15. DISTURBI PSICHIATRICI

193. SCHIZOFRENIA E DISTURBI CORRELATI

SCHIZOFRENIA

Disturbo mentale frequente e grave, caratterizzato da perdita del contatto con la realtà (psicosi), allucinazioni (false percezioni), deliri (convinzioni erronee), anomalie del pensiero, appiattimento affettivo (coartazione emotiva), riduzione motivazionale, disturbi del funzionamento sociale e lavorativo.

Sommario:

Introduzione
Eziologia
Sintomi e segni
Sottotipi della schizofrenia
Diagnosi
Storia naturale
Prognosi
Terapia

Su base mondiale la prevalenza della schizofrenia sarebbe dell’1%, sebbene esistano sacche di prevalenza maggiore o minore. Negli USA i pazienti con schizofrenia occupano circa 1/4 di tutti i posti letto ospedalieri e rendono conto di circa il 20% dei giorni di invalidità a carico della sicurezza sociale. La schizofrenia ha una prevalenza più alta del morbo di Alzheimer, del diabete o della sclerosi multipla.

La prevalenza della schizofrenia appare più alta tra le classi socioeconomiche inferiori delle aree urbane, forse perché i suoi effetti invalidanti portano a disoccupazione e povertà. Analogamente, la prevalenza più alta tra le persone sole può riflettere un effetto della malattia, oppure un suo precursore a livello del funzionamento sociale. La prevalenza è paragonabile nel sesso maschile e in quello femminile. Il picco di insorgenza è tra i 18 e i 25 anni nel sesso maschile, e tra i 26 e i 45 in quello femminile. Tuttavia non è infrequente l’esordio nell’infanzia, nella prima adolescenza o nell’età avanzata (v. Cap. 274).

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Eziologia

Sebbene la sua causa specifica sia sconosciuta, la schizofrenia ha una base biologica. Il modello di vulnerabilità-stress, in cui si ritiene che la schizofrenia si manifesti in persone con una vulnerabilità su base neurologica, è la spiegazione più largamente accettata. L’esordio, la remissione e la ricorrenza dei sintomi sono considerati prodotti di interazione tra questa vulnerabilità e i fattori stressanti ambientali.

La vulnerabilità alla schizofrenia può implicare una predisposizione genetica, complicanze intrauterine, da parto o post-natali, oppure infezioni virali del SNC. L’esposizione materna alla denutrizione, l’influenza nel secondo trimestre di gravidanza e l’incompatibilità Rh nella seconda o in una successiva gravidanza, sono associate ad aumento del rischio di schizofrenia nei figli.

Sebbene siano stati proposti numerosi indicatori clinici e sperimentali, nessuno di essi è presente invariabilmente. Sul piano psicofisiologico, possono essere indicatori di vulnerabilità dei deficit nell’elaborazione delle informazioni, nell’attenzione e nell’inibizione sensoriale. Sul piano psicologico e comportamentale la vulnerabilità può manifestarsi come una compromissione delle capacità sociali, come una disorganizzazione cognitiva o un’alterazione percettiva, come una riduzione della capacità di provare piacere e sotto forma di altri deficit generali dei meccanismi di difesa. Tali tratti, in particolar modo se gravi, possono compromettere il funzionamento sociale, scolastico e professionale nelle persone vulnerabili, ancor prima dell’esordio dei sintomi della schizofrenia. Queste disabilità premorbose spesso limitano il recupero funzionale quando il disturbo si è ormai instaurato.

Sebbene la maggior parte dei soggetti con schizofrenia non abbia un’anamnesi familiare positiva per questo disturbo, si ritiene che dei fattori genetici vi siano implicati. Le persone che hanno un parente di primo grado affetto da schizofrenia hanno un rischio di manifestare il disturbo pari a circa il 15%, in confronto all’1% di rischio della popolazione generale. Un gemello monozigote il cui gemello corrispondente è affetto da schizofrenia, ha più del 50% di probabilità di manifestare tale disturbo. Test neurologici e neuropsichiatrici molto sensibili indicano spesso che nei pazienti con schizofrenia si manifestano più frequentemente rispetto alla popolazione generale anomalie dei movimenti oculari continui di inseguimento, compromissioni delle prestazioni ai test cognitivi e dell’attenzione e deficit della soppressione sensoriale. Questi indicatori psicofisiologici si manifestano anche nei parenti di primo grado delle persone con schizofrenia e possono indicare una vulnerabilità precedente l’esordio conclamato della malattia.

Svariati fattori stressanti ambientali possono innescare l’esordio o la recidiva dei sintomi nelle persone vulnerabili. Alcuni esempi sono eventi vitali stressanti, come la fine di una relazione o l’allontanamento da casa per il servizio militare, per il lavoro o per l’università, e fattori stressanti di tipo biologico come l’abuso di sostanze. Le frequenti esacerbazioni della malattia possono provocare tensioni familiari o esserne provocate. I fattori protettivi che possono attenuare l’effetto dello stress sulla formazione o sull’esacerbazione dei sintomi vengono trattati oltre, in Terapia.

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Sintomi e segni

I sintomi della schizofrenia sono variabili per tipo e gravità. Generalmente sono classificati come sintomi positivi o negativi (di deficit). I sintomi positivi sono caratterizzati da un eccesso o un’alterazione delle funzioni normali; quelli negativi da una loro diminuzione o perdita. Nei singoli pazienti si possono manifestare sintomi di una o di entrambe le categorie.

I sintomi positivi possono essere ulteriormente suddivisi in (1) deliri e allucinazioni e (2) disturbi del pensiero e comportamento bizzarro. I deliri e le allucinazioni sono talvolta definiti come la dimensione psicotica della schizofrenia. I deliri sono convinzioni erronee che di solito implicano l’interpretazione erronea dell’esperienza. Nei deliri persecutori, il paziente ritiene di essere tormentato, seguito, imbrogliato o spiato. Nei deliri di riferimento, il paziente crede che passi di libri, giornali, testi di canzoni o altri spunti ambientali siano diretti a lui. Nei deliri di furto o inserzione del pensiero, il paziente crede che altre persone possano leggere la sua mente, che i suoi pensieri vengano trasmessi agli altri o che i suoi pensieri e impulsi gli vengano imposti da forze esterne. Le allucinazioni possono manifestarsi attraverso ogni modalità sensoriale (uditiva, visiva, olfattiva, gustativa, tattile), ma le allucinazioni uditive sono di gran lunga le più comuni e sono caratteristiche della schizofrenia. Il paziente può udire voci che commentano il suo comportamento, che conversano tra loro oppure che fanno commenti critici e offensivi.

Il disturbo del pensiero, associato al comportamento bizzarro, assume la denominazione di gruppo dei sintomi di disorganizzazione. Il disturbo del pensiero comporta un pensiero disorganizzato, evidenziabile innanzitutto nell’eloquio che è divagante, scivola da un tema all’altro e non è diretto allo scopo. L’eloquio può variare da una disorganizzazione lieve sino all’incoerenza e all’incomprensibilità. Il comportamento bizzarro può comprendere stolidità di tipo infantile, agitazione e inadeguatezza dell’aspetto, dell’igiene o del comportamento. Il comportamento motorio catatonico è una forma estrema di comportamento bizzarro che può comportare il mantenimento di una postura rigida e la resistenza ai movimenti passivi, oppure l’attuazione di un’attività motoria afinalistica e indipendente da stimoli.

I sintomi negativi (di deficit) comprendono l’appiattimento affettivo, la povertà dell’eloquio, l’anedonia e l’asocialità. Nella coartazione affettiva (appiattimento delle emozioni) il volto del paziente può apparire immobile, con scarso contatto oculare e mancanza di espressività. Con povertà dell’eloquio si intende una diminuzione del flusso di pensiero che si riflette in una riduzione dell’eloquio e in risposte stringate alle domande, il che crea l’impressione di vacuità interiore. L’anedonia (diminuzione della capacità di provare piacere) può manifestarsi come mancanza di interesse nelle attività, con molto tempo trascorso in attività senza scopo. Con asocialità si intende una mancanza di interesse nelle relazioni umane. I sintomi negativi sono spesso associati a una perdita generale di motivazione e a una diminuzione del senso degli scopi e degli obiettivi.

In alcuni pazienti con schizofrenia si manifesta un declino del funzionamento cognitivo, con compromissione dell’attenzione, del pensiero astratto e della capacità di risolvere problemi. La gravità della compromissione cognitiva è uno dei determinanti maggiori dell’invalidità globale in questi pazienti.

I sintomi della schizofrenia compromettono in maniera tipica le capacità funzionali e spesso sono abbastanza gravi da interferire in modo marcato con il lavoro, le relazioni sociali e la cura di sé. Gli esiti comuni sono la disoccupazione, l’isolamento sociale, il deterioramento delle relazioni familiari e lo scadimento della qualità della vita.

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Sottotipi della schizofrenia

Alcuni ricercatori ritengono che la schizofrenia sia un disturbo unitario; altri ritengono che sia una sindrome comprendente numerose entità nosologiche sottostanti. I sottotipi classici usati per classificare i pazienti in gruppi più uniformi sono quello paranoide, il disorganizzato (ebefrenico), il catatonico, l’indifferenziato. La schizofrenia paranoide è caratterizzata da preoccupazione relativa a deliri o allucinazioni uditive, senza prevalenza di disorganizzazione dell’eloquio o incongruità affettiva. La schizofrenia disorganizzata è caratterizzata da disorganizzazione dell’eloquio e del comportamento e da appiattimento o incongruità affettiva. Nella schizofrenia catatonica sono predominanti i sintomi fisici, come l’immobilità o l’eccessiva attività motoria e l’assunzione di posture bizzarre. Nella schizofrenia indifferenziata i sintomi sono misti. I pazienti con schizofrenia paranoide tendono ad avere una minore invalidità e a essere più responsivi ai trattamenti disponibili.

La schizofrenia può anche essere classificata sulla base della presenza e gravità dei sintomi negativi, come la coartazione affettiva, la mancanza di motivazione e la diminuzione del senso dello scopo. I pazienti con il sottotipo deficitario hanno prevalenti sintomi negativi non spiegabili da altri fattori (p. es., depressione, ansia, un ambiente ipostimolante, effetti collaterali dei farmaci). Questi pazienti sono tipicamente più invalidati, hanno una prognosi peggiore e sono più resistenti al trattamento di quelli con il sottotipo non deficitario, che possono avere deliri, allucinazioni e disturbi del pensiero ma sono relativamente privi di sintomi negativi.

Nei singoli pazienti il sottotipo può cambiare nel tempo, in genere passando dal tipo paranoide a quello disorganizzato o indifferenziato, o dal tipo non deficitario a quello deficitario.

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Diagnosi

Non esistono test patognomonici per la schizofrenia. La diagnosi si basa su una valutazione globale dell’anamnesi clinica, dei sintomi e dei segni. Le informazioni ottenibili da fonti ausiliarie come la famiglia, gli amici e gli insegnanti sono spesso importanti per stabilire la cronologia di esordio della malattia. Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, quarta edizione (DSM-IV), per la diagnosi sono necessari due o più sintomi caratteristici (deliri, allucinazioni, eloquio disorganizzato, comportamento disorganizzato, sintomi negativi), presenti per la maggior parte del tempo nell’arco di un mese, e devono essere evidenti dei segni prodromici o attenuati di malattia con compromissioni sociali, lavorative o della cura di sé presenti per un periodo di almeno 6 mesi, che includa 1 mese di sintomi attivi.

Attraverso l’esame clinico e l’anamnesi devono essere esclusi disturbi psicotici dovuti a disturbi fisici o associati ad abuso di sostanze e disturbi primari dell’umore con caratteristiche psicotiche. Inoltre, le analisi di laboratorio possono escludere disturbi medici, neurologici ed endocrini soggiacenti che possono presentarsi come psicosi (p. es., deficienze vitaminiche, uremia, tireotossicosi, squilibri elettrolitici).

Nei pazienti con schizofrenia si riscontrano notevoli anomalie cerebrali strutturali osservabili alla RMN o alla TC, che tuttavia non sono sufficientemente specifiche da avere valore diagnostico per i singoli pazienti. In generale, le anomalie del lobo temporale mediale e superiore sono associate a sintomi positivi; le anomalie corticali e ventricolari frontali, a sintomi negativi. Negli studi funzionali di utilizzazione regionale del glucoso o dell’ossigeno da parte del cervello, la diminuzione dell’attivazione della corteccia prefrontale e delle regioni mesolimbiche è associata a sintomi negativi e a disfunzioni cognitive nei pazienti con schizofrenia.

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Storia naturale

La vulnerabilità alla schizofrenia può manifestarsi prima dell’esordio di malattia sotto forma di un funzionamento premorboso inadeguato, di scarse abilità sociali, di comportamenti strani ed eccentrici e di isolamento o ritiro. L’esordio può essere acuto (nell’arco di giorni o settimane), oppure lento e insidioso (nell’arco di alcuni anni).

La storia naturale della schizofrenia può essere descritta in fasi sequenziali. Nella fase premorbosa si può rilevare l’influenza di fattori di rischio e di vulnerabilità evolutive. Nella fase prodromica, segni e dei sintomi subclinici (come ritiro, irritabilità, sospettosità e disorganizzazione) si sviluppano prima della malattia manifesta, segnalando l’imminente scompenso. Nella fase precoce di malattia, l’esordio di sintomi positivi, di sintomi deficitari e di disabilità funzionali conduce alla diagnosi di schizofrenia. Nella fase centrale, i periodi sintomatici possono essere episodici (con esacerbazioni e remissioni ben identificabili) o continui (senza remissioni identificabili); i deficit funzionali peggiorano. Nella fase tardiva di malattia il decorso può stabilizzarsi, così come i livelli di disabilità, oppure possono manifestarsi miglioramenti tardivi.

In definitiva, il 60-70% dei pazienti che ha avuto un episodio di schizofrenia presenta recidive. Il decorso può essere continuo o intermittente. Nei primi 5 anni di malattia il funzionamento può deteriorarsi e le abilità sociali e lavorative possono declinare, con negligenza progressiva della cura di sé; i sintomi negativi possono diventare più gravi e il funzionamento cognitivo può declinare, particolarmente nei pazienti con forme deficitarie. Da allora in poi, i livelli di disabilità tendono a stabilizzarsi. Alcune evidenze suggeriscono che la gravità della malattia può diminuire in tarda età, in particolare nelle donne. Nei pazienti che hanno sintomi negativi e disfunzioni cognitive gravi possono manifestarsi disturbi dei movimenti spontanei, anche quando non vengono usati farmaci antipsicotici.

La schizofrenia è associata a un rischio di suicidio del 10% circa (v. Cap. 190). Il suicidio è la principale causa di morte prematura nelle persone con schizofrenia, e il disturbo riduce la durata di vita dei malati di 10 anni in media. I pazienti che hanno forme paranoidi con esordio tardivo e funzionamento premorboso buono (proprio i pazienti con la prognosi di remissione migliore) sono anche quelli con più alto rischio di suicidio. Poiché questi pazienti conservano la capacità di provare cordoglio e angoscia, possono con più probabilità passare all’atto per la disperazione che nasce dal riconoscimento realistico degli effetti del proprio disturbo.

La schizofrenia è un fattore di rischio relativamente basso per il comportamento violento; il livello di rischio è molto minore di quello comportato dall’abuso di sostanze. Le minacce di violenza e gli scatti aggressivi minori sono di gran lunga più comuni del comportamento pericoloso che si manifesta quando un paziente obbedisce a voci allucinatorie o aggredisce un persecutore immaginario. Molto raramente, un soggetto gravemente depresso, isolato o paranoide aggredisce o uccide qualcuno che è percepito come la sola fonte delle sue difficoltà (p. es., un’autorità, una celebrità, il suo coniuge). I pazienti con schizofrenia possono presentarsi in pronto soccorso minacciando atti violenti per ottenere cibo, rifugio o le cure mediche o psichiatriche necessarie. La stima accurata e continua della pericolosità e del rischio di suicidio deve essere inclusa nella valutazione e nel trattamento dei pazienti con schizofrenia.

Prognosi

La prognosi a un anno è legata strettamente all’adesione alla terapia psicofarmacologica prescritta. Per periodi più lunghi, la prognosi è variabile. Complessivamente, 1/3 dei pazienti consegue un miglioramento significativo e durevole; 1/3 ha un certo miglioramento ma con ricadute intermittenti e una disabilità residua; 1/3 ha invalidità gravi e permanenti. I fattori associati a prognosi favorevole comprendono: un funzionamento premorboso relativamente buono, un esordio di malattia tardivo e/o acuto, un’anamnesi familiare di disturbi dell’umore piuttosto che di schizofrenia, una compromissione cognitiva minima e l’appartenenza al sottotipo paranoide o non deficitario. I fattori associati a prognosi sfavorevole comprendono: un’età di esordio precoce, un funzionamento premorboso inadeguato, un’anamnesi familiare di schizofrenia e l’appartenenza al sottotipo disorganizzato o deficitario con numerosi sintomi negativi. Il sesso maschile ha una prognosi più sfavorevole di quello femminile; le donne hanno una risposta migliore al trattamento con i farmaci antipsicotici.

La schizofrenia può associarsi ad altri disturbi mentali. Se è associata a sintomi ossessivo-compulsivi significativi (v. Disturbo Ossessivo-Compulsivo nel Cap. 187) ha una prognosi particolarmente sfavorevole; se è associata a sintomi del disturbo borderline di personalità (v. Cap. 191) ha una prognosi migliore.

L’abuso di sostanze è un problema significativo in una percentuale fino al 50% dei pazienti con schizofrenia. La comorbilità per abuso di sostanze è un predittore significativo di esito sfavorevole e può portare a non-compliance farmacologica, a recidive ripetute, a ricoveri frequenti e a declino del funzionamento con perdita del supporto sociale, sino al barbonismo.

Terapia

I pazienti con schizofrenia tendono a manifestare sintomi psicotici per un periodo medio di 12-24 mesi prima di cercare le cure mediche. Il tempo tra l’esordio dei sintomi psicotici e il primo trattamento, definito "durata della psicosi non trattata", è correlato alla rapidità di risposta al trattamento iniziale, alla qualità di tale risposta e alla gravità dei sintomi negativi. Quando vengono trattati precocemente, i pazienti tendono a rispondere più rapidamente e in maniera più completa. Senza la prevenzione con i farmaci antipsicotici, il 70-80% dei pazienti che ha avuto un episodio schizofrenico manifesta un ulteriore episodio nei 12 mesi successivi. Il trattamento preventivo continuativo con farmaci antipsicotici può ridurre il tasso di ricadute in un anno sino a circa il 30%.

Gli obiettivi generali del trattamento sono quelli di ridurre la gravità dei sintomi psicotici, di prevenire le recidive degli episodi sintomatici e il deterioramento funzionale a essi associato e di aiutare i pazienti ad acquisire il più alto livello funzionale possibile. I componenti principali del trattamento sono i farmaci antipsicotici, la riabilitazione attraverso i servizi di sostegno nella comunità e la psicoterapia.

Farmaci antipsicotici: i farmaci antipsicotici classici (neurolettici) comprendono la clorpromazina, la flufenazina, l’aloperidolo, la loxapina, la mesoridazina, il molindone, la perfenazina, la pimozide, la tioridazina, il tiotixene e la trifluoperazina (v. Tab. 193-1). Questi farmaci sono caratterizzati da un’affinità per il recettore dopaminico di tipo 2 e possono essere classificati come ad alta, intermedia o bassa potenza. I diversi farmaci sono disponibili sotto forma di pillole, di liquido orale, e in formulazioni IM a durata d’azione breve e lunga. Il farmaco specifico viene scelto basandosi in primo luogo sugli effetti collaterali, sulla via di somministrazione richiesta e sulla precedente risposta del paziente al farmaco.

Due farmaci antipsicotici convenzionali sono disponibili come preparazioni depot a lunga durata d’azione (v. Tab. 193-2). Queste preparazioni sono utili principalmente per escludere una non-compliance farmacologica nascosta quale causa delle esacerbazioni sintomatologiche e della mancanza di risposta al farmaco. Possono essere utili anche per i pazienti che non possono prendere i farmaci orali quotidianamente in maniera affidabile.

I farmaci antipsicotici classici sono associati a effetti collaterali come sedazione, distonie e rigidità muscolare, tremori, elevazione dei livelli di prolattina e aumento di peso (per il trattamento degli effetti collaterali v. Tab. 194-2). L’acatisia (irrequietezza motoria) è particolarmente sgradevole ed è spesso associata a rifiuto del farmaco e a non-compliance da parte del paziente ambulatoriale. Questi farmaci possono anche causare la discinesia tardiva, un disturbo dei movimenti involontari caratterizzato per lo più da contrazione delle labbra e della lingua e/o da spasmi delle bracciao delle gambe. Nei pazienti che assumono antipsicotici convenzionali, l’incidenza della discinesia tardiva è circa del 5%/anno di esposizione al farmaco. In circa il 2% dei pazienti, la discinesia tardiva è gravemente deturpante. A causa di tale rischio, i pazienti che ricevono una terapia di mantenimento a lungo termine vanno valutati almeno q 6 mesi. Possono essere usati strumenti di valutazione come la Abnormal Involuntary Movement Scale (v. Tab. 193-3). La sindrome maligna da neurolettici, un effetto avverso raro ma potenzialmente fatale, è caratterizzata da rigidità, febbre, labilità autonomica ed elevazione della creatina fosfochinasi (v. anche Emergenze che richiedono un intervento farmacologico più completo, nel Cap. 194).

Circa il 30% dei pazienti con schizofrenia non risponde ai farmaci antipsicotici classici (pazienti resistenti al trattamento). Possono però rispondere ai farmaci antipsicotici atipici.

Gli antipsicotici atipici hanno alcune o la maggior parte delle seguenti proprietà: alleviano i sintomi positivi; migliorano i sintomi negativi in maniera più marcata degli antipsicotici convenzionali; possono migliorare i deficit neurocognitivi; hanno una maggiore efficacia sulla schizofrenia resistente; hanno minori probabilità di causare effetti collaterali extrapiramidali (motori); hanno un rischio minore di causare discinesia tardiva; producono scarsa o nessuna elevazione della prolattina.

Gli antipsicotici atipici probabilmente hanno un’affinità selettiva per le regioni cerebrali implicate nei sintomi schizofrenici e un’affinità ridotta per le aree associate a sintomi motori e a elevazione della prolattina. Influiscono su altri sistemi neurotrasmettitoriali, compresa la serotonina, oppure hanno un’affinità selettiva per alcuni specifici sottotipi di recettori della dopamina.

La clozapina, il primo antipsicotico immesso sul mercato negli USA, è efficace in una percentuale fino al 50% dei pazienti resistenti ai farmaci antipsicotici convenzionali. La clozapina riduce i sintomi negativi, produce effetti avversi di tipo motorio scarsi o nulli e non presenta il rischio di causare discinesia tardiva, ma produce altri effetti collaterali come sedazione, ipotensione, tachicardia, aumento di peso e aumento della salivazione. Anche la clozapina può causare convulsioni, con un meccanismo dose-dipendente. L’effetto collaterale più grave è l’agranulocitosi, che può manifestarsi in circa l’1% dei pazienti. Conseguentemente, è necessario il monitoraggio frequente dei globuli bianchi, e la clozapina generalmente si riserva ai pazienti che hanno risposto in maniera insoddisfacente agli altri farmaci.

I nuovi farmaci antipsicotici (v. Tab. 193-4) disponibili al momento o tra breve sono il risperidone, l’olanzapina, la quetiapina, il sertindolo e lo ziprasidone. Per la maggior parte dei pazienti con schizofrenia, questi farmaci sono più efficaci e hanno meno effetti collaterali degli antipsicotici convenzionali. Forniscono molti dei benefici della clozapina senza il rischio di agranulocitosi e sono generalmente preferibili agli antipsicotici convenzionali per il trattamento dell’episodio acuto e per la prevenzione delle recidive. I nuovi antipsicotici hanno efficacia simile e si differenziano principalmente per gli effetti collaterali, quindi la scelta del farmaco si basa sulla risposta del paziente e sulla sua vulnerabilità a effetti collaterali specifici. Per valutare l’efficacia è di solito necessario un periodo di prova di 4-8 sett. La risoluzione rapida dei sintomi è l’obiettivo del trattamento acuto. Per il trattamento di mantenimento viene usata la più bassa dose efficace a prevenire i sintomi.

Riabilitazione e servizi di sostegno comunitari: l’addestramento alle abilità psicosociali e la riabilitazione professionale aiutano molti pazienti a lavorare, fare la spesa, aver cura di se stessi, mandare avanti una casa, stare insieme agli altri e collaborare con gli operatori della salute mentale. Il lavoro assistito, in cui i pazienti vengono collocati in una situazione lavorativa non protetta con un tutor in loco per favorire l’adattamento al lavoro, può essere particolarmente utile. Con il tempo, il tutor serve solo come sostegno per la risoluzione dei problemi o per la comunicazione con gli altri.

I servizi di sostegno consentono a molti pazienti con schizofrenia di vivere nella collettività. I pazienti possono necessitare di strutture residenziali assistite, con la presenza di un membro del personale per assicurare la compliance ai farmaci. I programmi assistenziali forniscono vari livelli di supervisione nelle diverse strutture residenziali, che vanno da un supporto 24 ore su 24 alle visite domiciliari periodiche. Questi programmi aiutano a promuovere l’autonomia del paziente pur fornendo cure sufficienti a rendere minima la possibilità di ricadute e a ridurre il bisogno di ricoveri. I programmi intensivi di trattamento nella comunità forniscono servizi al domicilio del paziente o in altre strutture residenziali, e si basano su un alto rapporto personale-pazienti; le équipe curanti forniscono direttamente tutte o quasi tutte le prestazioni necessarie.

In corso di recidive gravi può rendersi necessario il ricovero oppure la gestione delle crisi in un ambiente alternativo a quello ospedaliero e può anche essere necessario il ricovero obbligatorio, se il paziente costituisce un pericolo per se stesso o per gli altri. Nonostante i miglioramenti dei servizi riabilitativi e di sostegno sul territorio, una piccola percentuale di pazienti, in particolare quelli con deficit cognitivi gravi e quelli resistenti alla terapia farmacologica, richiedono un’istituzionalizzazione a lungo termine o altri tipi di supporto assistenziale.

Psicoterapia: l’obiettivo è sviluppare una relazione collaborativa tra il paziente, la sua famiglia e il medico, così che il paziente possa imparare a comprendere e a gestire la propria malattia, a prendere i farmaci secondo le prescrizioni e a gestire più efficacemente lo stress.

La qualità della relazione medico-paziente è spesso il determinante principale dell’esito del trattamento. Sebbene l’approccio più comune sia costituito dalla psicoterapia individuale in associazione a una terapia farmacologica, sono disponibili scarse linee guida empiriche. La psicoterapia più efficace è probabilmente quella che prende avvio individuando i bisogni fondamentali del paziente rispetto ai servizi sociali, fornisce sostegno e informazioni sulla natura della malattia, promuove le attività adattative, si basa sull’empatia e su una profonda comprensione dinamica della schizofrenia. Molti pazienti hanno bisogno di un sostegno psicologico empatico per adattarsi a una malattia cronica, che può limitare in modo sostanziale il funzionamento. Spesso il prerequisito per il perseguimento di altri obiettivi terapeutici è un programma di gestione individualizzata del caso, impostato in modo da assicurare che i pazienti possano usufruire dei propri diritti fondamentali, dei servizi di cura e di soluzioni abitative sicure e alla propria portata.

Per i pazienti che vivono in famiglia, gli interventi psicoeducativi sulla famiglia stessa possono ridurre il tasso di recidive. I gruppi di sostegno e patrocinio, come l’Alliance for the Mentally Ill (Alleanza per il Malato Mentale), offrono alle famiglie informazioni sulle cure e misure di sostegno e fanno anche da patrocinanti.

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