16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE

206. ARRESTO CARDIO-RESPIRATORIO E RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE

RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE

(Per la rianimazione pediatrica, v. Cap. 263.)

Sommario:

Introduzione
CPR PRIMARIA
    TECNICHE PER ASSICURARE LA PERVIETÀ DELLE VIE AEREE
    RIPRISTINO DELL’ATTIVITÀ RESPIRATORIA
    RIPRISTINO DELLA CIRCOLAZIONE
      Complicanze
    DEFIBRILLAZIONE
    CIRCOSTANZE PARTICOLARI
CPR SECONDARIA
    TERAPIA FARMACOLOGICA
    DISPOSITIVI MECCANICI PER LA RIANIMAZIONE
    TERAPIA POST-RIANIMAZIONE


In una persona priva di coscienza o collassata, va immediatamente determinato lo stato della ventilazione e della circolazione. La velocità, l’efficienza e una corretta applicazione della rianimazione cardiorespiratoria sono direttamente correlate a un buon recupero delle funzioni del SNC. Un approccio sistematico e rapido deve fare in modo che trascorrano solo pochi secondi tra il riconoscimento dell’arresto cardiaco e l’intervento. L’anossia tissutale che perduri per > 4-6 min può comportare un danno cerebrale irreversibile o il decesso; la prognosi, tuttavia, è molto variabile e dipende dall’età, dalla causa dell’arresto e dalle circostanze cliniche. Il successo della rianimazione cardiorespiratoria (CardioPulmonary Resuscitation, CPR) dipende da un precoce supporto di base delle funzioni vitali (Basic Life Support, BLS), dal rapido riconoscimento e trattamento della FV, se presente, e dal controllo delle vie aeree e del ritmo con metodi di rianimazione avanzata, se necessario.

La CPR deve essere proseguita finché la funzione cardiorespiratoria non è stabilizzata, o il paziente è dichiarato morto, oppure non si è in grado di proseguire (esaurimento dell’operatore). Dopo ipotermia profonda o prolungata immersione in acqua fredda, la CPR va continuata sino al ristabilimento della normale temperatura corporea interna, visto che pazienti sottoposti a manovre rianimatorie per periodi prolungati (fino a tre ore) hanno successivamente recuperato.

Le linee guida stabilite dell’American Heart Association distinguono la CPR in primaria e secondaria.

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CPR PRIMARIA

Dopo aver stabilito che la vittima non risponde (toccandola, scuotendola o chiamandola ad alta voce), il soccorritore chiede aiuto, annota l’esatto momento dell’arresto (se conosciuto) e sistema la vittima in posizione orizzontale su una superficie rigida. A questo punto, va rapidamente eseguito l’algoritmo del BLS ricordando la sequenza ABC (v. Tab. 206-1). Il passo successivo è la defibrillazione (D), utilizzata per arrestare la FV o la TV senza polso, se è immediatamente disponibile l’equipaggiamento appropriato (defibrillatore convenzionale o automatico).

Quando l’esatta durata dell’arresto cardiaco non è certa, alla vittima, a meno che non sia nella fase terminale di una patologia incurabile, va comunque garantito il beneficio del dubbio. Una volta che si incomincia il BLS, il medico deve decidere quando fermarsi. Si interrompe la rianimazione per decretare la morte della vittima quando lo stato di coma profondo o l’assenza di respiro spontaneo, di attività circolatoria e di riflessi bulbari indicano che la rianimazione è impossibile. Ciò significa che il paziente è risultato refrattario al BLS standard e alle misure di supporto cardiorespiratoro avanzato (Advanced Cardiac Life Support, ACLS). Sebbene la presenza di attività neurologica durante la rianimazione sia in favore di un recupero delle funzioni cerebrali, la sua assenza non rappresenta un indicatore affidabile di un’incapacità di recupero dell’attività cerebrale.

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TECNICHE PER ASSICURARE LA PERVIETÀ DELLE VIE AEREE

Rendere pervie le vie aeree (A) è la prima cosa da fare nel BLS in caso di insufficienza respiratoria (respiro difficoltoso e rumoroso) e di arresto cardiaco o respiratorio. A volte si tratta dell’unico intervento necessario per ristabilire una respirazione (B-"Breathing") e un’attività circolatoria (C) spontanee; in questi casi non risulta necessario il massaggio cardiaco.

L’ostruzione delle vie aeree provocata dal ridotto tono muscolare della lingua e dei muscoli del collo in una persona in stato di incoscienza è accentuata dalla flessione del collo. L’iperestensione del capo stira le strutture anteriori del collo, provocando il sollevamento della lingua dalla parete faringea posteriore. Siccome tale manovra da sola spesso non è sufficiente per garantire la pervietà delle vie aeree, sono necessarie misure aggiuntive.

Iperestensione della testa e sollevamento del mento: si spinge indietro la testa, si mette un dito della mano libera sotto la rima mandibolare e si solleva il mento in avanti (verticalmente verso l’alto) finché la rima dentale sia quasi chiusa, facendo però attenzione a non chiudere completamente la bocca (v. Fig. 206-1A); se quest’approccio non ha successo, si deve usare la manovra di iperestensione della testa e innalzamento del collo. Questa si esegue ponendo una mano sulla fronte della vittima e sollevando in alto il collo mentre si reclina indietro il capo. Entrambe queste tecniche possono assicurare la pervietà delle vie aeree in tempi rapidi.

Va aggiunta la sublussazione della mandibola se nessuna delle due manovre descritte in precedenza ha successo o se il paziente respira spontaneamente ma in maniera rumorosa a causa di un’ostruzione parziale delle vie aeree. Questa triplice manovra (iperestensione della testa, innalzamento del collo, sublussazione della mandibola) produce un ulteriore spostamento in avanti della lingua e delle strutture del collo. Il soccorritore si pone in ginocchio alla testa del paziente, mettendo le sue mani ai lati del volto del paziente e usando le dita per spingere in avanti la mandibola. Di solito, il soccorritore riesce a eseguire meglio questa manovra appoggiando i gomiti a terra, sullo stesso piano su cui giace la vittima. La sublussazione della mandibola senza iper-estensione del capo è il metodo migliore per assicurare la pervietà delle vie aeree nei pazienti che hanno un sospetto trauma della colonna cervicale (p. es., vittime di un trauma) e una compromissione respiratoria. Questa tecnica consente di mantenere la colonna cervicale in una posizione neutrale, assicurando nel contempo la pervietà delle vie aeree.

Può essere associata con il solo sollevamento del mento se necessario.

A meno che i primi tentativi di assicurare la pervietà delle vie aeree non abbiano successo, le protesi dentarie vanno lasciate in sede, perché la loro rimozione può rendere più difficile la perfetta adesione della bocca del soccorritore a quella della vittima durante la respirazione artificiale.

Una volta assicurata la pervietà delle vie aeree, si verificherà il ripristino della ventilazione spontanea osservando i movimenti del torace della vittima mentre si ausculta il fruscio provocato dal passaggio dell’aria e si fa attenzione a percepire l’aria espirata sulla propria guancia. In caso di mancato ripristino della funzione respiratoria spontanea in presenza di pervietà delle vie aeree, occorre iniziare immediatamente la respirazione artificiale.

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RIPRISTINO DELL’ATTIVITÀ RESPIRATORIA

(V. anche Dispositivi meccanici per la rianimazione, più avanti)

Respirazione artificiale: la respirazione artificiale mediante la tecnica bocca a bocca si esegue ponendo il palmo di una mano contro la fronte del paziente allo scopo di mantenere il capo iperesteso e usando il pollice e l’indice della stessa mano per chiudere le narici al fine di prevenire la fuoriuscita dell’aria (Fig. 206-1B). Il soccorritore deve aprire bene la bocca, inspirare profondamente, porre la propria bocca su quella del paziente assicurandosi che ci sia una perfetta adesione, e insufflare due respiri profondi (di 1-1,5 secondi ciascuno), evitando di insufflare aria nello stomaco. L’efficacia di queste manovre ventilatorie va verificata osservando che la gabbia toracica della vittima si sollevi e si abbassi e avvertendo (mediante l’udito e la percezione del fruscio dell’aria sulla propria guancia) l’espirazione passiva del paziente. Fra un’insufflazione e l’altra, bisogna lasciare alla vittima il tempo di espirare (1-2 s per ogni ventilazione).

La respirazione bocca-naso è indicata quando non è possibile assicurare una perfetta aderenza fra la propria bocca e quella della vittima o quando non si riesce ad aprire la bocca della vittima a causa di uno spasmo muscolare, di una deformità o di una grave infiammazione. Lo spostamento del capo all’indietro in questo caso è simile a quello eseguito nella respirazione bocca a bocca, ma la mano libera del soccorritore va utilizzata per spingere in avanti la mandibola, in modo da chiudere la bocca. Si poggia quindi la bocca accuratamente intorno al naso della vittima e si somministrano profonde insufflazioni. Si rilascerà infine la spinta sulla mandibola per permettere l’apertura della bocca durante l’espirazione passiva.

La respirazione combinata bocca e naso si utilizza nei lattanti e nei bambini piccoli allorquando risulti difficile mantenere un contatto efficiente della propria bocca intorno a quella della vittima. In tal caso il soccorritore pone la propria bocca sulla bocca e sul naso della vittima, insufflando aria nei polmoni in misura variabile a seconda delle dimensioni del bambino (v. Fig. 206-2C). In genere, nei bambini ³8 anni di corporatura normale si utilizzano le tecniche di CPR dell’adulto.

La pressione sulla cricoide, se è disponibile personale esperto, va applicata in maniera continuativa finché non si ottiene il controllo delle vie aeree mediante intubazione orotracheale. Questa tecnica fa sì che i rigidi anelli cartilaginei della trachea occludano l’esofago. Per questo, si riduce notevolmente l’insufflazione gastrica durante la ventilazione artificiale minimizzando il rischio di aspirazione in caso di rigurgito di contenuto gastrico.

Le tecniche usate nella CPR a uno e a due soccorritori sono mostrate nella Tab. 206-2.

Mentre l’aria inalata contiene circa il 21% di O2 e tracce di CO2, l’aria espirata contiene il 16-18% di O2 e il 4-5% di CO2, una percentuale sufficiente a mantenere i livelli ematici di O2 e di CO2 intorno ai valori normali, se le insufflazioni vengono effettuate con la frequenza e i volumi raccomandati. Se il soccorritore va incontro ad alcalosi da iperventilazione (che si manifesta con capogiri, obnubilamento del sensorio, acufeni e parestesie), la frequenza respiratoria e l’ampiezza di ciascuna ventilazione vanno ridotte. Inoltre, l’introduzione di volumi di aria maggiori rispetto al necessario è associata a un’eccessiva distensione gastrica con il rischio di inalazione del contenuto gastrico rigurgitato.

Manovra di Heimlich: negli adulti, se il soccorritore non sente espandersi i polmoni o non vede il torace sollevarsi dopo aver assicurato la pervietà delle vie aeree e aver eseguito la respirazione artificiale, si deve assumere che le vie aeree sono ancora ostruite. Il soccorritore deve riposizionare il capo provando un metodo alternativo di iperestensione della testa, assicurarsi che ci sia un fermo contatto della propria bocca con quella della vittima e ripetere la respirazione artificiale. Se l’ostruzione delle vie aeree persiste, si porta la vittima in posizione supina e si ricorre alla manovra di Heimlich (spinte manuali sull’addome superiore o, in caso di gravidanza od obesità estrema, colpi sul torace).

La manovra di Heimlich va effettuata mettendosi seduti a cavalcioni al disopra delle ginocchia della vittima e ponendo il palmo della propria mano sull’addome superiore sotto il processo xifoideo (per evitare di danneggiare le strutture toraciche e il fegato, la mano non va mai appoggiata sul processo xifoideo né sulla gabbia toracica); l’altra mano va appoggiata sulla prima e quindi si dà una ferma spinta verso l’alto. (Nota: una spinta verso il basso può danneggiare l’aorta.) Per la tecnica della compressione toracica, la vittima va messa in posizione supina; la mano va posizionata in corrispondenza dello sterno similmente a quanto si fa nel massaggio cardiaco (v. oltre, Ripristino della circolazione). Con entrambe le tecniche, possono essere necessarie da 6 a 10 compressioni per sbloccare un corpo estraneo.

In caso di ostruzione delle vie aeree nei bambini, va eseguita la manovra di Heimlich; in bambini piccoli, va eseguita più delicatamente inginocchiandosi di lato anziché assumere la posizione a cavalcioni.

I lattanti < 1 anno di età vanno tenuti a testa in basso mentre il soccorritore somministra quattro colpi sul dorso (v. Fig. 206-2A). Si possono somministrare fino a quattro colpi sul torace, mettendo il bambino con il dorso sulle ginocchia del soccorritore e con la testa in basso. Il soccorritore può anche sorreggere il bambino con una mano dietro il collo e l’altra dietro la schiena.

Rimozione di corpi estranei, ricercandoli con le dita alla cieca: Nell’adulto, un corpo estraneo può anche essere rimosso facendo scivolare il dito indice lungo la guancia attraverso la bocca e il faringe della vittima dopo avere spostato in avanti la lingua e la mandibola. Bisogna fare attenzione a non spingere ulteriormente il corpo estraneo all’interno delle vie aeree. Un ulteriore scivolamento del dito associato a compressione manuale dell’addome può essere necessario per spostare completamente il corpo estraneo o per liberare la via aerea bloccata.

La rimozione alla cieca con le dita non è raccomandata nei bambini e nei neonati. Tuttavia, se il corpo estraneo è visualizzabile, va rimosso con cautela. L’ipossiemia progressiva può causare il rilasciamento dei muscoli della gola; la manovra di rimozione dei corpi estranei con le dita può frequentemente dislocare un corpo estraneo situato a livello sopralaringeo, anche dopo che un iniziale tentativo non ha avuto successo.

Una volta liberate le vie aeree: bisogna cominciare rapidamente la CPR. Se l’ostruzione persiste, occorre procedere alla cricotirotomia; può anche essere necessario procedere alla tracheostomia, in presenza di gravi lesioni orofacciali o di flogosi massiva di collo e faringe (v. Ripristino e mantenimento della pervietà delle vie respiratorie nel Cap. 65).

Gli errori più comuni nella pratica della respirazione artificiale sono: il ritardo nella diagnosi di arresto respiratorio o cardiaco; l’insuccesso del tentativo di rendere pervie le vie aeree, il ritardo con cui si inizia il BLS; l’inadeguata ventilazione (p. es., insufficiente apposizione della bocca intorno a quella della vittima, insuccesso nella somministrazione delle prime due ventilazioni o inadeguata pressione dell’aria espirata).

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RIPRISTINO DELLA CIRCOLAZIONE

Il soccorritore, mentre cerca di ristabilire la pervietà delle vie aeree sospingendo indietro il capo della vittima, deve utilizzare la mano libera per palpare con delicatezza il polso carotideo per 5-10 s (il polso può essere irregolare, debole o rapido). Se non rileva alcuna pulsazione, il soccorritore deve immediatamente iniziare il massaggio cardiaco esterno (a torace chiuso), insieme con la respirazione artificiale. Perché il massaggio sia efficace, la vittima deve essere distesa orizzontalmente su una superficie dura (p. es. sul pavimento, sul tavolo operatorio, sulla rete del letto). Il soccorritore pone il dito medio di una mano sulla giunzione xifosternale e l’indice della stessa mano sull’estremità inferiore dello sterno, quindi pone la zona carpale dell’altra mano sullo sterno subito al di sopra dell’indice della prima mano. Il palmo della mano utilizzata per individuare la giunzione xifosternale va posto sull’altra mano già appoggiata sulla sterno (non sul processo xifoideo) per iniziare le compressioni. Il soccorritore deve mettersi perpendicolarmente al di sopra della vittima e, tenendo le braccia distese, deve esercitare una spinta dall’alto verso il basso sullo sterno (per evitare fratture costali) inducendo una depressione dello sterno di 4-5 cm nell’adulto. Le dita possono essere tenute estese o intrecciate, ma non devono stare a contatto con la parete toracica. La compressione e il rilasciamento devono avere la medesima durata. Le mani del soccorritore vanno mantenute sullo sterno durante la fase di rilasciamento. Tali manovre vanno ripetute in modo dolce; scossoni, spinte o compressioni irregolari aumentano la probabilità di causare lesioni.

Nei bambini di età compresa fra 1 e 8 anni, la compressione cardiaca va effettuata con una sola mano posta sulla regione inferiore dello sterno (non così in basso come nell’adulto); bisogna ottenere una depressione toracica di 2,5-3,8 cm alla frequenza di 80-100/min.

In età infantile il cuore ha una posizione più alta nel torace e la parete toracica è più flessibile. La compressione in tal caso va eseguita con la punta dell’indice e del medio sulla regione centrale dello sterno causando una depressione di 1,3-2,5 cm alla frequenza di 100/min.

L’efficacia della CPR va verificata a intervalli di tempo costanti. Il polso carotideo va palpato 1 min dopo aver messo in pratica i presidi di emergenza, dopo l’arrivo del secondo soccorritore e quindi q 4-5 min onde verificare l’eventuale ripristino della circolazione spontanea. In linea teorica, il massaggio cardiaco esterno produce un polso palpabile a ogni compressione; nonostante la gittata cardiaca sia solo il 30-40% del normale, la PA sistolica deve essere > 80 mm Hg. La ricomparsa della reattività pupillare indica la presenza di un’adeguata circolazione e ossigenazione del cervello. Pupille dilatate, che tuttavia rispondono alla luce, possono indicare che non si è verificato un danno cerebrale, ma che l’ossigenazione cerebrale è inadeguata. Tuttavia, la persistenza della dilatazione pupillare non indica danno o morte cerebrale, in quanto l’uso di farmaci cardioattivi ad alte dosi o di altri farmaci, come pure la cataratta in un anziano, possono modificare le dimensioni e la reattività pupillare.

Il massaggio cardiaco interno può risultare efficace dopo trauma toracico penetrante, tamponamento cardiaco, arresto cardiaco in sala operatoria, quando il torace del paziente è già aperto e in caso di trauma da schiacciamento toracico. Tuttavia, questa procedura richiede un’adeguata specializzazione ed esperienza per la corretta esecuzione della toracotomia, e va riservata solo a circostanze estreme.

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Complicanze

La lacerazione epatica è la complicanza più seria (anche fatale) ed è di solito provocata da una compressione esercitata troppo in basso sullo sterno. Non comprimere sul processo xifoideo! È stata anche descritta la rottura della milza dopo CPR e si può anche avere la rottura dello stomaco (soprattutto in caso di distensione gastrica) dopo compressione addominale. Una complicanza grave è il rigurgito con successiva aspirazione del contenuto gastrico, che può causare una polmonite ab ingestis anche fatale.

Si può evitare un’eccessiva distensione gastrica durante la ventilazione artificiale insufflando aria in misura appropriata, verificando la pervietà completa delle vie aeree prima di praticare la respirazione artificiale e intubando la vittima il prima possibile. Se si sviluppa una marcata distensione gastrica, occorre riverificare la pervietà delle vie aeree ed evitare una ventilazione forzata. Vanno eseguiti tentativi per risolvere l’iperdistensione gastrica soltanto se si ha a disposizione l’occorrente per il sondaggio nasogastrico, perché può verificarsi un rigurgito con inalazione di contenuto gastrico. Se l’eccessiva distensione gastrica interferisce con le manovre di ventilazione e non può essere corretta nel modo descritto, occorre porre la vittima sul fianco, comprimere l’epigastrio e mantenere pulita e pervia la via aerea.

La dislocazione dell’articolazione costocondrale e le fratture costali sono talvolta inevitabili se si comprime con una forza tale da produrre un polso palpabile. Dopo massaggio cardiaco esterno, è stata raramente riportata embolia polmonare a partenza dal midollo osseo, ma manca una chiara evidenza che questa contribuisca alla mortalità. La compressione toracica causa raramente importanti danni al miocardio, a meno che non preesista un aneurisma ventricolare. Rari sono anche i traumi polmonari, sebbene possa verificarsi un pneumotorace secondario a frattura costale. Il timore di tali complicanze non deve comunque modificare o impedire una corretta esecuzione della CPR.

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DEFIBRILLAZIONE

Un forte pugno precordiale può convertire la FV o la TV in un ritmo cardiaco efficace o, al contrario, può convertire un ritmo cardiaco organizzato in FV, TV o asistolia. Si raccomanda l’uso del pugno precordiale solo quando non si ha a disposizione un defibrillatore.

L’iniziale richiesta di aiuto dovrebbe avere come risultato il rapido arrivo di soccorritori forniti di defibrillatore. Il successo della defibrillazione è funzione del tempo, con una riduzione della percentuale di successi del 2-10% per ogni minuto che trascorre dal momento dell’arresto cardiaco. Una rapida cardioversione mediante shock elettrico sembra essere più efficace nella rianimazione rispetto ad altre terapie (p. es., farmaci antiaritmici). Defibrillatori automatici esterni assicurano un rapido trattamento della TV o della FV senza l’intervento di un medico.

Le piastre del defibrillatore (ricoperte con pasta conduttrice o piastre morbide monouso impregnate di soluzione salina) vanno posizionate sul secondo spazio intercostale lungo il margine sternale destro e sul quinto o sesto spazio intercostale alla punta del cuore. Se un primo shock a 200 J non è risolutivo, va somministrato un secondo shock a 200-300 J. Si utilizza un terzo shock a 360 J se la FV persiste. I tre shock vanno somministrati consecutivamente, senza interrompere la CPR o la terapia farmacologica. Le piastre del defibrillatore devono essere ricaricate immediatamente dopo ciascuno shock, senza spostarle dalla parete toracica se si utilizzano piastre convenzionali. Se si rileva FV al monitor dopo lo shock iniziale, bisogna immediatamente somministrare il secondo shock. Se si rileva un ritmo diverso dalla FV, le piastre vanno allontanate dalla parete toracica, il defibrillatore va scaricato e bisogna cercare un polso valido. Se la defibrillazione non ha successo, si riprende il BLS e si pratica una terapia farmacologica basata sulla CPR secondaria (v. più avanti).

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CIRCOSTANZE PARTICOLARI

In caso di shock elettrico, occorre accertarsi che la vittima non sia più in contatto con la fonte di energia per evitare che il soccorritore stesso riceva una scarica. L’uso di strumenti non metallici e il contatto a terra del soccorritore permettono di sistemare la vittima in maniera sicura per poi iniziare le manovre rianimatorie.

Nell’annegamento, si può iniziare la respirazione artificiale in acqua, se poco profonda, ma la compressione del torace non può essere fatta in maniera efficace quando la vittima non è in posizione orizzontale. Può essere utile in tali casi porre la vittima su una tavola da surf o comunque su una tavola galleggiante.

Nel trauma, la CPR può presentare diversi problemi. Una lesione della colonna cervicale richiede la modificazione delle tecniche descritte in precedenza per rendere pervie le vie aeree. Lesioni del viso associate a sanguinamento orofaringeo possono richiedere la pulizia delle vie aeree prima di iniziare la respirazione. Danni gravi al viso possono rendere impossibile la respirazione bocca a bocca senza dispositivi aggiuntivi e procedure avanzate (p. es. l’intubazione endotracheale). Anche i traumi del torace, incluse le lesioni penetranti cardiache o polmonari, rappresentano un ostacolo alla respirazione artificiale. In tali circostanze, è necessario l’intervento sul posto di personale specializzato e l’immediato trasporto in ospedale.

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CPR SECONDARIA

La CPR secondaria comprende le misure di supporto cardiorespiratoro avanzato (Advanced Cardiac Life Support, ACLS) con il BLS. L’ACLS comprende la terapia farmacologica, il monitoraggio cardiaco (diagnosi ECG), l’equipaggiamento aggiuntivo e le tecniche speciali per stabilizzare e mantenere un’ossigenazione e una circolazione efficaci.

La CPR secondaria prevede una sequenza simile a quella della CPR primaria (ABCD, v. Tab. 206-1). Il ricorso alla CPR secondaria implica che il paziente non ha risposto agli iniziali tentativi di rianimazione. Il soccorritore deve perciò prendere in considerazione la diagnosi differenziale dell’arresto cardiaco e valutare la necessità di una terapia di base per le aritmie e il ricorso a interventi specifici. Cause quali gli squilibri elettrolitici (ipokaliemia o iperkaliemia), i disturbi dell’equilibrio acido-base (acidosi metabolica), l’ipovolemia, l’embolia polmonare massiva o il pneumotorace comporteranno diversi approcci terapeutici nella CPR secondaria.

L’individuazione del tipo di aritmia e le condizioni cliniche del paziente determinano la terapia da mettere in atto. La FV, la bradicardia e la dissociazione elettromeccanica (DEM) richiedono il pronto riconoscimento e un rapido intervento. Pertanto, è necessario instaurare un monitoraggio ECG il più rapidamente possibile in tutte le persone in stato di incoscienza o prive di sensi.

Va resa disponibile una via venosa; due vie minimizzano la probabilità di perdita dell’accesso venoso in un momento critico. Attraverso tale accesso si possono somministrare rilevanti quantità di liquidi tramite aghi larghi e corti. Le vene antecubitali del braccio rappresentano il sito preferito per l’accesso iniziale. Lunghe vie venose femorali consentono di non interrompere la rianimazione e presentano un minor rischio di complicanze fatali. Personale specializzato può predisporre una via centrale attraverso la succlavia o la giugulare interna qualora il trattamento iniziale non risulti efficace nel ripristinare la circolazione (v. Tecniche Invasive nel Cap. 198). L’attuazione dell’ACLS non deve interrompere il BLS (ventilazioni e compressioni cardiache) per > 15-30 s. Nei pazienti privi di accesso venoso, lidocaina, adrenalina e atropina possono essere somministrate per via endotracheale, a dosi 2-2,5 volte maggiori della dose EV. Il tipo e la quantità di liquidi o di farmaci somministrati dipendono dalle circostanze cliniche; nell’arresto cardiaco che complica un’ischemia miocardica, vengono somministrati liquidi EV (p. es. soluzione fisiologica) solo per mantenere pervia la via di accesso EV, mentre nel collasso circolatorio da perdita di liquid, possono essere necessarie grandi quantità di liquidi (cristalloidi, soluzioni colloidali, sangue) per espandere il volume plasmatico.

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TERAPIA FARMACOLOGICA

L’adrenalina (1 mg somministrato in 10 ml di soluzione 0,1 mg/ml q 3-5 min) è il farmaco di prima scelta per la fibrillazione ventricolare, quando una defibrillazione sia stata inefficace. Il ritmo va ricontrollato dopo circa 30-60 s dalla somministrazione. Se la FV o la tachicardia ventricolare (TV) persistono, possono essere praticate fino a tre cardioversioni elettriche consecutive prima dell’ulteriore somministrazione di farmaci. Questa sequenza può essere ripetuta per la FV o la TV persistenti. Non è stato dimostrato che l’ulteriore somministrazione di farmaci dia alcun vantaggio mentre si continuano le defibrillazioni elettriche intervallate dalla somministrazione di adrenalina.

La lidocaina (1,0-1,5 mg/kg EV) va somministrata EV rapidamente e può essere ripetuta dopo 3-5 min fino a una dose totale di 3 mg/kg. L’inizio dell’azione è immediato dopo somministrazione rapida EV, ma è necessaria un’infusione costante per mantenere livelli ematici terapeutici. L’età avanzata e una ridotta funzione epatica possono alterare il metabolismo della lidocaina e, in questi casi, vanno somministrate dosi di carico ridotte. La cardioversione in 30-60 secondi può essere utilizzata.

La FV o la TV resistenti all’adrenalina, alla defibrillazione e alla lidocaina, o che recidivano sotto lidocaina, devono essere trattate con tosilato di bretilio mediante infusione endovenosa rapida (con una dose di carico di 5 mg/kg q 15 min seguita dalla cardioversione elettrica). Una seconda dose di 10 mg/kg può essere somministrata mediante infusione EV rapida in 5 min (massima dose totale di carico di 30 mg/kg).

Nella FV o TV refrattarie, può essere somministrata procainamide alla dose di 30 mg/min fino a un totale di 17 mg/kg. Possono essere desiderabili velocità di infusione più rapide, che non sono state valutate clinicamente.

Si può utilizzare la fenitoina per trattare la FV o la TV dovute a intossicazione digitalica refrattaria ad altri farmaci. Una dose di 100 mg, fino a una dose totale di 1 g, va somministrata lentamente ( 50 mg/min) in soluzione fisiologica.

Il solfato di magnesio non si è dimostrato utile in studi clinici randomizzati. Si ritiene che la somministrazione EV rapida di 1-2 g di Mg possa essere d’aiuto in pazienti con un deficit di Mg noto o sospetto (cioè, in caso di alcolismo).

Il bicarbonato di sodio non è più raccomandato come presidio terapeutico iniziale e obbligatorio per l’arresto cardiaco, perché può indurre acidosi paradossa a livello cerebrale e cardiaco, iperosmolarità, ipersodiemia o alcalemia e può inibire il rilascio di O2 dal sangue ai tessuti. Bisogna provare prima altri presidi (p. es., defibrillazione, ventilazione, massaggio cardiaco, farmaci), a meno che la causa dell’arresto non sia un’acidosi sensibile ai bicarbonati, un’iperpotassiemia o un sovradosaggio di antidepressivi triciclici con aritmie ventricolari complesse. Quando si usa il bicarbonato di sodio, la somministrazione deve essere regolata monitorando il pH (q 5 min).

Il cloruro di calcio non è più raccomandato in assenza di iperpotassiemia, ipocalcemia o intossicazione da calcioantagonisti, in quanto elevati livelli circolanti di Ca++ possono avere effetti dannosi. Quando necessario, si possono somministrare EV 2 ml di una soluzione al 10% di cloruro di calcio (100 mg/ml = 1,36 mEq/ml) a  1 ml/min. Si possono usare altri preparati a base di Ca (Ca gluceptato 3 ml [0,9 mEq/ml], Ca gluconato 6 ml [0,45 mEq/ml]). È necessaria particolare cautela quando l’intossicazione digitalica rappresenta la causa potenziale dell’arresto cardiaco.

L’asistolia va trattata con boli EV di adrenalina di 0,5-1 mg q 5 min. L’adrenalina ha sia proprietà di a-agonista che di b-agonista. Gli effetti di tipo a possono aumentare la pressione diastolica periferica e coronarica, migliorando pertanto la perfusione a livello delle regioni subendocardiche durante il massaggio cardiaco. Ciò può generare attività elettrica e aumentare la contrattilità cardiaca e quindi la gittata cardiaca. Siccome si ha un buon assorbimento di adrenalina per via polmonare, non bisogna ritardare la somministrazione endotracheale, se risulta difficile instaurare una via venosa. È sconsigliabile la somministrazione intracardiaca di adrenalina, a meno che la via venosa e quella aerea siano inaccessibili, a causa di complicanze quali pneumotorace, lacerazioni coronariche, tamponamento cardiaco e interruzioni prolungate della CPR.

Una linea completamente piatta all’ECG è comunemente dovuta a un errore dell’operatore (falsa asistolia), p. es., derivazioni mancanti o non connesse al paziente o all’apparecchio di monitoraggio, mancanza di potenza o ridotto guadagno del segnale. È appropriato il monitoraggio di un’altra derivazione o la risistemazione delle piastre del defibrillatore.

Si può anche somministrare solfato di atropina 0,5-1 mg q 5 min (fino a un massimo di 0,03-0,04 mg/kg) se l’asistolia persiste. L’atropina è un farmaco parasimpaticolitico che aumenta la frequenza cardiaca e la conduzione attraverso il nodo atrioventricolare. Può risultare utile per le bradiaritmie che si verificano in corso di ischemia miocardica (specialmente della parete inferiore) o per il blocco di grado elevato del nodo atrioventricolare.

Se né l’adrenalina, né l’atropina ripristinano complessi ECG regolari, bisogna immediatamente instaurare un pacing temporaneo trans-cutaneo. Se la stimolazione transcutanea non è disponibile o non ha successo, può essere sostituita da un pacemaker temporaneo transvenoso (nel ventricolo destro) o da elettrodi stimolanti percutanei transtoracici a livello sottocostale. Tuttavia, la probabilità che il pacing abbia successo è tanto minore quanto maggiore è stata la durata dell’arresto cardiaco. Subito dopo l’impianto degli elettrodi, occorre determinare le soglie di sensing e di stimolazione; 1-2 milliampere è generalmente la soglia di un efficace sistema di pacing temporaneo. L’output elettrico di mantenimento deve essere pari a due-tre volte il valore soglia e il pacemaker deve essere regolato in modo da mantenere la frequenza cardiaca a  70-80 battiti/min. Se la stimolazione è inefficace, bisogna provare l’adrenalina, l’atropina o il riposizionamento dell’elettrodo.

La defibrillazione di routine nell’asistolia non dà risultati incoraggianti, perché può provocare un’importante scarica parasimpatica.

L’attività elettrica senza polso è un collasso circolatorio che si verifica nonostante la presenza di una soddisfacente attività elettrica all’ECG. Può essere causata da: insufficienza di pompa per un’estesa disfunzione miocardica, significativa perdita del tono vasomotorio periferico, massiva perdita di liquidi, tamponamento cardiaco, tumore intracardiaco, trombo intracavitario occludente o embolia polmonare massiva. Attività elettrica senza polso non è necessariamente sinonimo di dissociazione elettromeccanica (DEM) perché il miocardio può ancora contrarsi, ma in maniera insufficiente, così da non consentire il rilievo della PA mediante i metodi consueti. Nell’attività elettrica senza polso, il BLS va praticato in combinazione con l’infusione di liquidi e di adrenalina (0,5-1 mg EV) e con altre misure di rianimazione avanzata. Per la bradicardia può essere somministrata atropina.

Una causa frequente di attività elettrica senza polso è la deplezione relativa o assoluta di liquidi. Vanno somministrate soluzioni di cristalloidi o di colloidi (500-1000 ml); volumi maggiori di liquidi possono essere necessari in caso di perdite massive di liquidi o di anafilassi. Per aumentare il ritorno venoso sistemico, si può infondere dopamina o adrenalina in dosi crescenti. Il tamponamento cardiaco rappresenta un’importante causa di attività elettrica senza polso e va rapidamente trattato mediante pericardiocentesi a letto del paziente (v. Cap. 209). Un’altra causa importante è il pneumotorace iperteso, che può essere risolto mediante l’inserimento di un ago o una sonda toracica. Un’altra causa possibile è il sovradosaggio di farmaci (antidepressivi, digitale, b-bloccanti o calcioantagonisti).

Nell’attività elettrica senza polso, è indicato l’attento monitoraggio del flusso ematico non rilevabile con la palpazione delle arterie; a tal fine, si può utilizzare l’ecografia Doppler o il monitoraggio invasivo della pressione arteriosa. I pazienti con una contrattilità cardiaca rilevabile devono essere trattati in maniera aggressiva.

Nello shock circolatorio, se non c’è evidenza di insufficienza ventricolare sinistra, la terapia iniziale è costituita dall’infusione di liquidi. In caso di ipotensione arteriosa grave che non risponde alla reintegrazione dei liquidi, risultano utili i seguenti farmaci, somministrati in infusione continua a dosi crescenti per ripristinare una pressione arteriosa valida: la dopamina, farmaco inotropo (400 mg in 250 ml di soluzione glucosata al 5% [1,6 mg/ml], iniziando a 3-5 mg/kg/min); l’adrenalina, inotropo e vasocostrittore (8 mg in 250 ml di glucosata al 5% [32 mg /ml] a 2-10 mg/min); la noradrenalina (8 mg in 250 ml di glucosata al 5% o NaCl allo 0,9% [32 mg/ml] a 2-16 mg/min) o la fenilefrina (50 mg in 250 ml di glucosata al 5% [200 mg/ml] a 0,1-1,5 mg/kg/min), entrambi vasocostrittori periferici. I farmaci vasoattivi vanno utilizzati alle minime dosi necessarie per ottenere una PA soddisfacente, perché possono indurre un aumento delle resistenze vascolari e ridurre la perfusione tissutale, soprattutto nella regione mesenterica. A volte è necessario continuare le manovre rianimatorie anche dopo l’iniziale ripresa della vittima e bisogna proseguire finché una ventilazione e un polso adeguati e una PA accettabile indicano la stabilizzazione della funzione cardiorespiratoria.

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DISPOSITIVI MECCANICI PER LA RIANIMAZIONE

I dispositivi meccanici costituiscono mezzi aggiuntivi e non sostituiscono la respirazione bocca a bocca e il massaggio cardiaco manuale esterno durante il BLS. Vanno utilizzati solo se disponibili entro pochi secondi, o in sostituzione dei mezzi manuali in caso di rianimazione prolungata o quando occorra spostare la vittima. Sono dispositivi specialistici che vanno utilizzati soltanto da personale adeguatamente addestrato. Negli ambienti clinici e ospedalieri, dove è prevedibile la necessità di mettere in atto manovre di rianimazione e dove il rischio di infezione da HIV, epatite o altro è elevato (p. es., in UTIC, in pronto soccorso, in sala operatoria), questi dispositivi devono essere disponibili rapidamente, eliminando così la necessità della respirazione bocca a bocca.

Dispositivi di supporto delle vie aeree: lo scopo principale dei dispositivi di supporto delle vie aeree è fornire O2 supplementare al paziente e assicurare la ventilazione durante le manovre rianimatorie.

La maschera facciale con valvola comprende un palloncino autogonfiabile e un meccanismo a valvola che impedisce il ricircolo dell’aria espirata (pallone da rianimazione, pallone di Ambu). Questi dispositivi vanno utilizzati con fonti supplementari di O2 e possono fornire O2 al 60-100%, a patto che si utilizzi il più alto flusso di O2 accettabile, il maggior tempo possibile di riempimento del pallone e un reservoir per l’O2 per impedire l’ingresso di aria ambiente (ogni volta che sia possibile).

Il pallone di Ambu si utilizza al meglio con dispositivi artificiali di controllo delle vie aeree, che vanno tuttavia utilizzati solo quando il paziente è completamente privo di coscienza. Se si prova a inserire un tale dispositivo in un paziente cosciente o in stato soporoso, si può verificare un’ostruzione delle vie aeree con conseguente ipossia, vomito e aspirazione.

Tubi endotracheali a tenuta sono utilizzati per mantenere pervia una via aerea compromessa, per prevenire l’inalazione nelle vie respiratorie, per iniziare la ventilazione meccanica e per aspirare le basse vie respiratorie. Sono indicati nei pazienti in coma e nei casi in cui sia richiesta la ventilazione artificiale. Prima di ricorrere all’intubazione tracheale, sono sempre indicati il controllo manuale delle vie aeree, la ventilazione e l’ossigenazione durante BLS e l’erogazione di O2 in corso di ACLS. Nelle situazioni d’emergenza, bisogna ricordare che l’intubazione orotracheale si esegue più velocemente rispetto a quella nasotracheale; devono essere sempre pronti dispositivi per l’aspirazione e tutto il necessario per le emergenze. Il pallone di Ambu può essere collegato al tubo endotracheale mediante speciali adattatori e ciò permette la ventilazione manuale del paziente finché non viene ripristinata la funzione cardiocircolatoria. Qualora anomalie scheletriche o spasmi muscolari impediscano l’intubazione orotracheale, si può tentare l’intubazione nasotracheale alla cieca. Se questo è impossibile, possono essere necessarie speciali tecniche di accesso alla via aerea, quali la ventilazione mediante catetere transtracheale e la cricotiroidotomia (v. Ripristino e mantenimento della pervietà delle vie respiratorie nel Cap. 65).

La doppia sonda orofaringea è stata utilizzata in alternativa alla respirazione bocca a bocca durante BLS, ma è più difficile da utilizzare poiché le dita del rianimatore devono serrare le labbra del paziente attorno al tubo mentre i pollici tengono chiuse le narici. Aprire la bocca e mantenere la pervietà della via aerea può essere difficile e la stimolazione dell’ipofaringe può indurre vomito non appena il paziente riacquista lo stato di coscienza.

Sonde ostruttrici esofagee sono state utilizzate come dispositivi aggiuntivi in caso di arresto cardiaco, ma vanno inserite da personale specificatamente addestrato al loro uso che non sia in grado di eseguire l’intubazione endotracheale. Le complicanze comprendono la perforazione esofagea e l’eccessiva distensione gastrica, che può causare rigurgito. Prima di rimuovere la sonda ostruttrice esofagea, il paziente va intubato e girato su un fianco; devono essere disponibili dispositivi per l’aspirazione.

Per i pazienti che respirano spontaneamente, sono disponibili diversi tipi di maschere facciali in diverse misure (per bambini e adulti). Devono essere ben posizionate, trasparenti e devono erogare O2 alla concentrazione del 50% con un flusso di O2 pari a 10 l/min. Le maschere sono efficaci soprattutto quando il soccorritore si mette a livello del capo della vittima e serra fermamente la maschera sul suo viso mentre mantiene pervia la via aerea mediante iperestensione del capo e sublussazione della mandibola. Mediante la semplice maschera, l’O2 viene erogato attraverso un tubo conico e inalato dal paziente (con l’aggiunta di quantità variabili di aria ambiente attraverso i fori di espirazione della maschera), che poi espira attraverso un’apposita via di espirazione. I flussi di O2 comunemente utilizzati (6-10 l/min) permettono di erogare concentrazioni di O2 del 35-55%. Poiché le diverse modalità di ventilazione possono modificare la quantità di O2 fornita da queste maschere, si possono, in alternativa, utilizzare le maschere di Venturi, soprattutto nel caso di pazienti che hanno ritenzione di CO2 e malattie polmonari croniche. Tali dispositivi possono fornire O2 alla concentrazione di 24, 28, 31, 35, 40 e 50%. Una maschera che impedisce il ricircolo dell’aria espirata, simile a una semplice maschera ma fornita di un resevoir di O2 e di valvole di espirazione a una via, può fornire O2 a concentrazioni fino al 90%. Il flusso deve essere di 6-10 l/ min per impedire il collasso del reservoir in coincidenza di ciascun atto respiratorio. L’ossigeno può anche essere erogato mediante cateteri nasali, con un flusso sino a 5 l/min.

Supporto circolatorio artificiale: siccome molte forme di arresto cardiaco si accompagnano a ipovolemia, risulterà utile ricorrere a pantaloni antishock militari o medici (Military [or medical] Antishock Trousers, MAST) per aumentare il volume ematico centrale, soprattutto in pazienti con shock ipovolemico secondario a trauma ed emorragia. Tali dispositivi, inoltre, aumentano le resistenze periferiche e incrementano di conseguenza il flusso coronarico. Sono forniti di compartimenti separati per l’addome e per gli arti inferiori, che permettono una compressione indipendente dei vari compartimenti, diversa a seconda delle necessità; quando sono in sede, vanno sgonfiati in maniera sequenziale (il compartimento addominale per primo) come indicato. I MAST possono causare congestione polmonare e insufficienza cardiaca, se il volume intravascolare è normale e la funzione miocardica è ridotta.

La contropulsazione aortica può sostenere la circolazione in condizioni di bassa gittata dovuta a un’insufficienza di pompa del ventricolo sinistro grave e refrattaria. Si introduce un catetere, di solito attraverso l’arteria femorale per via transcutanea o mediante arteriotomia, e lo si fa avanzare per via retrograda fino all’aorta toracica, fermandosi quando è appena distale rispetto all’arteria succlavia sinistra. Il gonfiaggio pulsato del contropulsatore migliora la perfusione arteriosa coronarica durante la diastole e riduce il postcarico durante la sistole. Il beneficio massimo di questa tecnica si ha nei casi di rapido deterioramento emodinamico, quando l’intervento cardiochirurgico è imminente e altre misure terapeutiche sono inefficaci. I pazienti con shock cardiogeno dopo la rianimazione, che hanno patologie potenzialmente correggibili mediante intervento chirurgico (p. es., IMA con insufficienza mitralica acuta o difetto interventricolare, grave insufficienza aortica da lesione vascolare acuta), sono candidati alla contropulsazione aortica. È necessaria comunque particolare esperienza nell’inserimento e nel monitoraggio della funzione del contropulsatore.

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TERAPIA POST-RIANIMAZIONE

Nella fase precoce del periodo post-rianimazione, la terapia ha come obiettivi la correzione dei fattori che mettono a rischio la funzione cardiovascolare e le misure standard atte ad assicurare un’ossigenazione e circolazione cerebrale ottimali. La volemia va normalizzata e la pressione arteriosa media deve essere normale o poco al di sopra dei valori normali. L’ematocrito, la glicemia e gli elettroliti vanno tenuti sotto controllo e la temperatura corporea deve essere mantenuta su valori normali, al fine di ridurre al minimo le richieste metaboliche. La PaO2 arteriosa va mantenuta a livelli normali (80-100 mm Hg). Dopo un arresto cardiaco, le dinamiche del flusso ematico sistemico e del volume intravascolare possono non essere chiare; in tal caso, può essere necessario il monitoraggio della pressione venosa centrale. Dopo un IMA, può essere necessaria l’inserzione di un catetere in arteria polmonare, per misurare la gittata cardiaca, la pressione capillare polmonare ("wedge") e la saturazione di O2 del sangue venoso misto, parametri necessari per stabilire il dosaggio ottimale dei farmaci.

La FV o la TV senza polso possono recidivare nel periodo post-rianimazione. La lidocaina (1-1,5 mg/kg EV in infusione rapida) deve essere somministrata di routine dopo la cardioversione di una TV o di una FV, anche quando non è stata utilizzata nelle prime fasi della rianimazione. Se sono stati usati la procainamide o il bretilio, tali farmaci possono essere somministrati mediante infusione continua.

Eventuali tachicardie sopraventricolari rapide nel periodo post-rianimazione vanno monitorate ma non trattate, se il paziente è per altri versi stabile (normoteso). Le aritmie sono frequentemente dovute agli elevati livelli di catecolamine (sia endogene che esogene) associate con l’arresto cardiaco e le manovre rianimatorie.

In presenza di una bassa gittata dopo ischemia miocardica, può essere indicata la somministrazione di farmaci vasoattivi; gli inotropi aumentano direttamente la contrattilità miocardica. La terapia con dobutamina (500 mg in 250 ml di soluzione glucosata al 5%; 2 mg/ml) si incomincia alla velocità di 2-5 mg/kg/min. In alternativa, vengono somministrati l’amrinone o il milrinone (dose iniziale: 0,75 mg/kg nell’arco di 2-3 min, utilizzando una soluzione di 500 mg in 250 ml di soluzione fisiologica, cioè 2 mg/ml); al bolo iniziale si fa seguire un’infusione continua alla velocità di 5-10 mg/kg/min.

Il nitroprussiato di sodio (50 mg in 100 ml di soluzione glucosata al 5%, cioè 500 mg/ml), in sistemi per infusioni endovenose avvolti da fogli di alluminio per proteggerlo dall’esposizione alla luce, va inizialmente somministrato alla velocità di 0,25-0,3 mg/kg/min fino a una velocità massima di 10 mg/kg/min, a seconda delle condizione cliniche ed emodinamiche; è un vasodilatatore venoso e arterioso, che agisce dunque sul precarico e sul postcarico e può ridurre la congestione polmonare e aumentare la gittata cardiaca. La somministrazione di nitroglicerina EV (100 mg in 250 ml di soluzione glucosata al 5%, cioè 400 mg/ml) può risultare utile per ridurre il precarico, soprattutto nell’angina instabile in presenza di insufficienza cardiaca. L’uso ottimale di questi due farmaci implica un completo monitoraggio emodinamico a causa dei loro effetti emodinamici rapidi e significativi.

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