16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE

204. SHOCK

Abbreviazioni utilizzate in questo capitolo

FA

Fibrillazione atriale

RF

Radiofrequenza

ICD

Defibrillatore automatico impiantabile

t1/2

Emivita di eliminazione

ISA

Attività simpaticomimetica intrinseca

BEV

Battiti ectopici ventricolari

PVG

Polso venoso giugulare

FV

Fibrillazione ventricolare

BBS

Blocco di branca sinistra

TV

Tachicardia ventricolare

LGL

Sindrome di Lown-Ganong-Levine

WPW

Sindrome di Wolff-Parkinson-White

BBD

Blocco di branca destra

   

Sommario:

Anatomia
Fisiologia del ritmo sinusale
Patogenesi
Sintomi e segni
Diagnosi
Terapia


Anatomia

Le cellule specializzate del sistema di conduzione costituiscono una piccola frazione della massa cardiaca. Alla giunzione fra la vena cava superiore e la parte alta dell’atrio destro, un gruppo di cellule, il nodo senoatriale o nodo del seno, forma il generatore elettrico primario (pacemaker) del cuore normale. Queste cellule producono una scarica ritmica modulata dall’innervazione autonomica e dalle catecolamine circolanti. L’attività del nodo senoatriale non è individuabile sull’ECG di superficie, ma si verifica 80-120 ms prima dell’inizio dell’onda P, che rappresenta la depolarizzazione delle cellule miocardiche atriali. La trasmissione dell’impulso dal nodo senoatriale lungo l’atrio verso il nodo atrioventricolare sembra avvenire attraverso cellule miocardiche normali non specializzate. Tuttavia, una via di conduzione preferenziale è determinata dalle fasce muscolari che formano l’atrio.

Gli atri sono elettricamente isolati dai ventricoli, eccetto che a livello del nodo atrioventricolare, le cui tortuose vie di conduzione ritardano la trasmissione dell’impulso. Il periodo refrattario del nodo atrioventricolare è in genere più lungo di quello del restante tessuto cardiaco, è frequenza-dipendente ed è modulato dal tono neurovegetativo e dalle catecolamine, che regolano l’attivazione dei ventricoli in relazione a quella degli atri per massimizzare la gittata cardiaca per ogni data frequenza cardiaca.

Il nodo atrioventricolare è situato sul versante atriale dell’anulus fibroso. Il tessuto specializzato di conduzione, il fascio di His, decorre lungo l’anello valvolare tricuspidale fino al trigono valvolare, penetrando l’anulus fibroso e proseguendo attraverso la porzione membranosa del setto interventricolare. Il fascio di His si divide nel punto in cui il setto membranoso lascia il posto al setto muscolare. La branca destra continua verso il basso sulla superficie endocardica del ventricolo destro per raggiungere il miocardio anteriore e apicale del ventricolo destro. Gli impulsi decorrono all’interno della branca fino alle sue ramificazioni terminali. La branca sinistra del fascio attraversa la parte superiore del setto interventricolare muscolare per emergere nel versante sinistro del cuore appena al di sotto della cuspide non coronarica della valvola aortica. La branca sinistra si divide in modo variabile, ma funzionalmente dà origine a un fascicolo posteriore sinistro (che attiva il setto) e un fascicolo anteriore sinistro. Un disturbo riguardante questi fascicoli può produrre caratteristiche modificazioni dell’ECG (v. oltre, Emiblocco).

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Fisiologia del ritmo sinusale

Il nodo senoatriale, probabilmente il nodo atrioventricolare, e la maggior parte del tessuto di conduzione specializzato sono in grado di generare automaticamente (spontaneamente) la fase 4 della depolarizzazione diastolica. La frequenza intrinseca del pacemaker è più alta nel nodo senoatriale, che è dominante sui più bassi e più lenti pacemaker cardiaci latenti. Il ritmo sinusale varia notevolmente in registrazioni a breve e a lungo termine.

L’aritmia sinusale respiratoria, mediata dalle oscillazioni del tono vagale, è comune soprattutto nei giovani. Tali oscillazioni si riducono con l’età, ma non scompaiono completamente. Lo sforzo fisico e l’emozione accelerano notevolmente il ritmo sinusale sotto l’azione del sistema simpatico e delle catecolamine. Una frequenza sinusale a riposo di 60-100 battiti/min rappresenta di solito i limiti della norma, ma si hanno frequenze cardiache molto più lente nei giovani, in particolar modo in quelli che svolgono regolarmente attività sportive (v. Cap. 213). Perciò, frequenze a riposo < 60 battiti/min (bradicardia sinusale) spesso non sono patologiche. Per tachicardia sinusale si intende una frequenza > 100 battiti/min. I soggetti normali hanno una marcata variabilità della frequenza cardiaca nel corso della giornata, con frequenze più basse appena prima del risveglio al mattino presto, quando l’accelerazione sinusale è notevole (v. Fig. 205-1). Un’assoluta regolarità del ritmo sinusale è patologica e avviene per denervazione delle fibre vegetative (p. es., nel diabete avanzato).

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Patogenesi

Le bradiaritrmie sono secondarie ad alterazioni dell’automatismo o della conduzione, soprattutto all’interno del nodo atrioventricolare e del sistema di His-Purkinje. Le tachiaritmie possono insorgere per un’alterazione dell’automatismo, per fenomeni di rientro o per un’automaticità triggerata; tali meccanismi sono stati identificati e caratterizzati da un punto di vista elettrofisiologico, ma possono raramente essere differenziati fra loro da un punto di vista clinico. Le tachiaritmie più significative dal punto di vista clinico sono probabilmente dovute a fenomeni di rientro.

Alcune aritmie causano pochi o nessun sintomo, ma sono associate a una prognosi infausta. Numerosi argomenti suggeriscono che la prognosi non è necessariamente migliorata dalla loro soppressione. Le altre aritmie, benché sintomatiche, sono benigne. La natura e la gravità della cardiopatia di base spesso hanno un maggior significato prognostico che l’aritmia di per se stessa.

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Sintomi e segni

Esiste una grande variazione nella percezione delle aritmie da parte del paziente: si va dalle palpitazioni ai più importanti sintomi secondari a compromissione emodinamica.

Le palpitazioni (percezione del battito cardiaco) sono spesso sgradevoli e possono comparire sia per l’aumento della forza contrattile che per un disturbo del ritmo. Devono essere studiate per definirne la causa e per alleviare l’ansia a esse connessa.

Le aritmie che causano alterazioni emodinamiche sono di solito bradicardie o tachicardie sostenute e sono potenzialmente letali. In tali casi, sono comuni vertigini e sincopi, che possono impedire al paziente la guida o certi lavori (p. es., pilota di linea, conduttore di treno). Queste aritmie richiedono attenzione urgente e, spesso, l’ospedalizzazione.

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Diagnosi

L’anamnesi fornisce in genere informazioni sufficienti a formulare un’ipotesi diagnostica. I pazienti sono relativamente affidabili quando descrivono le palpitazioni rapide e totalmente irregolari della fibrillazione atriale (FA) parossistica e possono descrivere una tachiaritmia regolare con un’approssimazione di 10 battiti/min. L’anamnesi deve differenziare brevi episodi aritmici (p. es., battiti ectopici, blocco atrioventricolare di 2° grado) da eventi mantenuti nel tempo. Bisogna riuscire a ottenere dal paziente informazioni chiare circa l’inizio e la fine dell’aritmia e circa ogni altro sintomo. È piuttosto diffusa l’opinione (erronea) che una tachiaritmia ben tollerata debba essere una tachicardia sopraventricolare piuttosto che una tachicardia ventricolare (TV) e viceversa.

Se esaminati durante un’aritmia, il polso periferico (che riflette l’attivazione ventricolare) e il polso venoso giugulare (o PVG, che riflette l’attivazione atriale e quella ventricolare) sono importanti ai fini della diagnosi e possono permettere di distinguere una TV (se è presente dissociazione atrioventricolare) dalle altre tachicardie regolari sostenute, dalla FA, dal flutter atriale, dai battiti ectopici ventricolari (BEV) e dal blocco cardiaco di 2° e 3° grado.

Nonostante l’anamnesi e l’esame del polso durante aritmia possano fornire una diagnosi accurata, l’ECG resta la principale procedura diagnostica. L’ECG di superficie rappresenta la risultante delle forze elettriche della depolarizzazione miocardica. Sebbene ogni cellula cardiaca oscilli tra differenze di potenziale di circa 90-100 mV, i segnali ECG rilevati in superficie hanno tipicamente l’ampiezza di 1 mV. Non è rilevabile l’attivazione delle strutture più piccole (p. es., nodo senoatriale, nodo atrioventricolare, fascio di His).

L’ECG standard a 12 derivazioni è cruciale per la caratterizzazione e la diagnosi delle varie tachicardie sostenute. Tuttavia, esso dà informazioni su un periodo di tempo molto limitato, specialmente se registrato mediante apparecchi multicanale simultanei.

Il monitoraggio ambulatoriale dell’ECG è il metodo più idoneo per cogliere gli eventi aritmici e il suo valore è potenziato dal diario dei sintomi associati. I registratori ECG sono di vario tipo, p. es., quelli che effettuano registrazioni su 24 h (Holter 24 ore) o quelli che vengono attivati dal paziente o grazie all’individuazione automatica di un episodio aritmico. I registratori a stato solido possono eliminare i problemi dei sistemi di registrazione a trasporto meccanico. Il monitoraggio ECG ambulatoriale è meno utile quando le aritmie non sono frequenti. Nel sospetto di disturbi del ritmo che mettono a rischio la sopravvivenza, il paziente deve essere ricoverato per il monitoraggio, al fine di evitare un evento fatale in ambiente extraospedaliero.

Studi elettrofisiologici invasivi sono indicati quando le aritmie spontanee sono poco frequenti e quando si sospetta una grave aritmia sostenuta. Usando tecniche di stimolazione programmata, le aritmie da rientro possono essere innescate e bloccate (v. Fig. 205-2).

Tuttavia, le aritmie automatiche e ad automaticità triggerata spesso non rispondono a queste tecniche. La maggior parte delle aritmie di importanza clinica (TV, tachicardia da rientro nel nodo atrioventricolare, tachicardie reciprocanti della sindrome da preeccitazione) rappresenta aritmie da rientro.

La registrazione della media dei segnali dell’ECG di superficie (ECG "signal averaged") può individuare in maniera non invasiva le aree di attivazione ventricolare rallentata che sono parte del substrato per la TV. La presenza di tali zone è segnalata dal rilievo di post-potenziali (dopo il QRS) di basso voltaggio. Solitamente nascosti dal rumore di fondo, questi potenziali vengono messi in evidenza calcolando la media dei segnali e amplificandoli. La presenza di questi potenziali tardivi nei pazienti sopravvissuti a IMA è stata correlata con un aumento del rischio di morte improvvisa e con la tendenza a sviluppare TV (v. Fig. 205-3). Il rilievo di potenziali tardivi non è utile alla scelta di una terapia appropriata, ma identifica i pazienti che richiedono ulteriori indagini diagnostiche; non gioca nessun ruolo nell’iter diagnostico delle tachicardie a QRS stretto (v. oltre).

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Terapia

La rassicurazione è importante. La maggior parte delle aritmie cardiache non causa sintomi, non ha importanza emodinamica e non ha un significato prognostico, ma può causare ansia se il paziente comincia ad avvertirle. Alcuni pazienti con aritmie benigne continuano a sentirsi invalidi nonostante le rassicurazioni. Una terapia comportamentale spesso aiuta quando la rassicurazione è stata inefficace. In rari casi, può essere identificato e modificato un fattore precipitante (p. es., eccesso di caffeina o di alcol).

Terapia farmacologica: la terapia farmacologica è la base del trattamento delle più importanti aritmie. Non esiste un farmaco efficace per tutte le aritmie; tutti hanno importanti limitazioni di sicurezza e possono aggravare o provocare delle aritmie (aritmogenicità, proaritmia). La scelta dei farmaci è difficile e spesso si fa per tentativi.

I farmaci antiaritmici, sulla base dei loro effetti elettrofisiologici cellulari, sono stati classificati da Vaughan Williams (v. Tab. 205-1). Questa classificazione è internazionalmente riconosciuta e fornisce un criterio logico generale di classificazione dei farmaci, sebbene la sua utilità nella pratica clinica quotidiana sia limitata.

I farmaci di classe I sono i bloccanti del canale del sodio, compresi i più vecchi antiaritmici (p. es., la chinidina). Tutti riducono la velocità massima di depolarizzazione del potenziale d’azione e dunque rallentano la conduzione. Sono molto efficaci nel sopprimere i BEV ma, in vario grado, deprimono la funzione ventricolare sinistra e sono stati tutti associati con effetti proaritmici. Sono divisi in sottoclassi in base alla cinetica dei loro effetti sul recettore: classe Ia, farmaci con effetti di durata intermedia; classe Ib, farmaci con effetti di breve durata; classe Ic, farmaci con effetti di lunga durata.

La chinidina (classe Ia) prolunga il potenziale d’azione e la refrattarietà (che si traduce sull’ECG in un prolungamento del QT). Questo farmaco a largo spettro è efficace nella soppressione dei BEV e della TV e nel controllo delle tachicardie a QRS stretto, compresi flutter e fibrillazione atriale. È uno dei pochi farmaci che può convertire la FA in ritmo sinusale. L’emivita di eliminazione (t1/2) è di 6-7 h. Se una dose test iniziale di solfato di chinidina è ben tollerata, la dose di mantenimento è in genere di 200-400 mg PO q 4-6 h. La concentrazione plasmatica da raggiungere è di 2-6 mg/ml. Il dosaggio deve essere aggiustato in modo che la durata del QRS sia < 140 ms (a meno di un preesistente blocco di branca) e il QT sia < 550 ms. Circa il 30% dei pazienti sviluppa effetti collaterali. I più comuni sono disturbi GI (diarrea, coliche, flatulenza), ma possono anche verificarsi febbre, trombocitopenia e alterazioni della funzione epatica. La sincope da chinidina è un effetto idiosincrasico e non prevedibile potenzialmente pericoloso, causato dalla torsione di punta (v. oltre).

La procainamide (classe Ia) ha un effetto molto minore sulla refrattarietà rispetto alla chinidina. Anche il suo principale metabolita, l’N-acetilprocainamide, ha effetti antiaritmici e contribuisce all’efficacia e alla tossicità della procainamide. Può essere somministrata EV con cautela a dosi di 100 mg in 1-2 min ripetute q 5 min, fino a un massimo di 600 mg (raramente fino a 1 g), con monitoraggio continuo della PA e dell’ECG. La procainamide orale ha una breve t1/2 (< 4 h), il che rende necessarie dosi frequenti o l’uso di preparazioni a rilascio controllato. Il dosaggio orale abituale va da 250 a 625 mg (raramente fino a 1 g) ogni 3-4 h. Vanno raggiunte concentrazioni plasmatiche di 4-8 g/ml. Un allargamento del QRS del 25% e un prolungamento del QT a 550 ms suggeriscono tossicità. Quasi tutti i pazienti che praticano terapia a lungo termine con procainamide (> 12 mesi) sviluppano anomalie sierologiche (in particolare, positività per il fattore antinucleo) e fino al 40% hanno sintomi e segni di ipersensibilità (artralgia, febbre, versamento pleurico).

La disopiramide (classe Ia) produce piccole modificazioni del periodo refrattario. Ha una t1/2 di 5-7 h. Le concentrazioni plasmatiche da raggiungere sono 3-6 mg/ml. La dose orale è abitualmente di 100-150 mg q 6 h. La somministrazione per via parenterale comprende una dose iniziale di 1,5 mg/kg in non meno di 5 minuti e una successiva infusione di 0,4 mg/kg/h. La disopiramide ha potenti effetti anticolinergici, che svolgono solo un ruolo minore nel trattamento dell’aritmia ma possono essere responsabili di ritenzione urinaria e di glaucoma; effetti collaterali meno importanti (p. es., bocca secca, difetti dell’accomodazione, stipsi) possono contribuire a una scarsa compliance da parte del paziente. La disopiramide ha effetti inotropi negativi, specie quando usata per via parenterale, e deve essere usata con cautela (o evitata) nei pazienti che hanno una funzione ventricolare sinistra significativamente ridotta.

La lidocaina (classe Ib) ha un importante metabolismo epatico di primo passaggio. Produce una minima depressione miocardica e ha un leggero effetto sul nodo del seno, sugli atri o sul nodo atrioventricolare, ma ha una potente azione sul sistema di His-Purkinje e sul tessuto miocardico ventricolare. Può sopprimere le aritmie ventricolari che complicano l’IMA (BEV, TV) e riduce l’incidenza di fibrillazione ventricolare primaria (FV) quando somministrata preventivamente nelle fasi iniziali dell’IMA. Tuttavia, risultano aumentati gli episodi di asistolia, il che suggerisce un effetto sui nodi senoatriale e atrioventricolare. La t1/2 della lidocaina è di 30-60 min. La concentrazione plasmatica da raggiungere è di 2-5 ng/l. Viene usata solo per via parenterale. La dose abituale è di 100 mg EV in 2 min, seguiti da 50 mg EV dopo 5 min se l’aritmia non si è riconvertita. Successivamente, si incomincia un’infusione di 4 mg/min (2 mg/min nei pazienti > 65 anni). Se tale infusione viene mantenuta per > 12 h, si possono raggiungere livelli tossici. L’associazione di un b-bloccante aumenta il rischio di tossicità e la dose di lidocaina deve essere dimezzata. Gli effetti collaterali sono neurologici (tremori, convulsioni) più che cardiaci. Nel caso di una somministrazione troppo rapida, possono verificarsi vertigini, delirium e parestesie.

La mexiletina (classe Ib) è un analogo della lidocaina con effetti elettrofisiologici simili, ma scarso o assente metabolismo epatico di primo passaggio. La mexiletina può sopprimere aritmie ventricolari sintomatiche, compresa la TV, ma ha un ruolo scarso o nullo nel trattamento delle aritmie a QRS stretto (sopraventricolari). La t1/2 della mexiletina è di 6-12 h e le concentrazioni plasmatiche da raggiungere sono di 1-2 mg/ml. Il dosaggio orale va dai 200 ai 250 mg q 8 h. Una preparazione a lento rilascio può essere somministrata in dosi di 360 mg q 12 h. La scelta delle dosi per la somministrazione EV è resa difficile dall’ampio volume di distribuzione della mexiletina. Una dose iniziale di 2 mg/kg alla velocità di 25 mg/min dovrebbe essere seguita da un’infusione di 250 mg in 1 h, un’infusione di 250 mg nelle 2 h successive e un’infusione di mantenimento di 0,5 mg/min. La mexiletina, similmente alla lidocaina, ha scarsi effetti collaterali a carico del sistema cardiovascolare, ma disturbi GI (nausea, vomito) e del SNC (tremore, convulsioni) possono limitarne l’accettabilità. La preparazione a lento rilascio (dove disponibile) è meglio tollerata.

La tocainide (classe Ib) è un altro farmaco simile alla lidocaina, con scarso o nullo metabolismo epatico di primo passaggio. La t1/2 è di 11-15 h e le concentrazioni plasmatiche da raggiungere sono di 4-10 mg/ml. Il dosaggio orale è di 400 mg q 8 h. Per via parenterale, si possono somministrare fino a 750 mg in 30 min. La somministrazione EV continua è possibile (1200 mg in 24 h), ma si raccomanda di passare rapidamente alla terapia orale. La cinetica e le indicazioni della tocainide sono simili a quelle della mexiletina, ma sono più probabili effetti collaterali gravi (p. es., l’agranulocitosi).

La fenitoina è classificata in modo variabile, ma probabilmente appartiene alla classe Ib. Era largamente utilizzata nel trattamento delle aritmie, specie per la soppressione delle aritmie ventricolari da intossicazione digitalica, fino all’avvento di farmaci più recenti e al declino dell’intossicazione digitalica (che può essere meglio trattata mediante i frammenti Fab purificati da sieri immuni specifici anti-digossina) Ha una lunga t1/2 (22 h). Gli effetti collaterali comprendono iperplasia gengivale e discrasie ematiche.

I farmaci di classe Ic sono tra i più potenti antiaritmici, ma sono stati associati con un elevato rischio proaritmico e con depressione della contrattilità cardiaca. Questi effetti collaterali non sono comuni in pazienti con cuore emodinamicamente normale (p. es., sindrome di Wolff-Parkinson-White [WPW]), ma sono importanti in pazienti con esteso danno cardiaco, che sono a rischio di tachiaritmie ventricolari potenzialmente letali. I farmaci della classe Ic vengono usati in pazienti di questo tipo solo quando l’aritmia non risponde ad altre terapie.

È stato dimostrato che i farmaci di classe Ic sono efficaci per la cardioversione farmacologica della FA e per la profilassi degli episodi di FA. Queste indicazioni costituiscono il contesto clinico in cui tali farmaci sono più frequentemente utilizzati, soprattutto perché in questi pazienti il rischio proaritmico sembra essere relativamente basso.

La flecainide è un potente antiaritmico di classe Ic. Ha un effetto significativo sul canale del sodio, per cui rallenta la conduzione in maniera significativa ma ha una scarsa influenza sulla refrattarietà. Può deprimere la funzione ventricolare sinistra. La flecainide può controllare i BEV sintomatici, la TV e le tachicardie reciprocanti della sindrome di WPW. La t1/2 è di 12-27 h e la concentrazione plasmatica da raggiungere è di 0,2-1 mg/ml. La flecainide va somministrata alla dose di 100 mg PO q 8-12 h. La dose iniziale della formulazione parenterale è di 150 mg EV in 10 min. La flecainide e l’encainide sono state associate con un aumento della mortalità (presumibilmente per effetto proaritmico) quando sono utilizzate nel trattamento dei BEV asintomatici e minimamente sintomatici dopo un IMA. Abitualmente, la flecainide è ben tollerata, ma sono state occasionalmente riportate alterazioni della vista e parestesie. Un prolungamento del QRS > 25% indica tossicità.

Il propafenone (classe Ic) ha effetti simili a quelli della flecainide ed è probabile che presenti un simile effetto proaritmico. L’emivita è di 6-7 h. La concentrazione plasmatica da raggiungere è di 5-8 mg/ml. Nonostante la biodisponibilità ridotta e variabile, il metabolismo di primo passaggio saturabile e il legame variabile con le proteine plasmatiche, il dosaggio è semplice (450-900 mg/die in dosi frazionate). Le dosi iniziali dovrebbero essere basse (150 mg tid) e gli incrementi non dovrebbero essere > 50% della precedente dose. La somministrazione di dosi singole di 450 mg o 600 mg PO si è dimostrata utile per la cardioversione farmacologica della FA. Non è emerso nessun dato negativo circa la sicurezza del propafenone, ma gli studi sono stati condotti su piccoli numeri di pazienti e l’approccio sopra descritto va considerato sperimentale.

I farmaci di classe II (b-bloccanti) possono essere considerati i farmaci meno tossici e più potenti che abbiamo a disposizione; il loro effetto antiaritmico, tuttavia, è spesso sottovalutato. Benché siano relativamente poche le aritmie causate primariamente da un’iperattività simpatica, la maggior parte delle aritmie è modulata dal sistema neurovegetativo. I b-bloccanti hanno un’efficacia limitata nei test antiaritmici convenzionali (p. es. soppressione di BEV), ma innalzano la soglia per la FV e possono risultare particolarmente potenti nella prevenzione della FV. I b-bloccanti sono b1-selettivi o non selettivi, possono avere attività simpatico-mimetica intrinseca (ISA) ed essere lipofili o idrofili. Queste differenze sembrano avere una scarsa importanza ai fini dell’effetto antiaritmico, sebbene l’ISA possa ridurre l’efficacia antiaritmica. In generale i b-bloccanti sono ben tollerati, ma possono deprimere la funzione ventricolare sinistra, specie alle dosi relativamente alte che sono necessarie per ottenere un effetto antiaritmico. Sono controindicati nelle malattie respiratorie a componente broncospastica e devono essere impiegati con cautela nelle altre pneumopatie. Possono provocare disturbi GI, insonnia e incubi. All’inizio della terapia è comune avvertire una particolare spossatezza, che però persiste raramente.

I farmaci di classe III interferiscono con il canale del potassio, alterano il plateau del potenziale d’azione e aumentano la refrattarietà. Hanno una scarsa influenza sulla velocità di conduzione ma, teoricamente, riducono la frequenza di scarica dei foci automatici. Possono avere un effetto proaritmico.

L’amiodarone è un potente antiaritmico di classe III. Ha pochi effetti collaterali sul sistema cardiovascolare e provoca una scarsa o nulla depressione ventricolare sinistra, forse per la sua modesta azione vasodilatatrice. Influisce in maniera marginale sull’attività del nodo senoatriale. L’amiodarone, prolungando il periodo refrattario può ridurre la disomogeneità delle diverse aree del miocardio. L’intervallo QT all’ECG è prolungato, ma non è stato stabilito un limite massimo oltre il quale la somministrazione di questo farmaco possa risultare pericolosa. La t1/2 è > 50 giorni, con un significativo ritardo nell’inizio della azione. Sono state raccomandate dosi di carico di 600-1200 mg/die PO per 7-10 giorni, ma con scarsa evidenza di un più rapido inizio dell’azione. Le dosi orali di mantenimento dovrebbero essere le minime necessarie per controllare le aritmie: l’ideale è  200 mg/ die. Per le aritmie potenzialmente letali, l’amiodarone va somministrato EV alla dose di 3-7,5 mg/kg nell’arco di 1 h. Il dosaggio dell’amiodarone per via parenterale non è stato studiato in maniera approfondita. È necessaria cautela. L’ECG va monitorato in maniera continua, poiché c’è il rischio di indurre un blocco atrioventricolare.

La tossicità cardiovascolare è rara. L’amiodarone è troppo tossico per un’utilizzazione a lungo termine, tranne che nel caso di aritmie gravi (p. es., aritmie a QRS stretto che non rispondono a trattamenti alternativi e che causano una significativa morbilità). La fibrosi polmonare ha un’incidenza pari al 5% dei pazienti trattati per > 5 anni e può essere fatale. Test seriati di funzionalità polmonare possono individuare precocemente la fibrosi polmonare, consentendo l’interruzione dell’amiodarone. Altre complicanze comprendono la dermatite fotosensibilizzante, anomalie della funzione epatica, neuropatia periferica, microdepositi corneali (si verificano in quasi tutti i pazienti trattati, non compromettono seriamente la vista e sono reversibili con la sospensione della terapia), ipotiroidismo (in genere non grave; può essere somministrata terapia sostitutiva con ormone tiroideo mentre si prosegue l’amiodarone) e ipertiroidismo (più difficile da trattare; di solito rende necessaria la sospensione dell’amiodarone). Raramente l’amiodarone provoca una torsione di punta, che può mettere a rischio la sopravvivenza. A meno che non ci sia alternativa, l’amiodarone non deve essere somministrato nei bambini.

Il sotalolo racemico (d-L) ha proprietà antiaritmiche di classe II e III, ma, sebbene gli effetti di classe III misurabili (prolungamento del QT, modificazioni del periodo refrattario) siano rilevabili nell’uso clinico, sono ampiamente mascherati dalle sue proprietà b-bloccanti. La maggior parte dell’attività di classe III è dovuta all’isomero d. Il sotalolo è somministrato alla dose di 80-160 mg PO q 12 h. Deprime la funzione ventricolare sinistra ed è stato associato a effetti proaritmici. Alla sua utilizzazione, vanno applicate le abituali controindicazioni dei b-bloccanti. In studi condotti con il d-sotalolo, la mortalità è risultata aumentata. Solo il sotalolo racemico è disponibile per l’uso clinico.

L’ibutilide è un farmaco di classe III (prolunga la ripolarizzazione) approvato recentemente, molto diverso dall’amiodarone e dal sotalolo. Esso raggiunge i suoi effetti attivando una corrente lenta di Na in entrata piuttosto che bloccando la corrente di K in uscita. L’ibutilide può sbloccare la FA (con una percentuale di successo del 40%) e il flutter atriale (con un percentuale di successo del 65%). L’ibutilide va somministrata EV alla dose di 1 mg nell’arco di 10 min in pazienti che pesano  60 kg e alla dose di 0,01 mg/kg in pazienti che pesano  60 kg. Una seconda dose identica alla prima può essere somministrata dopo 10 min, se la prima non risulta efficace. Una torsione di punta si ha nel 2% dei pazienti. L’ibutilide va quindi utilizzata in pazienti monitorati e da personale esperto nel trattamento della torsione di punta (v. più avanti).

Anche il bretilio ha effetti simpatico-antagonisti (di classe II) e di classe III. Esso può causare un’ipotensione significativa ed è indicato solo per il trattamento di tachiaritmie ventricolari refrattarie potenzialmente letali (TV intrattabile, FV ricorrente). Il bretilio è abitualmente efficace entro 30 min dall’iniezione. Le concentrazioni plasmatiche da raggiungere sono di 1-1,5 mg/ml. La dose EV iniziale è di 5 mg/kg, seguita da 1-2 mg/ min in infusione continua; i suoi effetti sul miocardio ventricolare possono essere ritardati di 10-20 min. La dose IM iniziale è di 5-10 mg/kg, ripetibile fino a una dose massima totale di 30 mg/kg; la dose di mantenimento è di 5 mg/kg IM q 6-8 h.

I farmaci di classe IV sono i calcioantagonisti (bloccano l’ingresso del Ca). La nifedipina, similmente alle altre diidropiridine, è quasi completamente priva di effetti elettrofisiologici, ma il verapamil e il diltiazem agiscono sul nodo atrioventricolare e possono avere anche un effetto sulle cellule ischemiche Ca-dipendenti.

Il verapamil agisce principalmente sul nodo atrioventricolare, rallentandone la conduzione. Usato EV, ha un ruolo nel trattamento acuto delle tachicardie a QRS stretto che coinvolgono il nodo atrioventricolare. È stato riportato che la frequenza con cui si ottiene l’interruzione dell’aritmia si avvicina al 100% con dosi di 5-15 mg EV in 10 min. Tuttavia, se il verapamil viene somministrato a pazienti con TV, possono verificarsi gravi effetti indesiderati, compresa la FV, l’ipotensione intrattabile e la morte. Di conseguenza, il verapamil è controindicato nelle tachicardie a QRS largo. Il verapamil, alla dose di 40-120 mg PO tid, è frequentemente prescritto per la profilassi delle aritmie, ma l’importante metabolismo epatico di primo passaggio può limitarne l’uso clinico.

Il diltiazem ha un profilo elettrofisiologico simile al verapamil. Ha una lunga t1/2 (il che lo rende meno accettabile come terapia EV per le tachicardie a QRS stretto), ma ha uno scarso o nullo metabolismo epatico di primo passaggio e ciò lo rende più adatto alla prevenzione cronica delle aritmie.

Vengono comunemente utilizzati anche farmaci non inclusi nella classificazione di Vaughan Williams. La digitale riduce il periodo refrattario atriale e ventricolare e rallenta la conduzione a livello del nodo atrioventricolare. Le concentrazioni plasmatiche da raggiungere sono di 0,8-1,6 ng/ml. Per ottenere una digitalizzazione rapida, una parte o tutta la dose di carico di 1 mg può essere somministrata EV lentamente e sotto controllo ECG, avendo a disposizione tutto l’occorrente per la rianimazione cardiorespiratoria. La dose di mantenimento è di 0,125-0,25 mg/die PO, a seconda del peso corporeo e della funzione renale. Benché non comune, la tossicità digitalica si manifesta con anoressia, nausea, vomito e spesso con aritmie importanti (BEV, battiti ectopici atriali, occasionalmente tachicardia atriale parossistica con blocco) o blocco atrioventricolare di secondo o terzo grado. Il trattamento di una grave intossicazione digitalica mediante gli anticorpi antidigossina è più sicura e più razionale dell’utilizzo di farmaci antiaritmici; in altre situazioni, la sospensione della terapia per 48 h e la sua ripresa a dosi inferiori dà solitamente risultati soddisfacenti. La digossina è controindicata nei pazienti con conduzione anterograda attraverso vie accessorie (sindrome di WPW manifesta), perché, in caso di FA, può verificarsi una risposta ventricolare facilitata, eccessivamente veloce, nella via accessoria. La digossina può essere utilizzata come profilassi in neonati e bambini < 10 anni con WPW (v. più avanti).

L’adenosina è un nucleoside purinico che agisce attraverso recettori extracellulari per l’adenosina e rallenta o blocca la conduzione a livello del nodo atrioventricolare. Può arrestare le aritmie che coinvolgono il nodo atrioventricolare. L’adenosina può essere più sicura del verapamil per questa indicazione, grazie alla sua durata d’azione estremamente breve. Viene rapidamente metabolizzata dopo la somministrazione. La dose è di 6 mg, seguita da un massimo di 12 mg, in bolo EV rapido. Nel 30-60% dei pazienti, si verificano effetti collaterali di breve durata (dispnea, dolore toracico, flush cutaneo). L’adenosina può causare broncospasmo e non deve essere usata nei pazienti asmatici.

Pacemaker: i progressi tecnici degli ultimi tempi sono stati spettacolari. Si sono diffuse tecniche sofisticate di stimolazione e di programmazione. Circuiti a bassa energia e nuovi tipi di batterie hanno aumentato la durata nel tempo degli apparecchi. La scelta di componenti e di circuiti resistenti alle interferenze hanno quasi eliminato il rischio di interruzione del funzionamento del pacemaker causato dall’accensione delle automobili, dalle antenne radar, dagli apparecchi a microonde e dai dispositivi di sicurezza degli aeroporti. La RMN e la diatermia operatoria possono, tuttavia, interferire con i pacemaker e devono essere evitate. I telefoni cellulari sono una fonte di energia elettromagnetica; i pazienti portatori di pacemaker devono evitare di tenere in funzione tali apparecchi nelle immediate vicinanze del generatore del pacemaker.

Due importanti innovazioni nella tecnologia dei pacemaker sono l’utilizzazione di cavi rivestiti di corticosteroidi e la capacità del pacemaker di cambiare automaticamente la modalità di stimolazione ("switch" automatico). L’uso della prima riduce la soglia di pacing e aumenta la durata nel tempo del pacemaker. La seconda si è dimostrata importante per i pazienti con alterazioni della conduzione del nodo atrioventricolare (naturali o iatrogene) in cui si verificano occasionali disturbi del ritmo sinusale. Un pacemaker DDDR con possibilità di "switch" automatico (per la nomenclatura dei pacemaker e dei dispositivi impiantabili, v. Tab. 205-2) è in grado di riconoscere aritmie atriali quali la FA e di passare automaticamente alla modalità di stimolazione VVIR finché non si ripristina il ritmo sinusale.

I pacemaker antibradicardia sono importanti per le bradiaritmie sintomatiche che possono essere causate da blocco atrioventricolare, depressione del nodo senoatriale, blocco della conduzione senoatriale o blocco sottohissiano. La gravità di tali aritmie dipende dalla frequenza e dall’affidabilità del ritmo di scappamento. Le bradicardie pericolose vengono trattate in modo ottimale con i pacemaker. Un semplice pacemaker VVI può essere adatto per bradiaritmie transitorie o poco frequenti. Per bradiaritmie frequenti o persistenti, la prolungata dipendenza dalla stimolazione ventricolare può rendere necessaria l’utilizzazione di un pacemaker "rate-responsive" (VVIR o DDDR) e, se non ci sono anomalie atriali o del nodo del seno, di un sistema bicamerale (DDD).

I pacemaker antitachicardia bloccano le aritmie automaticamente mediante la stimolazione programmata. Questi dispositivi impiantabili, che possono essere non più grandi di un pacemaker convenzionale, scaricano una serie di sequenze di stimolazione preprogrammate quando si verifica un’aritmia. Gli attuali pacemaker antitachicardia non devono esser usati per le TV (benché queste possano rispondere) perché possono provocare una FV; in questo contesto, vanno utilizzati apparecchi con possibilità di eseguire una defibrillazione, in caso di insuccesso della stimolazione programmata. Le indicazioni comprendono le tachicardie reciprocanti della sindrome di WPW, preferibilmente quando non c’è conduzione anterograda attraverso la via accessoria o quando questa è lenta (in caso contrario, c’è il rischio che precipiti la FA e sia condotta rapidamente ai ventricoli) e la tachicardia da rientro nel nodo atrioventricolare (v. oltre). Altre modalità terapeutiche, specialmente l’ablazione con radiofrequenza (v. più avanti), stanno superando la terapia mediante pacemaker antitachicardia.

I defibrillatori automatici impiantabili (Implantable Cardioverter Defibrillators, ICD) utilizzano shock a energia relativamente bassa (< 35 watt-s) applicati direttamente sul cuore per arrestare la FV. I sistemi disponibili scaricano automaticamente > 200 shock e forniscono una protezione dalle aritmie per più di 5 anni. L’impianto di un defibrillatore in passato rendeva necessaria una toracotomia, ma attualmente > 95% dei sistemi utilizzano elettrodi transvenosi.

Nei moderni ICD, sono disponibili dispositivi di stimolazione antibradicardia e dispositivi di telemetria. Le attuali indicazioni per il ICD comprendono la morte improvvisa rianimata (eccetto che nelle primissime ore di un IMA) e la tachicardia ventricolare intrattabile potenzialmente letale. I defibrillatori non prevengono le aritmie sintomatiche e possono essere associati con terapia antiaritmica soppressiva. Ci sono ancora pochi studi controllati randomizzati circa la terapia con ICD. Due studi comprendono pazienti altamente selezionati ad alto rischio (sopravvissuti a morte cardiaca improvvisa); in entrambi, la mortalità totale era ridotta dalla terapia con ICD rispetto alla migliore terapia medica. Tuttavia, il ICD non è privo di problemi: è una terapia palliativa piuttosto che curativa. I pazienti avvertono gli shock, alcuni dei quali possono essere risposte inappropriate ad altri tipi di aritmia, come la FA. I ICD sono costosi e devono essere utilizzati con senso di responsabilità.

Il pacing antitachicardia costituisce un ulteriore sviluppo del ICD. Molti episodi di TV sono causati da meccanismi di rientro e possono essere sbloccati con diverse sequenze di overdrive. Fino all’avvento del ICD, che offre la possibilità della defibrillazione nel caso in cui l’overdrive provochi una FV, questa terapia non è stata praticata. Per il follow-up e la programmazione di questi dispositivi, è necessario uno specialista.

Ablazione mediante radiofrequenza (RF): l’ablazione mediante RF ha rivoluzionato l’approccio a molte aritmie. Le lesioni da RF si realizzano mediante il riscaldamento (di solito a 60°C [140°F]) di un catetere elettrodo con una punta larga. Generalmente, le lesioni hanno un diametro < 1 cm con una profondità fino a 1 cm. Perché l’ablazione risulti efficace, l’aritmia deve dipendere da un focus preciso o da una via che può essere eliminata mediante le lesioni provocate dalla RF. L’ablazione mediante RF ha aumentato l’interesse per il substrato anatomico di tutti i tipi di tachicardia a QRS stretto e a QRS largo. Percentuali di successo > 90% sono attese per le tachicardie da via accessoria, le tachicardie da rientro nella zona circostante il nodo atrioventricolare, le tachicardie atriali e le tachicardie del tratto di efflusso del ventricolo destro. L’ablazione del nodo atrioventricolare (usata per il controllo della frequenza ventricolare nella FA) è possibile in > 99% dei pazienti. Percentuali di successo dell’85% sono riportate per l’ablazione del flutter atriale, che implica una serie di lesioni da RF eseguite lungo una linea ideale, in modo tale da impedire la conduzione attraverso un sottile istmo di miocardio atriale vicino allo sbocco del seno coronarico. La FA (eccetto che nel caso di ablazione o modificazione del nodo atrioventricolare) e la TV su base ischemica sono attualmente oggetto di studio ma non costituiscono, allo stato attuale, indicazioni per questa tecnica.

L’ablazione mediante RF è sicura. Decessi si sono verificati principalmente per rottura di cuore e tamponamento cardiaco (decessi, 1/2000; tamponamenti, 1/2400).

Chirurgia delle aritmie: la base anatomica della sindrome di WPW e delle sue aritmie è ben conosciuta. Dopo un’accurata localizzazione mediante catetere o mediante mappaggio epicardico, la via accessoria può essere eliminata chirurgicamente (successo > 95%; mortalità operatoria, < 0,1%) utilizzando un approccio epicardico o endocardico. Tuttavia, l’ablazione mediante RF ha reso quasi obsoleta la chirurgia per il WPW.

La TV postinfartuale di solito origina nel subendocardio; una volta localizzato il focus dell’aritmia mediante mappaggio intraoperatorio, lo si può rimuovere con procedure di resezione endocardica. La terapia chirurgica comporta una mortalità del 5-25% a seconda delle condizioni cliniche preoperatorie, ma coloro che sopravvivono hanno una probabilità del 90% di sopravvivere per un anno in assenza di recidive dell’aritmia.

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