gli SSRI, che tendono ad avere un effetto stimolante in molti pazienti con depressione, vanno somministrati al mattino. Gli IMAO e il bupropione di solito vengono somministrati bid (al mattino e nel primo pomeriggio) per evitare un’eccessiva stimolazione. A causa della loro breve emivita, il nefazodone e la venlafaxina si somministrano preferibilmente bid (al mattino e prima del sonno), ma in molti pazienti è possibile la monosomministrazione.

La risposta terapeutica alla maggior parte delle varie classi di AD di solito si ottiene in circa 2-3 sett. (a volte precocemente in 4 giorni o tardivamente in 5-8 sett.). Da quattro a sei mesi dopo la risposta clinica, la dose viene abbassata a circa 2/3 della dose terapeutica efficace, quindi ridotta gradualmente in 2-3 mesi e poi sospesa. Evitare sospensioni brusche degli antidepressivi serve a prevenire un rimbalzo colinergico (con incubi, nausea e coliche) con gli antidepressivi eterociclici e sintomi di astinenza (p. es., stordimento, parestesie, sogni vividi) con gli SSRI; tali sintomi sono meno comuni con la fluoxetina. Per la depressione altamente recidivante, grave o cronica, la dose di antidepressivo usata in fase acuta va usata anche per il mantenimento.

Le nuove classi di antidepressivi sono generalmente da preferire per la maggior parte dei pazienti anziani, perché gli antidepressivi eterociclici possono essere cardiotossici, possono aggravare il glaucoma ad angolo chiuso e l’ipertrofia prostatica e possono scatenare uno stato confusionale. Tuttavia, gli effetti anticolinergici di piccole dosi di antidepressivi eterociclici a volte possono giovare ai pazienti depressi con sintomi di colon irritabile, con sintomi dolorosi importanti (anche il dolore emicranico) o con il dolore neuropatico dovuto al diabete. Tale utilizzo può rendere superflui gli analgesici o consentirne una riduzione del dosaggio. Tuttavia, la maggior parte degli antidepressivi anticolinergici (amitriptilina e dotiepina) è preferibilmente da evitare negli anziani. Tra gli antidepressivi recenti, la venlafaxina non ha interazioni avverse con la maggior parte degli altri farmaci, e può essere usata per il dolore.

I pazienti depressi con ansia generalizzata (cioè, preoccupazione, tensione, fastidi gastrointestinali) rispondono bene ma tipicamente in modo lento (possono occorrere 3 mesi) agli eterociclici sedativi (amitriptilina, imipramina, dotiepina) e agli antidepressivi di nuova generazione (nefazodone, paroxetina, mirtazapina); il buspirone da 10 a 30 mg bid sembra funzionare solo nei pazienti che non hanno mai usato benzodiazepine.

Quando è prevalente un’ansia di tipo panico, la risposta a un antidepressivo eterociclico può non essere ottimale; si potrà dunque aggiungere una benzodiazepina (p. es., lorazepam da 1 a 2 mg PO bid o tid) per 1-3 sett. Alcuni esperti ritengono che l’alprazolam, una benzodiazepina con struttura ad anello triciclico, in dosi da 0,5 a 4 mg PO bid possa essere efficace anche in monoterapia, per controllare sia l’ansia che la depressione. A causa del potenziale di dipendenza delle benzodiazepine, gli SSRI con le proprietà meno stimolanti (p. es., paroxetina, fluvoxamina, sertralina) sono da preferire per i pazienti con panico e depressione. L’IMAO fenelzina (fino a 75 mg/die), quando somministrata con le necessarie precauzioni dietetiche e farmacologiche, è probabilmente il farmaco più affidabile per i pazienti con sintomi ansioso-fobici o di panico e segni vegetativi inversi. I pazienti con marcate caratteristiche ossessivo-compulsive possono trarre beneficio da un SSRI o dalla clomipramina.

Depressione resistente: se un SSRI è inefficace può essere sostituito con un altro, ma un antidepressivo di altra classe ha maggiori probabilità di efficacia (p. es., la venlafaxina o il bupropione). La tranilcipromina (da 20 a 30 mg PO bid) è spesso efficace per la depressione resistente a tentativi consecutivi con altri antidepressivi; va somministrata da medici esperti nell’uso degli IMAO. La terapia elettroconvulsiva è il trattamento più efficace per la depressione grave resistente ai farmaci. Il sostegno psicologico al paziente e alle sue figure significative è particolarmente importante nei casi resistenti.

Vengono comunenente usate strategie di potenziamento (di combinazione). La tiroxina da 25 a 50 mg/die può potenziare la risposta ai triciclici nelle donne con indici tiroidei ai limiti fisiologici (p. es., elevato livello basale di TSH, una risposta eccessiva del TSH al TRH), ma questo metodo può non funzionare se il disturbo è monopolare puro. Per i pazienti depressi con temperamento ipertimico (energico, ambizioso, competitivo) o con anamesi familiare di disturbo bipolare, è più sicura l’associazione di litio e antidepressivo. Altre strategie comprendono l’associazione di un farmaco serotoninergico (p. es., un SSRI a dosi medie) e un antidepressivo con proprietà noradrenergiche (p. es., desipramina da 50 a 75 mg/die); l’uso di alte dosi di venlafaxina, che unisce le due proprietà; l’associazione di un antidepressivo ticiclico sedativo (p. es., amitriptilina da 75 a 100 mg prima del sonno) e un IMAO (p. es., fenelzina da 30 a 45 mg al mattino); l’associazione di un IMAO con uno stimolante (p. es., destroamfetamina, metilfenidato). Le due ultime strategie vanno usate solo da uno specialista dei disturbi dell’umore, poiché la loro sicurezza ed efficacia sono problematiche in mani inesperte. Il pindololo, un bloccante b-adrenergico, è ritenuto un potenziatore dell’azione degli SSRI e del nefazodone attraverso una azione 5-HT1A; questo paradigma sperimentale non ha avuto risultati consistentemente positivi.

Ricovero: idee di suicidio persistenti (soprattutto quando è carente il supporto familiare), stupor, depressione agitata o delirante, debilitazione e gravi malattie cardiovascolari concomitanti sono tutte indicazioni per il ricovero e, spesso, per la terapia elettroconvulsivante. Una grave depressione in gravidanza, con rischio di suicidio, con agitazione o con ritardo psicomotorio, è trattabile nel modo migliore con la terapia elettroconvulsiva. La risposta a un numero di trattamenti elettroconvulsivanti variabile da 6 a 10 è di solito eclatante e può salvare la vita. Per la depressione psicotica che non costituisca un’emergenza, possono essere somministrate per 3-6 sett. dosi massimali di venlafaxina o di un antidepressivo eterociclico (p. es., nortriptilina); se necessario, può essere aggiunto un antipsicotico (p. es., tiotixene fino a 20 mg/die PO o IM in 2 o 3 somministrazioni). Per ridurre il rischio di discinesia tardiva, il medico deve somministrare l’antipsicotico alla dose minima efficace e sospenderlo appena possibile. Gli antipsicotici atipici (p. es., il risperidone da 4 a 8 mg/die, l’olanzapina fino a 10 mg/die) sembrano relativamente privi di tale rischio, e il loro uso è in aumento. Di solito, per prevenire le ricadute nei pazienti ricoverati trattati con antidepressivi e terapia elettroconvulsivante, è necessaria una terapia ambulatoriale continuativa con un antidepressivo per un periodo di 6-12 mesi (fino a 2  anni in pazienti con più di 50 anni di età).

Terapia di mantenimento: il trattamento della depressione ricorrente sporadica è analogo a quello dell’episodio singolo. Tuttavia, la depressione recidiva nell’80% dei pazienti, che devono perciò ricevere una terapia antidepressiva a lungo termine (e forse per tutta la vita). Il dosaggio spesso viene calibrato sulla base del livello dell’umore e degli effetti collaterali; tuttavia, nella maggior parte dei pazienti le recidive si prevengono nella maniera più efficace mantenendo il dosaggio terapeutico pieno. Non vi sono evidenze conclusive che gli antidepressivi abbiano effetti teratogeni. Se una donna incinta ha una depressione grave che richiede una terapia di mantenimento, può assumere un antidepressivo, ma va monitorata accuratamente da un ostetrico.

I pazienti con anamnesi familiare di disturbo bipolare devono essere sorvegliati per l’eventualità di sviluppare ipomania; in questi pazienti, la terapia di mantenimento con carbonato di litio da solo è probabilmente di pari efficacia. Le ricadute possono verificarsi anche con la terapia di mantenimento più rigorosa, e i pazienti devono essere visitati almeno ogni 2-3 mesi.

Psicoterapia: la terapia di sostegno e gli interventi psicoeducazionali, ufficializzati come psicoterapie specifiche per la depressione, sono di solito sufficienti a potenziare il trattamento farmacologico. La psicoterapia individuale breve (con focus interpersonale) o la terapia di tipo cognitivo-comportamentale (individuale o di gruppo) da sole sono efficaci nelle forme più lievi di depressione. Se usate in associazione agli antidepressivi, queste terapie hanno la massima utilità dopo che gli antidepressivi abbiano controllato i segni melancolici. Fornendo sostegno e guida, eliminando le distorsioni cognitive che impediscono le azioni adattative e incoraggiando il paziente a riprendere gradualmente i suoi ruoli lavorativi o sociali, queste terapie possono migliorare le abilità di coping e rinforzare i progressi fatti con la terapia farmacologica. La terapia di coppia può aiutare a diminuire le tensioni e la disarmonia coniugale. La psicoterapia a lungo termine non è necessaria, tranne per i pazienti che abbiano conflitti interpersonali di lunga data in molte aree di funzionamento o che non rispondano alla terapia breve.

Inizio Pagina

-indietro- -ricerca- -indice sezione- -indice generale- -indice tabelle- -indice figure- -help-

Copyright © 2002 Merck Sharp & Dohme Italia S.p.A. Via G. Fabbroni, 6 - 00191 Roma - Tutti i diritti riservati.

Informativa sulla privacy