16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE

203. SCOMPENSO CARDIACO

(Scompenso cardiaco congestizio)

Disfunzione miocardica sintomatica che provoca un caratteristico pattern di risposte compensatorie emodinamiche, renali e neuro-ormonali.

(Per lo scompenso cardiaco nei bambini, v. Cap. 261.)

Sommario:

Introduzione
Fisiologia
Classificazione ed eziologia
Fisiopatologia
Sintomi e segni
Diagnosi
Terapia


Nessuna definizione di scompenso cardiaco (SC) è del tutto soddisfacente. Lo scompenso cardiaco congestizio (SCC) si sviluppa quando il volume plasmatico aumenta e liquidi si accumulano nei polmoni, negli organi addominali (specialmente fegato) e a livello dei tessuti periferici.

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Fisiologia

A riposo e durante sforzo fisico, la gittata cardiaca (GC), il ritorno venoso e la distribuzione del flusso di sangue contenente O2 ai tessuti sono regolati da meccanismi complessi, controllati in parte da fattori intrinseci al cuore, in parte da sostanze ad azione neuro-ormonale. Il precarico, la contrattilità, il postcarico, la frequenza delle contrazioni, la disponibilità di substrati e l’entità del danno miocardico determinano la funzione del ventricolo sinistro (VS) e il fabbisogno miocardico di O2. Hanno un ruolo il principio di Frank-Starling, la riserva cardiaca e la curva di dissociazione dell’ossiemoglobina.

Il precarico (ossia il grado di tensione della fibra muscolare in telediastole) riflette il volume telediastolico, che è influenzato dalla pressione diastolica e dalla composizione della parete miocardica. Per gli scopi clinici, la pressione telediastolica, soprattutto se maggiore del normale, è una misura affidabile del precarico in molte condizioni. La dilatazione e l’ipertrofia del VS e le modificazioni della distensibilità del miocardio modificano il precarico.

La contrattilità del muscolo cardiaco isolato è caratterizzata dalla forza e dalla velocità di contrazione, parametri difficili da misurare nel cuore integro. Dal punto di vista clinico, la contrattilità viene spesso espressa come frazione di eiezione (rapporto fra gittata sistolica e volume telediastolico del VS).

Il postcarico (la forza che si oppone all’accorciamento della fibra miocardica dopo stimolazione dalla condizione di rilassamento) è determinato dallo spessore della parete e dalla pressione e dal volume delle cavità al momento dell’apertura della valvola aortica. Clinicamente, il postcarico è approssimativamente equivalente alla PA sistemica al momento dell’apertura della valvola aortica, o poco dopo, e rappresenta il picco sistolico dello stress di parete. Anche la frequenza e il ritmo influenzano la funzione cardiaca.

La ridotta disponibilità di substrati (p. es., acidi grassi e glucoso), soprattutto se la disponibilità di O2 è ridotta, può ridurre la forza di contrazione cardiaca e la funzione miocardica.

Il danno tissutale (acuto nell’IMA o cronico nella fibrosi dovuta a diverse patologie) danneggia la funzione miocardica localmente e impone un carico di lavoro addizionale al miocardio vitale.

Il principio di Frank-Starling asserisce che l’entità dello stiramento telediastolico della fibra miocardica (precarico) nell’ambito di un range fisiologico è proporzionale alla performance sistolica che consegue alla contrazione ventricolare (Fig. 203-1). Questo meccanismo è attivo nello SC, ma, dal momento che la funzione ventricolare non è normale, la risposta non è adeguata. Se la curva di Frank-Starling è depressa, la ritenzione di liquidi, la vasocostrizione e una serie di meccanismi neuro-ormonali portano alla sindrome dello SCC. Con il passare del tempo, il rimodellamento del VS (cambiamento della normale forma ovoidale) con dilatazione e ipertrofia compromette ulteriormente la funzione cardiaca, soprattutto durante lo sforzo fisico. La dilatazione e l’ipertrofia possono essere accompagnate da un aumento della rigidità diastolica.

La riserva cardiaca (capacità del cuore, non utilizzata in condizioni basali, di trasportare O2 ai tessuti) è un’importante componente della funzione cardiaca durante stress psicologico o fisico. I suoi meccanismi comprendono incrementi della frequenza cardiaca, dei volumi sistolico e diastolico, della gittata sistolica e dell’estrazione tissutale di O2. Per esempio, in giovani allenati, durante esercizio massimale, la frequenza cardiaca può aumentare dai 55-70 bpm di base fino a 180 bpm; la GC (gittata sistolica × frequenza cardiaca) può aumentare dal suo valore basale di 6 fino a  25 l/min; il consumo di O2 può aumentare da 250 a  1500 ml/min. Nel giovane normale a riposo, il sangue arterioso contiene circa 18 ml di O2/dl di sangue, e il sangue venoso misto e quello dell’arteria polmonare ne contengono circa 14 ml/dl. La differenza arterovenosa di O2 (A-Vo2) è di circa 4,0 ± 0,4 ml/dl. Perfino una gittata cardiaca massimale durante esercizio non è sufficiente per soddisfare le richieste metaboliche dei tessuti; perciò, i tessuti estraggono più O2 e il contenuto di O2 del sangue venoso misto si riduce in maniera considerevole. A-Vo2 può aumentare fino a circa 12-14 ml/dl. Un aumento della A-Vo2 dovuto alla riduzione del contenuto di O2 è un meccanismo di adattamento comune nello SC.

La curva di dissociazione dell’ossiemoglobina (v. Fig. 203-2) influenza la disponibilità di O2 ai tessuti e può costituire un altro meccanismo di riserva nello SC. La posizione di questa curva viene frequentemente espressa mediante la P50 (pressione parziale di O2 nel sangue in corrispondenza di una saturazione dell’ossiemoglobina del 50%). Un aumento della P50 (27 ± 2 mm Hg) indica uno spostamento a destra della curva di dissociazione dell’ossiemoglobina (ridotta affinità dell’Hb per l’O2). Per una data Po2, meno O2 si lega alla Hb e la saturazione è minore; di conseguenza, a livello dei capillari, più O2 viene rilasciato e reso disponibile per i tessuti. Un aumento della concentrazione di idrogenioni (un pH ridotto) sposta la curva a destra (effetto Bohr), così come fa anche un aumento della concentrazione di 2,3-difosfoglicerato nei globuli rossi, che altera la conformazione spaziale della molecola di Hb.

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Classificazione ed eziologia

In molte forme di cardiopatia, le manifestazioni cliniche dello SC possono riflettere una compromissione del ventricolo sinistro o del ventricolo destro.

L’insufficienza del ventricolo sinistro (VS) si sviluppa caratteristicamente nella malattia coronarica, nell’ipertensione, nella maggior parte delle cardiomiopatie e nei difetti congeniti (p. es., il difetto del setto interventricolare o il dotto arterioso pervio, in caso di shunt ampi).

L’insufficienza del ventricolo destro (VD) è più comunemente causata da una precedente insufficienza del VS (che aumenta la pressione venosa e comporta l’insorgenza di ipertensione arteriosa polmonare) e dall’insufficienza tricuspidale. Altre cause possibili sono la stenosi mitralica, l’ipertensione polmonare primitiva, l’embolia polmonare ripetuta, la stenosi dell’arteria o della valvola polmonare e l’infarto del VD. Il sovraccarico di volume e l’aumento della pressione venosa sistemica possono anche svilupparsi nella policitemia o nel caso di trasfusioni ripetute, nell’insufficienza renale acuta con iperidratazione o nell’ostruzione di una delle vene cave che simula uno SC. In queste condizioni, la funzione miocardica può essere normale.

Lo SC si manifesta con una disfunzione sistolica o diastolica o entrambe. Sono comuni anomalie sistoliche e diastoliche associate.

Nella disfunzione sistolica (primariamente un problema di disfunzione contrattile del ventricolo), il cuore non riesce ad assicurare ai tessuti una gittata circolatoria adeguata. Si ha una grande varietà di difetti nell’utilizzo delle riserve di energia, nell’apporto dei substrati energetici, nelle funzioni elettrofisiologiche e nell’interazione fra gli elementi contrattili: queste alterazioni sembrano riflettere anomalie nella modulazione intracellulare del Ca++ e nella produzione di AMP ciclico. La disfunzione sistolica ha diverse cause: le più comuni sono la coronaropatia, l’ipertensione e la cardiomiopatia dilatativa congestizia. Esistono molte cause note e probabilmente molte cause sconosciute della miocardiopatia dilatativa. Sono stati identificati più di 20 tipi di virus come agenti causali. Sostanze tossiche che danneggiano il cuore comprendono l’alcol, vari solventi organici, alcuni chemioterapici (p. es., la doxorubicina), i b-bloccanti, i calcioantagonisti e i farmaci antiaritmici.

La disfunzione diastolica (resistenza al riempimento ventricolare non facilmente quantificabile al letto del paziente) è responsabile del 20-40% del casi di SC. È generalmente associata a un aumento del tempo di rilasciamento del ventricolo, misurato durante la fase di rilasciamento isovolumetrico (tempo fra la chiusura della valvola aortica e l’apertura della valvola mitrale, momento in cui la pressione ventricolare si riduce rapidamente). La resistenza al riempimento (rigidità o "stiffness" del ventricolo) è direttamente proporzionale alla pressione diastolica del ventricolo; questa resistenza aumenta con l’età e probabilmente riflette la perdita di miociti e l’aumento della quota di collagene interstiziale. Si presume che la disfunzione diastolica sia predominante nella cardiomiopatia ipertrofica, in tutti i casi di ipertrofia ventricolare sinistra significativa (p. es., ipertensione, fase avanzata della stenosi aortica) e nell’infiltrazione del miocardio da parte di sostanza amiloide.

Lo scompenso ad alta gittata è una forma di SC associato a una GC persistentemente elevata e può alla fine provocare una disfunzione ventricolare. Condizioni associate con una GC elevata comprendono l’anemia, il beriberi, la tireotossicosi, la gravidanza, la malattia di Paget in fase avanzata e le fistole arterovenose. Nelle condizioni caratterizzate da un’elevata GC può svilupparsi uno SCC, che è spesso reversibile se si tratta la malattia di base. La GC è elevata in diverse forme di cirrosi, ma la comparsa di congestione riflette meccanismi epatici e cardiaci di ritenzione dei liquidi.

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Fisiopatologia

Nell’insufficienza del VS, la GC diminuisce e la pressione venosa polmonare aumenta. L’aumento della pressione capillare polmonare a livelli superiori rispetto alla pressione oncotica delle proteine plasmatiche (circa 24 mm Hg) comporta un aumento della quota liquida del parenchima polmonare, una ridotta elasticità del parenchima polmonare e un aumentato consumo di O2 da parte dei muscoli respiratori. L’ipertensione venosa polmonare e l’edema provocati dall’insufficienza del VS alterano significativamente la meccanica polmonare e di conseguenza il rapporto ventilazione/perfusione. La dispnea è correlata all’elevata pressione venosa polmonare e al conseguente aumento del lavoro respiratorio, sebbene la causa precisa sia dibattuta. Quando la pressione idrostatica venosa polmonare supera la pressione oncotica delle proteine plasmatiche, si verifica uno stravaso di fluidi nei capillari, negli spazi interstiziali e negli alveoli. Caratteristicamente, il versamento pleurico si forma dapprima nell’emitorace destro e, solo in un secondo tempo, diventa bilaterale. Il drenaggio linfatico è aumentato di molto, ma non riesce a far fronte all’aumento della quota liquida polmonare. Il sangue arterioso polmonare non ossigenato perfonde alveoli non aerati, per cui diminuisce la Po2 del sangue capillare misto polmonare. Una combinazione di iperventilazione alveolare, dovuta all’aumentata rigidità polmonare, e di ridotta PaO2 è caratteristica dell’insufficienza del VS. Di conseguenza, l’emogasanalisi mostra un pH aumentato e una PaO2 ridotta (alcalosi respiratoria) con una riduzione della saturazione che riflette un aumento dello spazio morto intrapolmonare. Di solito, anche la PaCO2 è ridotta. Una PaCO2 superiore rispetto al normale indica uno stato di ipoventilazione alveolare probabilmente dovuto a insufficienza dei muscoli respiratori e richiede un supporto ventilatorio urgente.

Nello scompenso del VD, si hanno sintomi di congestione venosa sistemica. Una disfunzione epatica di grado moderato si verifica comunemente nello SC secondario a insufficienza del VD, con modesti incrementi dei valori di bilirubina coniugata e non coniugata, del tempo di protrombina e degli enzimi epatici (p. es., fosfatasi alcalina, AST, ALT). Tuttavia, nelle situazioni di grave compromissione circolatoria con marcata riduzione del flusso ematico splancnico e ipotensione, questi indici di funzione epatica sono alterati per lo svilupparsi di necrosi centrolobulare nelle zone circostanti le vene epatiche e possono aumentare a tal punto da far pensare a un’epatite con insufficienza epatica acuta. La riduzione del catabolismo dell’aldosterone da parte del fegato danneggiato contribuisce ulteriormente alla ritenzione idrica.

Nella disfunzione sistolica, un inadeguato svuotamento del ventricolo provoca un aumento del precarico, del volume e della pressione diastolici. L’improvvisa (come nell’IMA) o la progressiva (come nella cardiomiopatia dilatativa) perdita di miociti provoca il rimodellamento del ventricolo, che causa un aumento dello stress di parete accompagnato da apoptosi (morte accelerata delle cellule miocardiche) e da un’inappropriata ipertrofia del ventricolo. In una fase successiva, la frazione d’eiezione si riduce fino a una progressiva insufficienza della funzione di pompa. Lo SC sistolico può danneggiare primariamente il VS o il VD (v. sopra), sebbene l’insufficienza di un ventricolo tenda alla fine a provocare l’insufficienza anche dell’altro.

Nella disfunzione diastolica, l’aumento della resistenza al riempimento del VS, conseguenza della ridotta distensibilità o "compliance" ventricolare (aumentata "stiffness") provoca un aumento della durata della fase di rilasciamento del ventricolo (fase attiva che segue la contrazione) e altera il normale pattern di riempimento del ventricolo. La frazione d’eiezione può essere normale o aumentata. Di norma, circa l’80% della gittata sistolica passa dall’atrio al ventricolo passivamente in protodiastole e ciò si riflette in un’onda E ampia e un’onda A più piccola al Doppler pulsato. Generalmente, nella disfunzione diastolica del VS, questo pattern è invertito, con un aumento della pressione di riempimento del ventricolo e dell’ampiezza dell’onda A.

Sia che si tratti di scompenso primariamente sistolico o primariamente diastolico, e qualunque sia il ventricolo coinvolto, si possono avere diversi adattamenti emodinamici, renali e neuro-ormonali.

Adattamenti emodinamici: in presenza di una GC ridotta, il trasporto di O2 ai tessuti è assicurato dall’aumento della A-Vo2. La misurazione della A-Vo2 mediante campioni di sangue arterioso sistemico e di sangue dell’arteria polmonare è un indice sensibile della funzione cardiaca e permette di calcolare, per mezzo dell’equazione di Fick (Vo= CO × A-Vo2), la GC (correlazione inversa) e il consumo di O2 dell’organismo (Vo2-correlazione diretta).

L’aumento della frequenza cardiaca e della contrattilità miocardica, la costrizione arteriolare in alcuni distretti, la venocostrizione e la ritenzione di Na e acqua costituiscono inizialmente meccanismi compensatori per la ridotta funzione ventricolare. Effetti negativi di questi meccanismi compensatori comprendono l’aumento del lavoro cardiaco, la riduzione del flusso coronarico, l’aumento del precarico e del postcarico, la ritenzione di liquidi che provoca congestione, la perdita di miociti, l’aumento dell’escrezione di K e le aritmie cardiache.

Adattamenti renali: i meccanismi attraverso cui un paziente asintomatico con una disfunzione cardiaca sviluppa uno SCC progressivo non sono noti, ma tutto comincia dalla ritenzione renale di Na e acqua secondaria alla ridotta perfusione renale. Così, a mano a mano che la funzione cardiaca peggiora, il flusso ematico renale diminuisce in maniera direttamente proporzionale alla riduzione della GC, la VFG si riduce notevolmente e il flusso ematico all’interno dei reni viene redistribuito. La frazione di filtrazione e il Na filtrato si riducono, ma il riassorbimento tubulare aumenta.

Adattamenti neuro-ormonali: l’aumentata attività del sistema renina-angiotensina-aldosterone influisce sugli adattamenti renali e vascolari periferici nello SC. L’intensa attivazione simpatica che accompagna lo SC stimola il rilascio di renina da parte dell’apparato iuxtaglomerulare situato vicino alla parte discendente dell’ansa di Henle. Probabilmente, anche la riduzione dello stiramento ("stretching") sistolico dell’arteria, secondario alla ridotta funzione ventricolare, stimola la secrezione renina. La stimolazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone (conseguente ai meccanismi ora descritti, ma anche secondaria alla stimolazione adrenergica) provoca una cascata di effetti potenzialmente dannosi: l’aumento dei livelli di aldosterone aumenta il riassorbimento di Na a livello del nefrone distale, contribuendo alla ritenzione di liquidi. La renina prodotta dal rene interagisce con l’angiotensinogeno, dando luogo all’angiotensina I, a partire dalla quale ha origine l’octapeptide angiotensina II per intervento dell’enzima convertente l’angiotensina (Angiotensin Converting Enzyme, ACE). L’angiotensina II ha diversi effetti che si ritiene peggiorino la sindrome dello SCC, compresi: la stimolazione del rilascio di arginina-vasopressina (AVP), ossia l’ormone antidiuretico (AntiDiuretic Hormone, ADH); la vasocostrizione; l’aumento del rilascio di aldosterone; la vasocostrizione dell’arteriola efferente del glomerulo; la ritenzione renale di Na; l’aumento del rilascio di noradrenalina. Si ritiene anche che l’angiotensina II sia coinvolta nell’ipertrofia delle pareti dei vasi sanguigni e del miocardio, così da contribuire al rimodellamento del cuore e dei vasi periferici, che aggrava la sindrome dello SC in diverse patologie miocardiche e anche in altre cardiopatie.

I livelli di noradrenalina plasmatica sono aumentati in maniera significativa e riflettono in ampia misura l’intensa stimolazione nervosa simpatica, dal momento che i livelli di adrenalina plasmatica non sono aumentati. Elevati livelli plasmatici di noradrenalina nei pazienti con SCC sono associati con una prognosi infausta.

A livello cardiaco, esistono molti recettori per sostanze ad azione neuro-ormonale (a1, b1, b2, b3-adrenergici, muscarinici, per l’endotelina, la serotonina, l’adenosina, l’angiotensina II). Nei pazienti con SC, i b1-recettori (che costituiscono il 70% dei b-recettori cardiaci), ma non gli altri recettori adrenergici, sono soggetti al fenomeno della "down-regulation", che può influire negativamente sulla funzione miocardica. Questa "down-regulation", che è probabilmente una risposta all’intenso "overdrive" simpatico, è stata rilevata perfino in pazienti asintomatici nelle prime fasi dello SC. Alterazioni delle sostanze che stimolano il miocardio o della funzione dei recettori per diversi altri fattori neuro-ormonali possono influire negativamente sulla funzione dei miociti nello SC.

I livelli sierici del peptide natriuretico atriale (secreto in risposta a un aumento del volume e della pressione dagli atri) e del peptide natriuretico cerebrale (secreto dal ventricolo in risposta allo stiramento delle fibre ventricolari) sono aumentati in maniera significativa nei pazienti con SCC. Questi peptidi aumentano la secrezione renale di Na, ma, nei pazienti con SCC, tale effetto è annullato dalla ridotta pressione di perfusione renale, dalla "down-regulation" dei recettori e forse dall’aumentata degradazione enzimatica di tali molecole. I livelli sierici del peptide natriuretico atriale sembrano essere importanti per la diagnosi e la prognosi dello SCC e sono correlati con il grado di danno funzionale.

L’AVP è secreta in risposta a una riduzione della PA o dei fluidi extracellulari e per effetto di diversi stimoli neuro-ormonali. Un aumento dell’AVP plasmatica riduce l’escrezione di acqua libera da parte del rene e può contribuire all’iponatriemia dello SC. I livelli di AVP nello SCC variano, ma antagonisti sperimentali dell’AVP hanno provocato un aumento dell’escrezione di acqua e un incremento dei livelli di Na.

Altre conseguenze: l’ipertensione venosa cronica può causare un’enteropatia protido-disperdente con ipoalbuminemia significativa, infarti intestinali ischemici, emorragie GI acute e croniche e malassorbimento. La gangrena periferica in assenza di occlusione dei grossi vasi o l’irritabilità cronica e una ridotta capacità di concentrazione possono risultare da una Po2 cronicamente e significativamente ridotta, in seguito alla grave riduzione del flusso ematico cerebrale e all’ipossiemia.

La cachessia cardiaca (perdita di massa magra  10%) può accompagnare uno SC gravemente sintomatico. Il cuore scompensato produce il "tumor necrosis factor-a", una citochina che stimola il catabolismo cardiaco e ha probabilmente un ruolo importante nella cachessia cardiaca. Tipica della sindrome dello SCC è un’anoressia significativa. Il ripristino di una normale funzione cardiaca può provocare la regressione della cachessia cardiaca.

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Sintomi e segni

Lo SC può essere principalmente destro o sinistro e può svilupparsi lentamente o all’improvviso (come nell’edema polmonare acuto).

Può verificarsi cianosi in ogni forma di SC. La causa può essere centrale e può riflettere un’ipossemia. Può anche essere presente una componente periferica dovuta a stasi capillare con un’aumentata A-Vo2 e quindi una marcata desaturazione dell’ossiemoglobina del sangue venoso. Il miglioramento del colorito del letto ungueale dopo un massaggio vigoroso suggerisce un quadro di cianosi periferica. Al contrario, la cianosi centrale non è suscettibile di modificazioni mediante aumento del flusso ematico locale.

Insufficienza del VS: l’ipertensione venosa polmonare può manifestarsi con tachicardia, ridotta tolleranza allo sforzo, dispnea per sforzi moderati e intolleranza al freddo. La dispnea parossistica notturna e la tosse notturna riflettono la redistribuzione dell’eccesso di liquidi all’interno dei polmoni in clinostatismo. Occasionalmente, l’ipertensione venosa polmonare e l’accumulo di liquido nei polmoni si manifestano con broncospasmo e sibili. La tosse può essere intensa con espettorato striato di rosa o di colorito marrone per la presenza di sangue e di "cellule dell’insufficienza cardiaca". L’emottisi franca, dovuta a rottura di varici polmonari con massiva perdita di sangue, non è frequente, ma può verificarsi occasionalmente. I segni di insufficienza cronica del VS comprendono un itto puntale diffuso e spostato lateralmente, un galoppo ventricolare (S3) e atriale (S4) rilevabile alla palpazione e all’auscultazione, un secondo tono polmonare rinforzato e rantoli inspiratori alle basi. È comune un versamento pleurico destro.

L’edema polmonare acuto è una manifestazione di insufficienza acuta del VS che mette a rischio la sopravvivenza ed è secondario all’improvvisa comparsa di ipertensione venosa polmonare. Un brusco aumento della pressione di riempimento del VS comporta il rapido stravaso di liquidi dal letto capillare dei polmoni agli spazi interstiziali e agli alveoli. Il paziente si presenta con dispnea gravissima, cianosi marcata, tachipnea, iperpnea, agitazione e ansia con sensazione di soffocamento. Sono comuni pallore e sudorazione. Il polso può essere filiforme e la PA può essere difficile da rilevare. L’inspirazione è faticosa e sono rilevabili rantoli diffusi su entrambi i campi polmonari, anteriormente e posteriormente. In alcuni pazienti si osserva un marcato broncospasmo con sibili (asma cardiaco). L’attività respiratoria faticosa e rumorosa spesso rende difficile l’auscultazione cardiaca, ma in diastole si può rilevare un galoppo di sommazione, dato dalla fusione di S3 e S4. Si ha un’ipossiemia di grado severo. La ritenzione di CO2 è una manifestazione tardiva e infausta di ipoventilazione secondaria e richiede immediata attenzione.

Insufficienza del VD: i sintomi principali includono affaticabilità; senso di tensione o di turgore a livello del collo; pesantezza a livello addominale, con occasionale dolorabilità al quadrante superiore destro (a livello del fegato); edemi alle caviglie e, nelle fasi avanzate, gonfiore addominale dovuto all’ascite. Nei pazienti in posizione supina, è frequente il riscontro di edema nella regione sacrale. I segni clinici includono l’ipertensione venosa sistemica, la presenza di onde a o v anormalmente ampie al polso venoso giugulare, l’epatomegalia dolente alla palpazione, il soffio da insufficienza tricuspidale lungo il margine sternale sinistro, il S3 e il S4 del VD e l’edema molle della parte inferiore del corpo.

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Diagnosi

Nonostante i sintomi e i segni (p. es., la dispnea da sforzo, l’ortopnea, l’edema, la tachicardia, i rantoli polmonari, un terzo tono, il turgore giugulare) abbiano una specificità per la diagnosi del 70-90%, la sensibilità e il valore predittivo sono bassi.

Gli esami di laboratorio raccomandati comprendono l’emocromo completo, la creatininemia, l’azotemia, gli elettroliti (p. es., Mg, Ca), la glicemia, l’albuminemia e i test di funzionalità epatica. Il dosaggio degli ormoni tiroidei va eseguito nei pazienti in fibrillazione atriale e in soggetti selezionati, soprattutto anziani. Nei pazienti con sospetta coronaropatia, possono essere indicati un test provocativo associato a imaging scintigrafico o ecocardiografico o un’angiografia coronarica. La biopsia endomiocardica ha un’utilità limitata.

L’ECG va eseguito in tutti i pazienti con SC, sebbene i rilievi che si ottengono non siano specifici; il monitoraggio ambulatoriale dell’ECG non è in genere utile. Diverse alterazioni (p. es., ipertrofia ventricolare, IMA o blocco di branca) possono fornire elementi diagnostici utili per individuare l’eziologia della cardiopatia. Una fibrillazione atriale ad alta risposta ventricolare di recente insorgenza può provocare un’insufficienza acuta del VS o del VD. Extrasistoli ventricolari frequenti possono essere secondarie e possono regredire con la terapia dello SC.

La rx del torace va eseguita in tutti i pazienti. La congestione venosa polmonare e l’edema interstiziale o alveolare sono caratteristici dell’edema polmonare. Le strie B di Kerley riflettono un aumento cronico della pressione atriale sinistra e sono espressione dell’ispessimento cronico dei setti intralobulari dovuto all’edema. Il microcircolo è meglio rappresentato soprattutto nelle zone declivi, vale a dire a livello delle basi in ortostatismo. L’esame attento dell’ombra cardiaca, la valutazione della dilatazione delle camere e la ricerca di calcificazioni cardiache possono rivelare elementi importanti per individuare l’eziologia dello SC.

L’ecocardiografia può essere d’aiuto nel valutare le dimensioni endocavitarie, la funzione degli apparati valvolari, la frazione d’eiezione, le anomalie della cinetica regionale e l’ipertrofia del VS. L’ecocardiografia Doppler o color Doppler rileva con accuratezza un versamento pericardico o trombi e tumori endocavitari e individua calcificazioni a livello delle valvole cardiache, dell’anulus mitralico e delle pareti dell’aorta. Anomalie della cinetica segmentaria suggeriscono fortemente una coronaropatia di base. Sono spesso utili studi Doppler del flusso transmitralico e del flusso delle vene polmonari per identificare e quantificare la disfunzione diastolica del VS.

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Terapia

Anche nelle situazioni di massima urgenza, è necessario individuare la causa dello SC. Eventuali condizioni correggibili richiedono l’immediato trattamento, che di solito comincia prima che sia completata la valutazione eziologica. Per i pazienti che necessitano di ricovero ospedaliero, un trattamento iniziale non specifico comprende il riposo a letto con la testa sollevata o il riposo in poltrona con i piedi in basso, la somministrazione di O2 per via nasale (spesso a 3 l/min per 24-36 ore) e la sedazione, se necessaria.

Terapia farmacologica della disfunzione sistolica: la terapia farmacologica della disfunzione sistolica comprende primariamente i diuretici, gli ACE-inibitori, la digitale e i b-bloccanti; la maggior parte dei pazienti viene trattata con almeno due di queste classi farmacologiche.

I diuretici (v. Tab. 203-1) possono migliorare la funzione ventricolare perfino nei pazienti asintomatici. Vanno preferiti i diuretici dell’ansa; la furosemide EV o PO è il diuretico utilizzato più comunemente. Quando si inizia la terapia, si utilizza la somministrazione EV (di solito 20-40 mg, aumentabili fino a 320 mg se necessario), a causa del rapido inizio dell’azione e della rapidità con cui si raggiunge l’effetto massimo (circa 30 min). Nei casi resistenti, possono avere un effetto additivo la clorotiazide (250 mg EV), la bumetanide (0,5-2 mg PO o 0,5-1,0 mg EV) oppure il metolazone PO (le dosi variano a seconda delle formulazioni). Il sovradosaggio di diuretici dell’ansa può causare ipovolemia, iponatriemia, ipomagnesiemia e ipokaliemia grave: per questo, è essenziale un attento monitoraggio degli elettroliti. I diuretici possono anche causare insufficienza renale e aumentare l’intensa stimolazione simpatica caratteristica dello SC. Possono essere usati risparmiatori di K per controbilanciare la perdita di K dovuta ai diuretici dell’ansa, ma il loro utilizzo può complicarsi con un’iperkaliemia. I diuretici tiazidici di solito non sono efficaci nei pazienti con uno SC in fase avanzata.

L’efficacia clinica dei diuretici dipende dalla restrizione dietetica di Na, che va praticata con un approccio a gradini: a tutti i pazienti con SC va raccomandato di eliminare il sale a tavola e di evitare i cibi molto salati; nei casi un po’ più seri, bisogna evitare il sale durante la preparazione dei cibi e limitare a circa 1,2-1,8 g l’assunzione quotidiana di Na+; nei casi gravi, l’apporto di Na non deve superare 1 g/die e ciò si ottiene ricorrendo a cibi a basso contenuto di Na. Il paziente deve tenere un diario quotidiano del proprio peso corporeo per guidare la terapia domiciliare dello SC e per aiutare a prevenire ricoveri frequenti, dal momento che tale provvedimento permette di evidenziare precocemente l’accumulo di Na+ e acqua.

Gli ACE-inibitori causano vasodilatazione periferica arteriosa e venosa, una riduzione sostenuta delle pressioni di riempimento del VS a riposo e durante sforzo per il loro effetto venodilatatore, una riduzione delle resistenze vascolari sistemiche, effetti positivi sul rimodellamento, un probabile miglioramento della funzione diastolica, una probabile riduzione della perdita di cellule miocardiche e un effetto inotropo negativo sul cuore scompensato. Diversi ACE-inibitori aumentano la sopravvivenza nello SC e riducono l’incidenza di recidive d’angina e di IMA nella malattia coronarica. L’espansione di volume e l’insufficienza renale riducono i loro effetti benefici. Gli effetti collaterali comprendono una riduzione della PA (talvolta grave) in quasi tutti i pazienti, specialmente in quelli iponatriemici. La vasodilatazione dell’arteriola efferente del glomerulo può provocare un’insufficienza renale di entità moderata. Per la riduzione dei livelli di aldosterone, può verificarsi un’iperkaliemia, soprattutto nei pazienti che assumono supplementi di K. Nel 5-20% dei pazienti si verifica tosse, probabilmente per l’accumulo di bradichinine conseguente alla loro ridotta degradazione a metaboliti inattivi. Occasionalmente, si hanno un rash cutaneo o una disgeusia. L’edema angioneurotico è raro, ma può essere potenzialmente letale.

La terapia con ACE-inibitori va incominciata con dosi basse, che vengono poi aumentate gradualmente e continuate in seguito indefinitamente; il dosaggio va aumentato progressivamente fino al massimo tollerato dal paziente. Le dosi usuali sono: captopril 25-50 mg/die, enalapril e lisinopril 2,5-5 mg/die e quinapril 10 mg/die. L’aggiunta di spironolattone migliora la funzione cardiaca e sistemica. Sebbene possa essere osservato un effetto precoce, il pieno effetto del farmaco non è solitamente rilevabile per le prime 2-4 settimane di terapia o anche per periodi molto più lunghi. Alte dosi di ACE-inibitori comportano una frequenza di effetti collaterali simile a quella che si ha con basse dosi, ma sono più efficaci (gli studi che hanno evidenziato i vari effetti positivi di questi farmaci, compresa la riduzione della mortalità, hanno in genere utilizzato alte dosi).

La dose del diuretico associato può essere ridotta, soprattutto se si verifica un’insufficienza renale indotta dall’ACE-inibitore. L’aspirina può ridurre l’efficacia degli ACE-inibitori nello SC, probabilmente perché inibisce gli effetti delle chinine.

Il losartan, un antagonista recettoriale dell’angiotensina II, alla dose di 25-50 mg/die, ha effetti simili agli ACE-inibitori, sebbene non siano stati realizzati trial clinici di confronto. Teoricamente, non si dovrebbe verificare la tosse, perché il losartan non influisce sul metabolismo delle chinine.

Le preparazioni digitaliche hanno diversi meccanismi d’azione, compresi un debole effetto inotropo positivo; il blocco del nodo atrioventricolare, che rallenta la frequenza ventricolare nella fibrillazione atriale o prolunga l’intervallo PR in ritmo sinusale; una vasocostrizione blanda; il miglioramento del flusso ematico a livello renale. La digitale è ampiamente prescritta, nonostante il suo ruolo continui a essere dibattuto e la sua utilità nello SC in assenza di fibrillazione atriale sia controversa.

La digossina è la preparazione digitalica più comunemente prescritta. Viene eliminata dal rene con un’emivita di 36-48 h nei pazienti con funzione renale normale. I pazienti con una funzione renale ridotta vanno trattati con dosi ridotte. La biodisponibilità delle formulazioni orali di digossina è intorno al 65-75%. La digitossina, un’alternativa nei pazienti con nefropatia nota o sospetta, è ampiamente eliminata con la bile e quindi la sua escrezione non è modificata da una funzione renale anomala.

La digossina migliora moderatamente la funzione del VS, permette di ridurre il dosaggio dei diuretici e riduce la necessità di ricoveri ospedalieri. A differenza degli ACE-inibitori, la digossina non migliora la tolleranza allo sforzo. Se si sospende la digossina nei pazienti con SC, la frequenza di ospedalizzazione e i sintomi aumentano, ma tutto ciò non influisce sulla mortalità. Per questo, la digossina è utile nello SC sintomatico, se usata in associazione con i diuretici e gli ACE-inibitori. La digossina è massimamente efficace nei pazienti con un elevato volume telediastolico del VS e un terzo tono.

In pazienti con una funzione renale normale, la digossina (0,25-0,50 mg/die a seconda del peso corporeo) raggiungerà lo "steady state" dopo circa una sett. (5 emivite). La somministrazione di 1 mg di digossina EV (0,5 mg inizialmente, poi 0,25 mg a 8 e 16 h) o di 1,25 mg PO (0,5 mg inizialmente, poi 0,25 mg a 8, 16 e 24 h) permette il raggiungimento di adeguati livelli tissutali e plasmatici in assenza di tossicità. Queste dosi sono poi seguite da 0,125-0,375 mg/die a seconda del peso corporeo; gli anziani raramente hanno bisogno di dosi > 0,125 mg/die. I pazienti con una ridotta funzione renale necessitano di dosi ridotte.

La digossina (e tutti i glicosidi digitalici) hanno un ridotto intervallo fra dosi terapeutiche e dosi tossiche. Circa l’80% dell’effetto terapeutico può essere ottenuto con livelli sierici di 1,0-1,5 ng/ml, generalmente ben al disotto della soglia tossica di  2 ng/ml. Nel trattamento della fibrillazione atriale, dosi relativamente basse di digossina possono essere associate a b-bloccanti o a calcioantagonisti (p. es., verapamil, diltiazem), che hanno un significativo effetto di blocco sul nodo atrioventricolare e riescono a controllare la frequenza ventricolare a riposo e durante sforzo.

La digossina prolunga il tempo di conduzione del nodo atrioventricolare. Il blocco AV di primo grado è comune e, se non è progressivo, il dosaggio della digossina non va ridotto. Può verificarsi il fenomeno di Wenckebach. Gli effetti tossici più importanti della digitale sono aritmie potenzialmente letali dovute a blocco AV completo o aritmie ventricolari. La digitale aumenta l’automatismo delle fibre di Purkinje e può favorire fenomeni di rientro, con conseguenti coppie di extrasistoli, fibrillazione ventricolare o tachicardia ventricolare. La tachicardia ventricolare bidirezionale è un segno patognomonico di tossicità digitalica. La tachicardia giunzionale non parossistica in presenza di fibrillazione atriale è un segno grave di tossicità digitalica, ma viene frequentemente trascurato.

L’ipokaliemia e l’ipomagnesiemia (spesso causate dai diuretici) aumentano la probabilità che la digossina provochi aritmie ventricolari maligne o blocco AV. Il rilievo e il trattamento di ridotti livelli di elettroliti sono prioritari nei pazienti in terapia con diuretici e digossina, eccetto che in presenza di blocco atrioventricolare, caso in cui deve essere in funzione un pacemaker temporaneo prima che gli squilibri elettrolitici vengano corretti.

Altre manifestazioni di tossicità digitalica sono nausea, vomito, anoressia, diarrea, confusione, diplopia e, raramente, xeroftalmia.

La prima cosa da fare nell’intossicazione digitalica è sospendere il farmaco. Occorre monitorare attentamente l’ECG e, se la kaliemia è bassa, vanno somministrati 80 mEq di cloruro di potassio EV in 1 litro di soluzione glucosata al 5% alla velocità di 6 ml/min (0,5 mEq/min). L’ipomagnesiemia va trattata con solfato di magnesio 1 g q 6 h per un totale di quattro dosi IM o EV, se lieve, oppure con infusione di 5 g/h di solfato di magnesio in soluzione glucosata al 5% per 3 ore (28 mg/min). È meglio somministrare Ab specifici anti-digossina (se disponibili) piuttosto che un altro farmaco antiaritmico. Le aritmie ventricolari vanno trattate con lidocaina o fenitoina. Il miglior trattamento del blocco cardiaco con bassa frequenza ventricolare consiste nell’applicazione di un pacemaker transvenoso temporaneo. L’isoprotenerolo è controindicato perché aumenta la suscettibilità ad aritmie ventricolari.

Diversi farmaci inotropi sono stati valutati nel trattamento dello SC ma, eccetto che per la digossina, tutte le preparazioni hanno provocato un aumento della mortalità.

Con l’attenta somministrazione di b-bloccanti, alcuni pazienti, soprattutto quelli affetti da cardiomiopatia dilatativa idiopatica, migliorano dal punto di vista clinico e si può riscontrare una riduzione della mortalità. Tale terapia va iniziata con cautela, usando dosi pari a 1/4-1/10 della dose standard quotidiana, con incrementi molto graduali del dosaggio nell’arco di diverse settimane.

Dopo l’instaurazione della terapia b-bloccante nello SC, la frequenza cardiaca diminuisce, la gittata sistolica e la pressione di riempimento restano invariate e il consumo miocardico di O2 si riduce. Con la riduzione della frequenza cardiaca, la funzione diastolica migliora. Il pattern di riempimento ventricolare assume una morfologia più vicina alla normalità (aumenta in protodiastole) ed è meno restrittivo. Un miglioramento della funzione miocardica è oggettivo dopo 6-12 mesi, con aumento della frazione d’eiezione, riduzione della pressione di riempimento del VS e incremento della GC. Dal punto di vista funzionale, la capacità di esercizio appare migliorata.

Il carvedilolo, un b-bloccante non selettivo di terza generazione, è anche un vasodilatatore con azione a-bloccante e un antiossidante. Trial randomizzati controllati hanno mostrato una riduzione significativa della mortalità globale e degli eventi cardiaci nei pazienti con SCC moderatamente sintomatico e con frazione d’eiezione  35%. La funzione ventricolare migliora in modo significativo. In un paziente che assume dosi costanti di diuretici, ACE-inibitori e digossina, la dose iniziale raccomandata di carvedilolo è di 3,125 mg bid per 2 settimane con successivi graduali incrementi del dosaggio (si raddoppia la dose ogni 2 settimane fino al livello massimo tollerato, con un tetto di 25 mg bid per soggetti di peso < 85 kg e 50 mg bid per soggetti di peso  85 kg).

I vasodilatatori migliorano la funzione ventricolare perché diminuiscono lo stress sistolico di parete, l’impedenza aortica, le dimensioni ventricolari e riducono il flusso di rigurgito nelle insufficienze valvolari. Ne consegue un miglioramento del bilancio fra l’apporto e il consumo miocardico di O2. I pazienti con insufficienza cardiaca acuta, con congestione polmonare grave e progressivo peggioramento della funzione ventricolare possono rispondere alla nitroglicerina o al nitroprussiato EV.

L’aggiunta di idralazina e isosorbide dinitrato alla triplice terapia dello SC può migliorare le condizioni emodinamiche e la tolleranza allo sforzo e ridurre la mortalità nei pazienti refrattari. La terapia con idralazina va iniziata con 25 mg 4 volte/die e aumentata poi ogni tre giorni fino a un massimo di 300 mg/die, anche se la maggior parte di pazienti con scompenso refrattario non riesce a tollerare dosi > 200 mg/die senza sviluppare ipotensione. L’isosorbide dinitrato viene somministrato alla dose di 20 mg 3 o 4 volte/die e può essere aumentato fino a un massimo di 160 mg/die. I pazienti vanno attentamente monitorati per l’eventuale comparsa di ipotensione a mano a mano che il dosaggio viene aumentato; può essere necessario il ricovero ospedaliero. Il beneficio può non rendersi evidente per diverse settimane. Eccetto che nel caso di insufficienza acuta o refrattaria, i vasodilatatori sono stati sostituiti dagli ACE-inibtori, che sono più semplici da usare e sono solitamente meglio tollerati.

L’uso dei calcioantagonisti nei pazienti con una ridotta funzione del VS e SC clinicamente evidente non ha dato risultati positivi. Per diversi calcioantagonisti è stato dimostrato un effetto negativo (nifedipina, diltiazem, verapamil) e per altri manca l’evidenza di un miglioramento clinico ed emodinamico (nisoldipina, nicardipina, felodipina).

L’amlodipina è ben tollerata nello SCC. Riduce in maniera significativa la mortalità nei pazienti con cardiomiopatia dilatativa idiopatica. L’amlodipina (o un altro calcioantagonista vasoselettivo a lunga durata d’azione come la felodipina) può essere utile nei pazienti con cardiomiopatia in cui lo SC non sia ben controllato con diuretici, ACE-inibitori, digitale e b-bloccanti. L’amlodipina può anche essere utile per trattare l’angina o l’ipertensione eventualmente associate allo SC.

Terapia farmacologica della disfunzione diastolica: i pazienti affetti da disfunzione diastolica potrebbero non tollerare la riduzione della PA o della volemia. Sono solitamente controindicati i diuretici, gli ACE-inibitori e i vasodilatatori, ma essi possono ridurre la massa e la rigidità del VS risultando comunque di valore. La terapia dello SC nella cardiomiopatia ipertrofica (v. più avanti) con un b-bloccante, il verapamil o la disopiramide ha come scopo la riduzione della contrattilità cardiaca; perciò, anche la digossina è controindicata. Un’efficace terapia antiipertensiva o la sostituzione valvolare nella stenosi aortica ridurrà l’ipertrofia del VS e la rigidità ("stiffness") miocardica. Generalmente, la terapia della disfunzione sistolica, che è predominante, migliora anche la funzione diastolica. La terapia dei pazienti con un’importante infiltrazione ventricolare (p. es., amiloidosi) rimane ancora insoddisfacente. La riduzione della frequenza cardiaca mediante b-bloccanti prolunga la diastole, il che probabilmente migliora il rilasciamento ventricolare e rende il riempimento ventricolare più fisiologico.

Terapia farmacologica delle aritmie: la tachicardia sinusale è comune nello SC, ma generalmente scompare trattando in maniera efficace lo SC. Se la tachicardia persiste, vanno considerate cause associate (p. es., ipertiroidismo, embolia polmonare, febbre, anemia) e può essere presa in considerazione una terapia con b-bloccanti. La fibrillazione atriale non controllata può contribuire in maniera determinante alla disfunzione del VS. Alcuni pazienti hanno una frequenza ventricolare a riposo ben controllata, che aumenta di molto per minimi stress fisici o emotivi. Una terapia equilibrata con digossina, b-bloccanti o calcioantagonisti (p. es., verapamil, diltiazem), da soli o in associazione, è spesso efficace. Occasionalmente, il dosaggio necessario a controllare la tachicardia può provocare fasi di asistolia. Possono rendersi necessari l’impianto di un pacemaker e la prosecuzione di terapia con alte dosi di farmaci che bloccano la conduzione atrioventricolare, oppure l’ablazione totale o parziale del nodo atrioventricolare. Nello SC, sono comuni extrasistoli ventricolari. In assenza di tachicardia ventricolare sostenuta, vengono solitamente ignorate perché la maggior parte scompaiono con un’efficace terapia dello SC.

L’amiodarone ha un effetto antiaritmico, inotropo negativo e anti-ischemico. Tuttavia, nello SC l’amiodarone (alla dose di 200-300 mg/die) migliora la funzione del VS, forse perché il suo effetto vasodilatatore supera l’effetto inotropo negativo. Alcuni studi suggeriscono un aumento della sopravvivenza, soprattutto nella cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva o nella forma dilatativa post-ischemica. Paradossalmente, nello SC la terapia delle aritmie ventricolari con altri farmaci antiaritmici (tranne i b-bloccanti) non ha ridotto la mortalità.

Il trattamento delle aritmie nello SC può essere difficile perché, in presenza di disfunzione ventricolare sinistra, farmaci antiaritmici diversi dall’amiodarone e dai b-bloccanti hanno un effetto proaritmico. Se una fibrillazione atriale con elevata risposta ventricolare non risponde alla terapia con digossina, vanno presi in considerazione b-bloccanti o calcioantagonisti, una terapia non farmacologica con impianto di un pacemaker permanente e ablazione totale o parziale del nodo AV.

La terapia dell’edema polmonare acuto comprende la somministrazione di O2 mediante maschera facciale, l’assunzione della posizione ortostatica se tollerata, la somministrazione di morfina EV (1-5 mg una o due volte) e furosemide EV (0,5-1,0 mg/kg). Se l’ipossia è grave (come evidenziato dall’ossimetro digitale) o la ritenzione di CO2 è evidente (come evidenziato dall’emogasanalisi), possono essere necessarie l’intubazione tracheale e la ventilazione assistita. Va eseguita una rapida valutazione della causa dello SC mediante anamnesi, esame obiettivo, ECG e, se indicato, ecocardiogramma. La terapia specifica dipende dall’eziologia: un vasodilatatore per l’ipertensione grave; un antiaritmico EV o la cardioversione per le tachicardie sopraventricolari o ventricolari; un calcioantagonista EV, un b-bloccante EV, digossina EV o la cardioversione per rallentare la frequenza ventricolare nella fibrillazione atriale parossistica.

L’IMA è la causa più comune di insufficienza acuta del VS. Se la PA è mantenuta, la terapia è quella sopra indicata, con nitroglicerina sl alla dose di 0,4 mg, ripetibile dopo 5 min e seguita da nitroglicerina EV alla dose di 10-100 mg/min. Va somministrato un trombolitico, se indicato. Dal momento che la distribuzione dei liquidi corporei prima dell’esordio dell’insufficienza cardiaca acuta è solitamente normale nei pazienti con IMA, i diuretici risultano meno utili e possono provocare ipotensione. Se la PA si riduce o si sviluppa uno stato di shock, possono essere necessari dobutamina EV e contropulsazione aortica. In pazienti che non migliorano, si può eseguire l’angiografia coronarica d’emergenza per valutare l’opportunità di una PTCA o di un intervento di bypass aorto-coronarico.

Terapia dello SC refrattario: vari fattori possono causare una risposta inadeguata a una terapia appropriata o una graduale riduzione della risposta positiva dopo un risultato inizialmente favorevole. Tali fattori comprendono una terapia subottimale, un deterioramento della funzione renale, una patologia tiroidea misconosciuta, l’anemia, l’ipotensione indotta dalla terapia, aritmie subentranti (p. es., fibrillazione atriale con rapida risposta ventricolare), consumo di alcol, effetti collaterali della contemporanea somministrazione di altri farmaci (soprattutto FANS). Se non vengono individuate cause trattabili, possono essere prese in considerazione una terapia medica addizionale o l’indicazione chirurgica.

Chirurgia: il trapianto cardiaco è il solo trattamento che può cambiare la storia naturale dello SC a lungo termine. Attualmente, la sopravvivenza a 1 anno e 3 anni è, rispettivamente, di circa 82 e 75%; tuttavia, la mortalità dei pazienti in attesa di trapianto è del 12-15%. Per potenziare la funzione ventricolare, è stata utilizzata sperimentalmente la cardiomioplastica: il muscolo latissimus dorsi viene posizionato intorno al cuore e stimolato in maniera ripetitiva. È stato riportato che lo stato funzionale migliora in circa l’80% dei pazienti. Un’altra procedura sperimentale cerca di ridurre la tensione parietale rimuovendo alcuni segmenti del ventricolo in modo da ridurre il volume del VS, ma i dati prognostici sono limitati. Sono in corso di studio diversi dispositivi impiantabili di sostegno alla funzione ventricolare. In pazienti selezionati, con SC refrattario, sono risultati efficaci dispositivi meccanici con una fonte esterna di energia. Sono in corso di valutazione nuovi apparecchi in cui la fonte di energia è interamente inserita all’interno dell’organismo, in modo da ridurre la complicanza più importante costituita dalle infezioni.

Assistenza al malato terminale: la morte è inevitabile nei pazienti con malattia progressiva, non candidati al trapianto, e in cui non si riesca a controllare i sintomi. In tali casi, bisogna cercare di alleviare i sintomi e la sofferenza.

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