18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA

251.GRAVIDANZA COMPLICATA DALLA MALATTIA

IPERTENSIONE

(V. anche Cap. 199 e Preeclampsia ed Eclampsia nel Cap. 252.)

Sommario:

Introduzione
Diagnosi e trattamento

Il trattamento dell’ipertensione durante la gravidanza è uno degli argomenti di terapia più controversi nella pratica ostetrica, nonostante la relativa frequenza di questa patologia (1,5-2%). Il punto controverso è se il trattamento dell’ipertensione lieve o moderata riduca la frequenza e la gravità delle complicanze e, nel caso lo faccia, se i farmaci usati per il trattamento possano rappresentare un pericolo per il feto.

Nel 1o trimestre, la mortalità può essere aumentata nelle pazienti che hanno una PA > 180/ 110 mm Hg o una clearance della creatinina < 60 ml/min o una creatininemia > 2 mg/dl (> 180 mmoli/l), o entrambe. La morte è dovuta all’encefalopatia ipertensiva o a un accidente cerebrovascolare, che possono essere secondari a una grave ipertensione indotta dalla gravidanza (con o senza eclampsia), all’insufficienza renale, all’insufficienza ventricolare sinistra o alla sindrome emolitico-uremica microangiopatica. Circa il 45% dei decessi dovuti all’eclampsia si verifica in pluripare attempate affette da una preesistente ipertensione, anche se più dell’80% delle eclampsie si verifica in giovani primigravide.

Il destino dei feti delle donne ipertese è direttamente correlato alla riduzione del flusso ematico effettivo del circolo utero-placentare. La morte fetale è generalmente dovuta a ipossia, spesso acuta e secondaria a un distacco placentare o a un vasospasmo, ed è generalmente preceduta da un ritardo di crescita intrauterino.

Il mantenimento della PA ai normali livelli della gravidanza dipende in ultima analisi dall’equilibrio tra la gittata cardiaca e le resistenze vascolari periferiche, entrambe significativamente alterate durante la gravidanza. La gittata cardiaca aumenta gradualmente del 30-50% per l’aumento sia della frequenza cardiaca che della gittata sistolica. Sebbene la renina e l’angiotensina circolanti aumentino significativamente nel 2o trimestre, la PA tende a scendere, indicando una riduzione nelle resistenze vascolari sistemiche. La riduzione è dovuta a una diminuzione della viscosità del sangue e della sensibilità vascolare all’angiotensina, determinata per lo più dalle prostaglandine vasodilatatrici. Lo sviluppo dello spazio intervilloso, che ha una bassa resistenza, riduce ulteriormente la PA.

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Diagnosi e trattamento

Quando si fa la diagnosi di ipertensione per la prima volta in gravidanza, si dovrebbe ricercare, se possibile, la causa specifica. Per l’ipertensione di recente insorgenza, scoperta prima della 28a sett. di gravidanza e non associata a gravidanze multiple o a una malattia trofoblastica, devono essere presi in considerazione gli esami per escludere una stenosi dell’arteria renale, una coartazione dell’aorta, una sindrome di Cushing, un LES e un feocromocitoma.

I farmaci antiipertensivi che sono efficaci e appropriati nelle pazienti non gravide possono danneggiare, direttamente o indirettamente, il feto. Poiché la circolazione placentare è massimamente dilatata ed è incapace di autoregolazione, un’incauta riduzione della PA materna fino all’ipotensione potrebbe essere molto pericolosa per il feto. I diuretici riducono la volemia effettiva materna e poiché la crescita fetale è direttamente correlata al volume ematico, una sua significativa riduzione aumenta i rischi per il feto.

Il farmaco di prima scelta per l’ipertensione in gravidanza è la metildopa. I farmaci di seconda scelta includono gli a- e i b-bloccanti, che sembrano essere efficaci come ausilio alla terapia di prima scelta, riducendo molti effetti avversi associati al trattamento con alti dosaggi.

Le pazienti con ipertensione lieve preesistente (da 140/90 a 150/100 mm Hg) devono interrompere la terapia antiipertensiva prima del concepimento o non appena la gravidanza viene confermata. Per le pazienti con una PA labile, una drastica riduzione dell’attività fisica sembra spesso ridurre la PA ed essere positiva per la crescita fetale. In queste pazienti, l’esito perinatale è generalmente simile a quello delle pazienti non ipertese. Tuttavia, una PA che non diminuisce nel 2o trimestre è un segno prognostico sfavorevole.

Nelle pazienti con ipertensione moderata preesistente (da 150/100 a 180/110 mm Hg), la terapia deve essere sostituita con la metildopa. La metildopa può essere iniziata con dosi di 250 mg PO bid, aumentabili a 2 g/die o più mentre la paziente è in osservazione, così da evitare l’insorgenza di una sonnolenza eccessiva, della depressione o di un’ipotensione ortostatica sintomatica. Queste pazienti devono essere istruite a controllare da sole la PA e devono eseguire mensilmente i test della funzionalità renale. L’ecografia deve esser eseguita per monitorare la crescita fetale. Gli esami per la valutazione della maturità del feto devono essere eseguiti precocemente e il feto va fatto nascere alla 38a sett. o anche prima.

Le pazienti con ipertensione grave preesistente ( 180/110 mm Hg) richiedono una valutazione immediata. Devono essere misurati i valori dell’azotemia, della creatininemia, della clearance della creatinina e della proteinuria totale e deve essere eseguito uno studio del fondo dell’occhio come base per poter consigliare la paziente. La prognosi è sfavorevole sia per la madre che per il feto. Se la prosecuzione della gravidanza è fortemente desiderata e considerata meritevole dei rischi, è spesso necessario aggiungere un farmaco antiipertensivo di secondo livello a- o b-bloccante (p. es., propanololo, 40 mg bid). Queste pazienti instabili, con feti a rischio, di solito necessitano del ricovero per la maggior parte del secondo periodo della gravidanza. Se le condizioni della paziente peggiorano, la gravidanza deve essere interrotta. Gli ACE-inibitori sono controindicati nel 2o e 3o trimestre.

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