18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA

249.GRAVIDANZA FISIOLOGICA, TRAVAGLIO E PARTO

GESTIONE DEL PARTO FISIOLOGICO

Molte unità ostetriche usano una sola sala per il travaglio, per il parto, per il trattamento intensivo successivo e per il post-partum (LDRP), così che la madre, le persone di supporto e il bambino rimangono nella stessa stanza per tutto il ricovero. Altri centri usano la tradizionale sala del travaglio e la sala del parto, in cui la paziente viene trasferita per il parto. In condizioni ideali, quando il parto è imminente, la paziente viene portata in sala parto con l’infusione EV di Ringer ancora in corso. Al padre o alle altre persone che le sono vicine deve essere offerta l’opportunità di accompagnarla. Nella sala parto, il perineo viene lavato e coperto con telini sterili e il parto viene espletato.

Anestesia: possono essere usati il blocco pudendo, l’anestesia regionale o quella generale. Indipendentemente dal metodo utilizzato, per un’anestesia sicura ed efficace sono necessarie esperienza e abilità di esecuzione. Il blocco pudendo consiste nell’iniettare un anestetico locale attraverso la parete della vagina, in modo da raggiungere il nervo con l’anestetico, nel punto in cui incrocia la spina ischiatica. La distribuzione del nervo è tale che la parte inferiore della vagina, il perineo e la parte posteriore della vulva risultano anestetizzati; la porzione anteriore della vulva è innervata dai dermatomeri lombari e non viene anestetizzata. Il blocco pudendo è utile nei parti non complicati, durante i quali la paziente desideri cooperare spingendo e non vi siano controindicazioni. Il blocco dei gangli paracervicali è raramente indicato perché associato a un’elevata incidenza (> 15%) di bradicardia fetale. L’infiltrazione del perineo è frequentemente usata, anche se l’anestesia che si ottiene con questo metodo non è efficace come quella di un blocco pudendo ben fatto.

Il metodo dell’anestesia regionale più frequentemente usato per il travaglio e il parto, è rappresentato dall’iniezione lombare epidurale di un anestetico locale. Possono essere somministrati narcotici (p. es., fentanile, sufentanile) per infusione continua nello spazio epidurale. L’iniezione nella cauda (nel canale sacrale) è raramente utilizzata. L’anestesia spinale (iniezione nello spazio subaracnoideo paraspinale) può essere usata per il taglio cesareo, ma, a causa della sua breve durata (che ne previene l’uso durante il travaglio) e un modesto rischio di cefalea spinale successiva, viene eseguita meno di frequente. In ogni caso, bisogna attuare un controllo continuo, con il rilevamento dei parametri vitali q 5 minuti, per evidenziare e trattare una possibile ipotensione.

L’anestesia generale con potenti farmaci inalatori (p. es., l’isoflurano) può deprimere notevolmente sia la madre che il feto e, quindi, non è raccomandata per i parti di routine. Tuttavia, è spesso la metodica di scelta in caso di un parto cesareo di emergenza perché il tempo che intercorre tra l’inizio dell’anestesia e il parto è molto breve. Il protossido d’azoto al 40% può essere utilizzato per l’analgesia purché si mantenga un contatto verbale con la paziente. Una maggiore diffusione della psicoprofilassi al parto ha diminuito l’impiego di questi farmaci, tranne che nei casi di parti con il forcipe, parti podalici, gemellari o con taglio cesareo.

Procedure del parto: si esegue un’esplorazione vaginale per determinare la posizione e il livello della testa. Successivamente, la paziente viene invitata a spingere verso il basso ad ogni contrazione, in modo da spingere la testa attraverso la pelvi e dilatare progressivamente l’ostio vaginale così che la testa sia progressivamente visualizzata. Quando circa 3-4 cm della testa fetale sono ben visibili, durante una contrazione, in una primipara (poco prima in una pluripara), le manovre successive possono facilitare il parto e ridurre il pericolo di una lacerazione perineale. Il medico (se destrorso) pone il palmo della mano sinistra sulla testa del bambino, durante la contrazione, per controllare e, se necessario, ritardare leggermente la sua progressione, mentre poggia le dita della mano destra contro il perineo che va dilatandosi e attraverso il quale si avvertono la fronte o il mento del bambino. Applicando una pressione sulla fronte o sul mento con le dita ricurve si aiuta la testa a progredire. Il medico controlla la progressione della testa per eseguire un parto lento e sicuro.

Il forcipe è spesso usato per il parto quando la madre è esausta e non riesce a spingere in modo adeguato. Il forcipe è sicuro e può essere necessario quando l’anestesia epidurale preclude le vigorose spinte verso il basso della madre. L’anestesia locale non interferisce con le spinte verso il basso, limitando l’insorgenza delle complicanze e l’uso del forcipe. Se si prevede che il secondo stadio del travaglio si prolunghi perché la paziente ha difficoltà a spingere, può essere usato il forcipe o una ventosa ostetrica.

L’episiotomia (incisione chirurgica del perineo) deve essere eseguita solo se il perineo non si dilata appropriatamente e ostacola il parto. L’episiotomia è di solito necessaria solo per il primo parto a termine. Questa procedura previene l’eccessivo stiramento e la possibile lacerazione dei tessuti perineali. Infatti, l’incisione è più facilmente riparabile rispetto alla lacerazione e può diminuire l’incidenza delle lacerazioni anteriori. Il tipo più comune di episiotomia consiste in un’incisione mediana eseguita con le forbici, dal punto di mezzo della forchetta posteriore direttamente verso il retto. Con questo tipo di incisione, c’è il rischio di prolungare il taglio nello sfintere del retto o nel retto stesso, ma se diagnosticato subito può essere riparato con successo e guarisce bene. L’episioproctotomia (che consiste in un’incisione prolungata intenzionalmente all’interno del retto), non è raccomandabile per il rischio di fistole retto-vaginali. Le lacerazioni o l’interessamento del retto si possono evitare, in genere, mantenendo la testa del nascituro ben flessa fino a che l’occipite non abbia oltrepassato l’arcata sottopubica. Un altro tipo di episiotomia consiste in un’incisione medio-laterale, eseguita con le forbici, a partire dal punto di mezzo della forchetta con un angolo di 45°, lateralmente verso uno dei due lati. Anche se con questo tipo di incisione, di solito, non si corre il rischio di interessare lo sfintere o il retto, il dolore nel postoperatorio e il tempo di cicatrizzazione sono maggiori rispetto all’episiotomia mediana. Quindi, è raccomandata l’episiotomia mediana.

Subito dopo l’espulsione della testa, il corpo del feto ruota, cosicché le spalle si portano in una posizione antero-posteriore; una delicata pressione verso il basso, esercitata sulla testa del feto, fa disimpegnare la spalla anteriore al di sotto della sinfisi pubica. Se il cordone è avvolto intorno al collo, il cordone stesso può essere clampato e sezionato. A questo punto, la testa viene delicatamente sollevata affinché la spalla posteriore scivoli al di sopra del perineo, seguita senza difficoltà dal resto del corpo del bambino. Il naso, la bocca e la faringe del neonato devono essere aspirati con un siringa apposita per rimuovere il muco e i liquidi e aiutare la respirazione. Il cordone ombelicale deve essere clampato con due pinze e tagliato tra di esse, dopo di che si applica una clip di plastica. Il neonato è, quindi, posto in una culla termostatica o sull’addome della madre. Il trattamento del neonato è descritto nel Cap. 256.

Il terzo stadio del travaglio inizia dopo la nascita del bambino e finisce con la fuoriuscita della placenta. Dopo l’espulsione del bambino, il medico appoggia delicatamente la mano sul fondo dell’utero per percepirne le contrazioni; il distacco della placenta si verifica, in genere, durante la prima o la seconda contrazione, spesso con la fuoriuscita del sangue che si raccoglie dietro la placenta in via di distacco. La paziente stessa è, in genere, in grado di aiutare l’espulsione della placenta, spingendo. Se non è in grado e se si ha una perdita ematica abbondante, la placenta può essere espulsa esercitando una decisa pressione verso il basso sul fondo dell’utero; questa procedura viene eseguita solo se l’utero è duro di consistenza, perché la pressione esercitata su di un utero flaccido ne può provocare l’inversione. Se questa manovra non dovesse essere sufficiente, si deve tenere il cordone teso verso il basso, mentre si sospinge l’utero verso l’alto, allontanandolo dalla placenta. Se la placenta non è stata espulsa entro 45-60 min dal parto, può essere necessario il secondamento manuale; l’intera mano è inserita nella cavità uterina, per distaccare la placenta dalla sua inserzione e quindi estrarla.

La placenta deve essere esaminata per vedere se è completa, dato che eventuali frammenti lasciati all’interno dell’utero possono provocare emorragie o infezioni tardive. Se la placenta non è stata rimossa completamente, la cavità uterina deve essere esplorata manualmente. Alcuni ostetrici preferiscono esplorare sistematicamente l’utero dopo ogni parto. Tuttavia, l’esplorazione è fastidiosa e non è raccomandata di routine. Immediatamente dopo l’espulsione della placenta, si somministra un farmaco ossitocico (10 UI di ossitocina IM o, se è in corso un’infusione EV, 10-20 mU/l) per agevolare una valida contrazione dell’utero. L’ossitocina non deve, però, essere somministrata sotto forma di un bolo EV, perché potrebbe causare un’aritmia cardiaca.

Dopo un’accurata ispezione per escludere o riparare eventuali lacerazioni della cervice o della vagina e assicurarsi che l’utero sia ben contratto e dopo aver eseguito l’episiorrafia, la paziente, se tutto è a posto, può essere portata nella stanza di degenza con il bambino. Molte madri desiderano iniziare ad allattare al seno a breve distanza dal parto e questo desiderio deve essere incoraggiato. La madre, il neonato e il padre devono stare insieme in un ambiente caldo e riservato per un’ora o più perché questa esperienza può rafforzare i legami emozionali tra genitori e figlio. Il neonato va, quindi, portato nel nido. La madre deve essere tenuta sotto controllo per circa un’ora, per rilevare la presenza di sanguinamenti o alterazioni della PA e per vegliare sul suo stato generale. Il periodo di tempo che va dalla espulsione della placenta a 4 ore dopo il parto è stato definito il quarto stadio del travaglio; la maggior parte delle complicanze, specialmente l’emorragia, si verifica in questa fase e il frequente controllo è obbligatorio.

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