16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE

212. MALATTIE VASCOLARI PERIFERICHE

Patologie che coinvolgono le arterie, le vene e i vasi linfatici degli arti.

TROMBOSI VENOSA

Presenza di un trombo in un vaso venoso

Sommario:

Classificazione ed eziologia
Fisiopatologia
Sintomi e segni
Diagnosi
Prognosi
Terapia


Classificazione ed eziologia

La trombosi può colpire le vene superficiali (tromboflebite superficiale) o le vene profonde (trombosi venosa profonda). Una trombosi venosa protratta nel tempo può causare insufficienza venosa cronica con edema, dolore, pigmentazione cutanea da stasi, dermatite da stasi e ulcere da stasi. La trombosi è quasi sempre accompagnata da flebite, cosicché i termini trombosi e tromboflebite vengono usati in maniera intercambiabile. La trombosi può verificarsi a causa di anomalie della coagulazione che possono essere familiari (v. Cap. 132) o correlate a una sottostante neoplasia.

Il termine di tromboflebite iliofemorale si riferisce a una trombosi diffusa dell’arto coinvolto, che assume un colorito pallido simile al colore del latte. L’espressione "phlegmasia cerulea dolens" indica una trombosi venosa massiva, in cui la gamba ha spesso un colorito bluastro. Tale situazione spesso comporta una gangrena venosa e la morte a causa della patologia di base (p. es., una neoplasia diffusa). Altri termini vengono utilizzati per indicare trombosi in aree anatomiche specifiche (v. Tab. 212-1). La trombosi delle vene pelviche, mesenteriche, portali e renali sono trattate altrove nel Manuale.

Un danno all’endotelio può esporre il collagene, provocando aggregazione piastrinica e rilascio di tromboplastina tissutale che, qualora siano presenti stasi o ipercoagulabilità, innescano la cascata coagulativa. Numerosi fattori possono contribuire alla genesi della trombosi venosa: danni all’endotelio venoso, quali quelli provocati da cateteri, iniezione di sostanze irritanti, tromboangioiti obliteranti o flebiti settiche; ipercoagulabilità associata a neoplasie maligne, discrasie ematiche, contraccettivi orali e tromboflebite idiopatica; stasi postoperatoria o post-partum, tromboflebiti varicose o che complicano lunghi periodi di allettamento per qualsiasi malattia cronica, scompenso cardiaco, ictus e trauma. L’immobilità prolungata con gli arti inferiori in posizione declive durante un viaggio (specialmente in voli di lunga durata) rappresenta un fattore di rischio, anche in individui normali. Anche lo sforzo fisico intenso a carico dei muscoli dell’arto affetto (p. es., un braccio) costituisce un fattore di rischio.

Flebiti settiche sono possibili ogniqualvolta un processo settico è presente a livello dell’arto che si trova a valle o a livello di un’ostruzione venosa. Trombi settici possono formarsi separatamente dal focus di infezione o per contiguità con l’area di flogosi, come parte di un processo cellulitico.

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Fisiopatologia

La maggior parte dei trombi venosi trae origine all’interno delle cuspidi valvolari delle vene profonde del polpaccio. Viene liberata tromboplastina tissutale, che rilascia trombina e fibrina, le quali a loro volta intrappolano i GR, generando in direzione prossimale il trombo fibrinico o rosso: esso rappresenta morfologicamente la lesione venosa predominante (il trombo piastrinico o bianco è invece caratteristico della lesione arteriosa). I farmaci ad azione anticoagulante (p. es., eparina, anticoagulanti orali) possono prevenire la formazione o l’estensione dei trombi. I farmaci antiaggreganti, nonostante siano stati molto studiati, non si sono dimostrati efficaci nella prevenzione.

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Sintomi e segni

I sintomi della tromboflebite acuta si fanno evidenti in un periodo di tempo variabile da ore a 1-2 gg. La malattia solitamente si autolimita e dura 1-2 sett., dopo di che il processo acuto si risolve e il dolore scompare.

Nella tromboflebite superficiale, una vena superficiale trombizzata può essere rilevata alla palpazione come un cordone duro lineare. Può associarsi a una reazione infiammatoria di entità variabile, che si manifesta con dolore, dolorabilità alla palpazione, eritema, calore; tale condizione va differenziata dal linfedema secondario acuto infetto (v. più avanti). La palpazione di un cordone superficiale sulla gamba riflette l’occlusione di una vena superficiale; è raramente dovuto a trombosi venosa profonda.

La trombosi venosa profonda (TVP) può decorrere in maniera asintomatica o può manifestarsi con la combinazione, in corrispondenza dell’area coinvolta, di dolorabilità alla palpazione, dolore spontaneo, edema, calore, discromie ed evidenza di vene superficiali prominenti. Se la TVP coinvolge i segmenti popliteo, femorale e iliaco, vi può essere dolorabilità, insieme con il rilievo di un cordone palpabile, in corrispondenza del vaso venoso interessato, a livello del triangolo femorale nella regione inguinale, nella regione media della coscia o nel cavo popliteo. In caso di trombosi venosa ilio-femorale, compaiono di solito collaterali venosi superficiali dilatati sulla gamba, sulla coscia e in corrispondenza dell’anca e dei quadranti inferiori dell’addome.

Per la presenza di almeno tre vene principali di drenaggio a livello della gamba, la trombosi di una di esse non impedisce del tutto il deflusso venoso, per cui non si verifica edema, cianosi della cute o dilatazione delle vene superficiali. Il paziente accusa fastidio o dolore franco assumendo la posizione eretta e durante la deambulazione, sintomi che regrediscono con il riposo a gambe sollevate. L’esame obiettivo dimostra facile dolorabilità alla palpazione del polpaccio, ma il dolore della TVP è spesso difficile da differenziare dal dolore muscolare. Il dolore da problemi muscolari è assente o minimo alla dorsiflessione della caviglia a ginocchio flesso, mentre risulta intenso quando si effettua tale manovra a ginocchio esteso o durante sollevamento della gamba distesa (segno di Homans); perciò, questo test è inaffidabile per la diagnosi di TVP. La perdita dei polsi arteriosi periferici accompagna occasionalmente la TVP massiva, ma la trombosi venosa può anche essere secondaria a un’occlusione arteriosa acuta.

L’insufficienza venosa cronica della gamba dopo TVP si manifesta con edema e dilatazione delle vene superficiali. Il paziente accusa senso di tensione, dolore persistente o facile stancabilità dell’arto, ma può anche non avere alcun disturbo. Tale sintomatologia si verifica assumendo la posizione eretta o durante la deambulazione e regredisce con il riposo e sollevando l’arto. Non si associa a dolorabilità in corrispondenza delle vene profonde come nel caso della tromboflebite acuta, ma va ricercata nell’anamnesi una storia di TVP. I segni e i sintomi della stasi periferica si verificano se l’edema non è controllato da un supporto elastico. Con il passar del tempo compare una pigmentazione cutanea sulla superficie mediale, e alle volte laterale, della caviglia e della gamba. Ulteriori complicanze sono la dermatite e l’ulcera da stasi delle aree colpite. Pazienti affetti da insufficienza venosa profonda possono sviluppare vene varicose (v. oltre), che sono secondarie a TVP, sono in genere lievi e assumono la funzione di vasi collaterali. Non devono essere operate se non in casi gravi.

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Diagnosi

La tromboflebite superficiale viene diagnosticata grazie ai sintomi e al rilievo di un cordone venoso superficiale, dolente all’esame clinico.

L’esame obiettivo di solito permette di differenziare l’occlusione arteriosa acuta da quella venosa profonda. In più del 50% dei casi, la TVP acuta può non essere diagnosticata sulla base dei soli rilievi clinici; il segno di Homans non è affidabile per la diagnosi e l’edema può avere altre cause. Rilievi specifici a livello dell’arto interessato (p. es., edema, vene superficiali dilatate), la presenza di embolia polmonare e l’insieme del quadro clinico, inclusi i fattori di rischio (v. in Classificazione ed eziologia, sopra), permettono al medico di stimare la probabilità di una TVP. La diagnosi può essere confermata mediante test non invasivi o mediante venografia, se necessario. L’ecografia Doppler è diagnostica nella maggior parte dei casi in cui il trombo coinvolge le vene iliache, femorali e poplitee. Se la diagnosi è dubbia, si ricorre alla venografia. L’embolia polmonare si evidenzia con la scintigrafia o l’arteriografia polmonare (v. Cap. 72). Se non diagnosticata, la TVP può causare il decesso del paziente per embolia polmonare, ma la somministrazione di anticoagulanti senza la dimostrazione di un trombo intravascolare mediante ecografia, venografia o scintigrafia polmonare comporta il rischio di emorragie gravi.

La pletismografia, come l’ecografia, può essere utilizzata con accettabile accuratezza per la diagnosi di ostruzioni trombotiche a livello delle vene prossimali maggiori degli arti o per il rilievo di un’insufficienza venosa cronica. Non è in grado di individuare la TVP del polpaccio. La pletismografia non è invasiva, è relativamente poco costosa, richiede una cooperazione minima da parte del paziente e può essere eseguita correttamente da un tecnico specializzato. È usata di frequente insieme all’eco-Doppler, in quanto la combinazione di queste tecniche aumenta l’accuratezza della diagnosi. I pazienti possono essere messi in terapia, qualora uno di tali test risulti positivo. In presenza di risultati negativi, se il sospetto di TVP rimane, si ricorre alla venografia.

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Prognosi

La TVP è di solito benigna, benché possa causare un’embolia polmonare letale o un’insufficienza venosa cronica. Le sole tromboflebiti superficiali, anche ricorrenti, non causano tali complicanze gravi, sebbene episodi di embolia polmonare non letale possano raramente avere origine da vene superficiali.

Sebbene la tromboflebite superficiale e la TVP siano più frequenti nei pazienti affetti da cancro, il meccanismo alla base di questo dato non è noto. La maggior parte degli episodi di TVP individuati clinicamente non è associata a neoplasie. Tuttavia, se la neoplasia è l’unico fattore di rischio in un paziente con tromboflebite superficiale o TVP, essa è quasi invariabilmente in uno stadio avanzato.

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Terapia

(Per la profilassi della TVP, v. Cap. 72.)

La tromboflebite superficiale non richiede terapie specifiche oltre alle misure messe in atto per alleviare il dolore. Risultano utili garze calde sulle vene coinvolte e terapia con FANS. Non risulta necessaria l’ospedalizzazione né l’uso di antibiotici.

In caso di TVP, l’obiettivo della terapia consiste nel prevenire l’embolia polmonare e l’insufficienza venosa cronica. Qualora venga diagnosticata una TVP acuta, il paziente può essere inizialmente ospedalizzato. Tuttavia, a causa dei progressi compiuti nella terapia eparinica, pazienti selezionati con una TVP possono essere trattati a domicilio, riducendo la durata o eliminando del tutto il ricovero ospedaliero. I piedi del letto vanno sollevati di qualche centimetro e il paziente va sottoposto a terapia eparinica; sia in ospedale che a casa, si può quindi permettere al paziente di usare il bagno. Farmaci quali fenilbutazone o corticosteroidi non sono indicati di routine e gli antibiotici vanno riservati a infezioni specifiche. Garze umide calde danno sollievo, ma sono solo un’aggiunta nei pazienti senza insufficienza arteriosa.

Le eparine a basso peso molecolare vanno presto sostituite con warfarin per os, aggiustando il dosaggio in modo da raggiungere valori di INR fra 2 e 3. La durata della terapia anticoagulante orale va stabilita caso per caso. Un episodio isolato di tromboflebite che regredisce in 3-6 giorni in un paziente giovane, attivo e privo di fattori di rischio può richiedere 2 soli mesi di terapia, mentre un paziente con un’embolia polmonare dimostrabile e persistenti fattori di rischio può aver bisogno di 6 mesi di terapia. Dopo  2 episodi di TVP, la profilassi con anticoagulanti orali va continuata per tutta la vita. L’efficacia dei farmaci antitrombotici (p. es., farmaci derivati dai veleni di alcuni serpenti, antiaggreganti piastrinici, composti trombolitici) non è stata stabilita.

Terapia trombolitica: la terapia trombolitica mediante attivatore tissutale del plasminogeno o urochinasi associata ad anticoagulanti costituisce una terapia efficace per la TVP acuta delle poplitee e delle vene più prossimali. I risultati migliori si hanno quando il trombolitico viene somministrato entro 48-72 ore dall’esordio della TVP. Tale terapia provoca la dissoluzione completa o parziale del trombo entro 24-48 ore. Una terapia efficace ripristina l’anatomia venosa e può così prevenire il danno al sistema valvolare e la conseguente insufficienza venosa cronica. Prima di ricorrere alla terapia trombolitica, la diagnosi va confermata mediante venografia. Bisogna inoltre tenere conto delle controindicazioni e degli effetti collaterali, soprattutto il sanguinamento, oltre che dei dettagli circa lo schema e il monitoraggio del trattamento. (Per i dettagli sulla somministrazione dei trombolitici e sull’interruzione chirurgica della vena cava inferiore, v. il Cap. 72.)

Una volta regredito l’edema, il paziente deve indossare calze elastiche sino al ginocchio (che assicurino una pressione di 30-40 mm Hg) per il controllo dell’edema che si svilupperà durante la deambulazione. Le calze vanno indossate durante la deambulazione per prevenire le sequele postflebitiche dell’insufficienza venosa cronica: edema, dolore, stasi, pigmentazione cutanea con successiva dermatite e ulcere da stasi. Se si verificano queste complicanze, nella maggior parte dei casi le ulcerazioni guariranno con il ricorso allo stivale di Unna (v. sotto Dermatite da Stasi, nel Cap. 111) o con il riposo a letto con gli arti sollevati e compressi mediante appositi dispositivi. Si ricorre agli antibiotici solo quando l’ulcera è circondata da una grave cellulite acuta. Fasciature inumidite con NaCl possono facilitare la fluidificazione e la rimozione dell’essudato superficiale. Ampie ulcere refrattarie o ricorrenti possono richiedere l’incisione chirurgica, la legatura delle vene perforanti insufficienti e la copertura dell’area con trapianto cutaneo.

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