16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE

199. IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE NEFROVASCOLARE

Incremento acuto o cronico dei valori della PA sistemica prodotto dall’occlusione parziale o completa di una o entrambe le arterie renali o dei loro rami, spesso correggibile mediante chirurgia o angioplastica transluminale percutanea.

Sommario:

Introduzione
Sintomi, segni e diagnosi
Prognosi e terapia


La stenosi o l’occlusione di una o di entrambe le arterie renali principali o di un’arteria renale accessoria o dei suoi rami può causare ipertensione, stimolando la liberazione dell’enzima renina da parte delle cellule iuxtaglomerulari del rene interessato. L’area di sezione del lume deve essere ridotta di  70% prima che la stenosi risulti emodinamicamente significativa.

La causa più frequente di stenosi dell’arteria renale in pazienti > 50 anni di età (di solito uomini) è l’aterosclerosi; nei pazienti più giovani (di solito donne), è una delle forme di displasia fibrosa. Cause più rare di stenosi o di ostruzione dell’arteria renale sono emboli, traumi, legatura involontaria in corso di intervento chirurgico e compressione estrinseca del peduncolo renale da parte di un tumore.

Sebbene la malattia nefrovascolare rappresenti la causa più frequente di ipertensione curabile (probabilmente con l’eccezione della terapia contraccettiva ormonale femminile e dell’eccessiva ingestione di etanolo), essa spiega < 2% di tutti i casi di ipertensione arteriosa.

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Sintomi, segni e diagnosi

L’ipertensione nefrovascolare va sospettata quando compare un’ipertensione diastolica ex novo in pazienti < 30 o > 55 anni di età o quando uno stato ipertensivo precedentemente stabilizzato si aggrava improvvisamente. L’evoluzione rapida verso l’ipertensione maligna nell’arco di 6 mesi suggerisce un’arteriopatia renale. Un soffio vascolare sisto-diastolico epigastrico, trasmesso in genere a uno o a entrambi i quadranti superiori dell’addome e talvolta al dorso, è un reperto obiettivo quasi patognomonico, ma sfortunatamente è assente in circa il 50% dei pazienti con forme di displasia fibrosa e si rileva raramente in pazienti con malattia nefrovascolare su base aterosclerotica. Traumi al dorso o ai fianchi o dolore acuto in tali regioni, con o senza ematuria, devono mettere in guardia il medico circa la possibilità di un’ipertensione nefrovascolare; tali dati anamnestici, tuttavia, si riscontrano solo di rado. L’ipertensione nefrovascolare è caratterizzata da un’elevata GC e da elevate resistenze periferiche.

L’ipertensione nefrovascolare e quella essenziale sono di solito asintomatiche e soltanto l’anamnesi, la presenza di un soffio vascolare epigastrico o anomalie all’urografia o alla scintigrafia con acido pentetico marcato con tecnezio 99 (99Tc-DTPA) consentono la diagnosi differenziale. Vale certamente la pena eseguire una valutazione diagnostico-strumentale completa per la possibilità di rilevare lesioni trattabili chirurgicamente.

Nessuna metodologia diagnostica disponibile è ideale. Tutte danno risultati falsi-positivi o falsi-negativi, tutte sono costose e alcune pericolose. Il test più ampiamente utilizzato è la scintigrafia con 99Tc-DTPA, che ha soppiantato l’UEV a rapida sequenza. Un ritardo di perfusione o la ridotta funzione di un rene alla scintigrafia con 99Tc-DTPA suggerisce la presenza di ischemia. La sua sensibilità e specificità possono essere migliorate mettendo a confronto immagini realizzate prima e dopo la somministrazione orale di captopril.

L’ecografia Doppler è una metodica non invasiva affidabile per stabilire la presenza o l’assenza di una stenosi significativa (p. es., > 60%) a livello delle arterie renali principali. La sensibilità e la specificità di questa tecnica raggiungono il 90% in mani esperte. Sfortunatamente, la presenza di una stenosi > 60% in una o entrambe le arterie renali di per sé non indica che questa è la causa dell’ipertensione, ma tale rilievo, associato al caratteristico quadro clinico, è altamente suggestivo di ipertensione nefrovascolare. Misurazioni della attività reninica nel sangue prelevato dalla vena renale spesso non sono necessarie e sono talvolta motivo d’errore nella diagnosi di ipertensione nefrovascolare.

Prima di pianificare un intervento (p. es., chirurgia, angioplastica), va eseguita l’arteriografia. L’arteriografia a sottrazione digitale o secondo Seldinger con iniezione selettiva delle arterie renali può confermare la diagnosi e può rilevare lesioni di rami minori non identificabili mediante ecografia Doppler. L’arteriografia digitale EV a sottrazione di immagine non è affidabile quanto la tecnica di Seldinger nell’identificare lesioni dell’orifizio o dei rami secondari. Una normale UEV a rapida sequenza, una normale scintigrafia al 99Tc-DTPA o la mancata dimostrazione di una stenosi significativa mediante ecografia Doppler non escludono l’arteriografia, qualora esistano altre indicazioni che la motivino.

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Prognosi e terapia

Senza terapia, la prognosi è simile a quella dell’ipertensione primaria. La maggior parte dei ricercatori ha dimostrato che un appropriato intervento chirurgico risolverà l’ipertensione se il rapporto tra l’attività reninica delle due vene renali (lato coinvolto/lato sano) è > 1,5:1. Tuttavia, molti pazienti con rapporti di attività reninica delle vene renali < 1,5 sono guariti dall’ipertensione dopo la rivascolarizzazione o la rimozione del rene ischemico. È stato provato che la breve durata dell’ipertensione (< 5 anni) e le caratteristiche anomalie alla UEV a sequenza rapida o alla scintigrafia, qualora considerate insieme, forniscono, nella previsione dell’esito dell’intervento chirurgico, la stessa affidabilità del rapporto di attività reninica delle vene renali. Per aumentare l’affidabilità del rapporto di attività reninica delle vene renali, il sangue va prelevato dalle vene renali in condizioni di deplezione sodica, per stimolare il rilascio di renina. Questo si può ottenere facendo seguire a una dieta con 0,5 g di Na diuretici PO per 24 h, oppure mediante somministrazione di furosemide EV 40-80 mg, con prelievo dei campioni di sangue 30 min dopo. Le lesioni bilaterali, che si verificano in  35% dei casi, rendono l’UEV a rapida sequenza, la scintigrafia al 99Tc-DTPA e il rapporto di attività reninica delle vene renali meno affidabili. L’attività reninica del sangue venoso periferico, in assenza di una stimolazione, è spesso normale nell’ipertensione nefrovascolare, ma un rialzo brusco dell’attività reninica 60 min dopo la somministrazione orale di 50 mg di captopril a  150% del livello basale è suggestivo di ipertensione nefrovascolare e può essere usato sia come test di screening che come test prognostico per decidere circa la terapia chirurgica. Il captopril PO provoca anche una produzione sproporzionata di renina da parte del rene ischemico e migliora quindi il potere predittivo dei tassi di attività reninica delle vene renali.

La rivascolarizzazione del rene interessato mediante angioplastica transluminale percutanea viene consigliata nei pazienti giovani con displasia fibrosa dell’arteria renale. Solo quando l’angioplastica transluminale percutanea non è tecnicamente fattibile a causa di una malattia diffusa dei rami delle arterie renali, è raccomandata l’esecuzione di un intervento di bypass mediante un graft di vena safena. Talvolta, una rivascolarizzazione chirurgica completa richiede tecniche di chirurgia microvascolare che si possono realizzare solo ex vivo con l’autotrapianto del rene. La frequenza di guarigioni su pazienti adeguatamente selezionati è del 90% e la mortalità chirurgica è < 1%. La terapia medica è sempre preferibile alla nefrectomia nei pazienti giovani i cui reni non possono essere rivascolarizzati per motivi tecnici.

Si è visto che, rispetto alle forme di displasia fibrosa, le lesioni di natura aterosclerotica rispondono meno bene alla chirurgia e all’angioplastica, presumibilmente perché i pazienti affetti da aterosclerosi sono più anziani e presentano lesioni vascolari più estese sia all’interno del rene che in tutto il sistema vascolare. L’ipertensione può persistere dopo l’intervento e le complicanze chirurgiche sono più comuni. La mortalità chirurgica è maggiore nei pazienti giovani con displasia fibrosa dell’arteria renale. La restenosi entro 2 anni dall’angioplastica transluminale percutanea si verifica fino al 50% dei pazienti con malattia nefrovasocolare, specialmente quando la placca è localizzata a livello dell’ostio dell’arteria renale. Il posizionamento di uno stent ha ridotto il rischio di restenosi. Poiché l’ipertensione nefrovascolare di solito risponde alla terapia farmacologica (v. sopra), il trattamento medico o l’angioplastica transluminale per via transcutanea con impianto di stent sono preferibili alla chirurgia nei pazienti anziani con lesioni aterosclerotiche, a meno che non sia evidente che i valori pressori non possono essere controllati o che l’interessamento bilaterale o la lesione dell’arteria del paziente monorene non mettano in serio pericolo la funzionalità renale. La decisione di eseguire l’intervento chirurgico deve essere basata sullo stato generale del paziente, sull’età e sulla precedente risposta alla terapia medica, nonché sulla localizzazione della lesione e sul rischio che essa comporta per la funzione renale. Quando possibile, l’intervento chirurgico deve mirare alla riparazione della lesione e alla rivascolarizzazione piuttosto che alla nefrectomia.

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