16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 204. SHOCKAbbreviazioni utilizzate in questo capitolo
FLUTTER ATRIALE Ritmo atriale rapido e regolare dovuto a un circuito di rientro ampio, ben definito e costante in atrio destro. Sommario: Il flutter atriale è molto meno comune della FA, ma le sue conseguenze emodinamiche e la terapia sono simili. È dovuto a un ampio circuito di rientro (diversi centimetri), che coinvolge la porzione infero-laterale dell’atrio destro. Sintomi, segni e diagnosi I sintomi dipendono principalmente dalla frequenza ventricolare. Se la frequenza è modesta (< 120 battiti/min) e regolare (p. es. conduzione atrioventricolare stabile 2:1), può darsi che ci sia asintomatico. Frequenze cardiache più elevate e una conduzione atrioventricolare variabile producono palpitazioni e la compromissione della gittata cardiaca che ne risulta può provocare vertigini e sincope (quest’ultima è soprattutto probabile se si verificano fasi di conduzione 1:1). Un’accurata ispezione del PVG può rivelare le onde di flutter. Comunque, di solito la diagnosi viene fatta mediante l’ECG, che mostra di solito le onde di flutter; queste (a seconda della frequenza) possono avere l’aspetto di onde P distinte o fondersi per formare il classico pattern "a denti di sega". Abitualmente i complessi QRS sono normali. La frequenza atriale è 250-350 battiti/min (v. Fig. 205-5). La frequenza ventricolare dipende dalla conduzione a livello del nodo atrioventricolare, ma di norma è di 150-220 battiti/min. Il blocco atrioventricolare può essere costante (2:1, 4:1, o raramente 3:1 o 5:1) o può variare. Di solito, il massaggio del seno carotideo aumenta il grado di blocco atrioventricolare e permette di evidenziare meglio le anomalie dell’ECG. Similmente, l’adenosina rivela l’origine atriale dell’aritmia ma non la sblocca. Terapia La terapia medica ha maggiori probabilità di ridurre la risposta ventricolare piuttosto che di ripristinare il ritmo sinusale. La digossina, il verapamil e i b-bloccanti sono utili per il loro effetto di blocco sul nodo atrioventricolare.La digitale rappresenta l’approccio classico, ma ha un inizio d’azione lento, anche se somministrata EV. Di solito, la digossina riduce la risposta ventricolare, ma solo occasionalmente ripristina il ritmo sinusale. I bloccanti del canale del sodio (chinidina, procainamide e flecainide) hanno maggiori probabilità di convertire il flutter atriale, ma il loro uso non elimina la necessità di controllare la conduzione a livello del nodo atrioventricolare finché l’aritmia persiste. Tutti i farmaci di classe I, se usati da soli (soprattutto la disopiramide, probabilmente per i suoi effetti anticolinergici), possono aggravare la situazione, rallentando la frequenza del flutter e annullando il blocco atrioventricolare, così da permettere una conduzione atrioventricolare 1:1. Se si utilizzano i farmaci di classe I, si raccomanda un pre-trattamento con digossina. Il verapamil agisce più rapidamente della digossina, ma comporta il rischio di ipotensione; è raramente utilizzato come monoterapia per il controllo della frequenza, poiché la sua cinetica variabile (perfino nello stesso paziente) crea problemi di affidabilità. I b-bloccanti sono un’utile terapia aggiuntiva (di solito in associazione con la digossina) per il controllo della frequenza. L’ibutilide EV (v. sopra) può sbloccare il flutter atriale fino al 60% dei casi, ma con il rischio di una torsione di punta.Se si ha una conduzione 1:1 con un’elevata frequenza di risposta ventricolare, potenzialmente letale (> 220 battiti/min, ma la frequenza critica dipende dalla funzione cardiaca), è indicata l’immediata cardioversione elettrica. In situazioni meno critiche, la cardioversione elettrica elettiva a bassa energia (circa 50 watt-secondo) o la stimolazione programmata hanno maggiori probabilità di ripristinare il ritmo sinusale rispetto alla terapia medica. L’ablazione mediante RF sta emergendo come un approccio importante per il flutter atriale resistente alla terapia medica. Lesioni da RF eseguite lungo una linea interrompono la conduzione nella regione vicina allo sbocco del seno coronarico. La frequenza di successo di questo approccio è di circa l’85%. Alcuni pazienti sviluppano FA dopo la procedura.
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