16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE

211. MALATTIE DELL’AORTA E DEI SUOI RAMI

PATOLOGIE INFIAMMATORIE DELL’AORTA

ARTERITE DI TAKAYASU

(Malattia senza polso; tromboaortopatia occlusiva; sindrome dell’arco aortico)

Malattia infiammatoria di causa sconosciuta che colpisce l’aorta e i suoi rami.

Sommario:

Introduzione
Sintomi, segni e diagnosi
Prognosi e terapia


Il Sebbene l’arterite di Takayasu sia stata riportata in tutto il mondo, mostra una predilezione per le giovani donne asiatiche. Le donne affette da questa malattia sono più numerose rispetto agli uomini, con un rapporto di 8:1, e l’età di inizio dei sintomi è di solito tra i 15 e i 30 anni. Nel mondo occidentale, l’aterosclerosi è più frequentemente la causa dell’occlusione dei rami dell’arco aortico rispetto all’arterite di Takayasu.

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Sintomi, segni e diagnosi

Circa la metà dei pazienti sviluppa una malattia iniziale sistemica con malessere, febbre, sudorazione notturna, perdita di peso, artralgie e stanchezza. Spesso sono presenti anemia e un marcato aumento della VES. Questa fase guarisce gradualmente ed è seguita da uno stadio più cronico, caratterizzato da modificazioni infiammatorie e obliterative dell’aorta e dei suoi rami. L’altra metà dei pazienti presenta solo le modificazioni vascolari tardive, non precedute dalla malattia sistemica. Nello stadio tardivo, l’indebolimento della parete vasale può dar luogo ad aneurismi localizzati.

I vasi dell’arco aortico sono particolarmente vulnerabili e uno qualunque di questi può essere occluso. Si possono verificare sincopi e attacchi ischemici transitori nel territorio di distribuzione delle carotidi e del sistema vertebro-basilare, accompagnati da claudicatio della mandibola (durante la masticazione o parlando) o delle braccia. Si può verificare una perdita di massa muscolare al viso o alle braccia. Sono comuni disturbi visivi. Le modificazioni occlusive dell’aorta toracica discendente causano a volte una forma di coartazione acquisita. Sebbene i vasi dell’arco aortico siano colpiti più di frequente, può essere coinvolta anche l’aorta addominale (soprattutto le arterie renali), con conseguente ipertensione nefrovascolare grave. L’insufficienza cardiaca non è rara e può essere dovuta a un’ipertensione grave, a un coinvolgimento delle coronarie o a un’insufficienza aortica, raramente causata dalla malattia. In rari casi, l’occlusione dell’arteria polmonare causa ipertensione polmonare.

L’esame obiettivo di solito rivela polsi marcatamente diminuiti o assenti e una pressione arteriosa bassa o non apprezzabile nelle arterie coinvolte. A meno che non sia presente una coartazione acquisita, questo rilievo è in netto contrasto con la presenza di polsi generalmente vivaci a livello degli arti inferiori, dove vanno rilevati e successivamente monitorati i valori pressori. In corrispondenza delle arterie parzialmente occluse, possono essere rilevati soffi vascolari. Le anastomosi arterovenose a ghirlanda del fondo dell’occhio, che corrispondono alla descrizione originale della malattia fatta da Takayasu, si verificano nel 25% dei pazienti.

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Prognosi e terapia

In molti pazienti, l’arterite di Takayasu alla fine si risolve senza creare complicanze maggiori e questi pazienti possono stare bene per anni. La sopravvivenza a 5 anni in assenza di complicanze gravi è > 95%. In pazienti con complicanze maggiori (p. es., ictus, IMA, ipertensione grave, insufficienza cardiaca, aneurisma), il tasso di sopravvivenza a 5 anni è del 50-70%.

I sintomi della fase acuta vengono sensibilmente ridotti con i corticosteroidi: una dose di 60-100 mg/die di prednisone va continuata finché i sintomi si alleviano e a quel punto il farmaco deve essere scalato il più rapidamente possibile, benché il trattamento possa essere necessario per vari mesi. Nei casi resistenti ai corticosteroidi, si può associare la ciclofosfamide. La dose abituale è di 2 mg/kg/die PO, aggiustata in modo da mantenere la conta leucocitaria > 3000 ml. Esistono alcune dimostrazioni che un trattamento intenso e precoce della fase acuta con corticosteroidi e ciclofosfamide possa minimizzare le complicanze vascolari a lungo termine. È raccomandato l’uso di warfarin, o di un farmaco dello stesso tipo, o di un inibitore piastrinico (p. es., aspirina 325 mg/die) in caso di ischemia. L’ipertensione deve essere trattata in maniera aggressiva. Gli ACE-inibitori possono risultare particolarmente efficaci, dal momento che l’ipertensione è frequentemente di origine nefrovascolare.

La chirurgia gioca un ruolo importante negli stadi tardivi della malattia e può servire a ristabilire il flusso attraverso le arterie occluse. L’angioplastica può assicurare un temporaneo miglioramento in casi selezionati. Gli aneurismi arteriosi e aortici possono rendere necessaria la resezione chirurgica.

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