20. MALATTIE DOVUTE AD AGENTI FISICI

276. USTIONI

L’esposizione a radiazioni, agenti termici, chimici o elettrici provoca danni tissutali che si manifestano con denaturazione delle proteine, edema a livello dell’ustione e riduzione del volume intravascolare, conseguente all’aumento della permeabilità dei vasi.

Sommario:

Introduzione
Sintomi e segni
Complicanze
Valutazione
Prognosi
Terapia


Le ustioni da calore possono essere provocate da qualsiasi fonte di calore esterna, in grado di innalzare la temperatura cutanea e quella dei tessuti profondi fino a determinare la morte cellulare, la coagulazione o la carbonizzazione delle proteine. Le cause più comuni sono rappresentate dal fuoco, da liquidi bollenti e da oggetti o gas surriscaldati che vengano a contatto con la cute. L’estensione e la profondità della lesione sono in funzione della quantità di energia ceduta dalla fonte di calore.

Le ustioni da agenti radianti nella maggior parte dei casi conseguono a esposizioni prolungate alle radiazioni solari ultraviolette (eritema solare), ma possono essere provocate anche da esposizioni prolungate o intense ad altre fonti di radiazione ultravioletta (p. es., lettini solari), a sorgenti di raggi x o ad altre radiazioni.

Le ustioni da agenti chimici possono essere provocate da acidi o basi forti, fenoli, cresoli, ipriti o fosforo. Ognuno di questi agenti possiede un effetto necrotizzante, che può estendersi lentamente nell’arco di molte ore.

Le ustioni da agenti elettrici sono imputabili al calore prodotto dall’elettricità, che può raggiungere i 5000°C (9032°F). Poiché gran parte della resistenza alle correnti elettriche si concentra nel punto in cui il conduttore viene a contatto con la cute, osserveremo la maggior parte delle ustioni a livello della cute e dei tessuti sottostanti; tali lesioni possono essere di qualsiasi dimensione e profondità (v. Cap. 277). La necrosi e le escare sono spesso più ampie e più profonde di quanto si possa rilevare a una prima osservazione delle lesioni. Il danno da elettricità, soprattutto se dovuto a correnti alternate, può provocare paralisi respiratoria immediata, fibrillazione ventricolare o entrambe queste condizioni (v. Cap. 206).

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Sintomi e segni

In rapporto alla profondità della lesione, le ustioni vengono classificate di primo, di secondo o di terzo grado. Le ustioni di primo grado si presentano con arrossamento della cute e iperestesia con la superficie che si schiarisce notevolmente se viene esercitata una lieve pressione e non si sviluppano vescicole.

Le ustioni di secondo grado possono presentare vescicole, con impianto da eritematoso a biancastro, con un essudato fibrinoso; sono anch’esse iperestesiche e possono schiarirsi alla digitopressione.

Le ustioni di terzo grado in genere non presentano vescicole. La superficie dell’ustione può essere biancastra e formare delle pieghe, possono presentarsi come aree nere, carbonizzate e simili al cuoio, o di colorito rosso vivo, per la presenza di Hb fissata nella regione sottodermica. Le ustioni di terzo grado che appaiono di colore chiaro possono essere scambiate per cute normale ma, in questo caso, i vasi sottocutanei non si schiariscono alla digitopressione. Nelle ustioni di terzo grado vi è di solito anestesia o ipoestesia, i peli dell’area interessata possono essere estirpati con facilità dai loro follicoli. Spesso, è possibile distinguere le ustioni di secondo grado profonde da quelle di terzo grado soltanto dopo che siano trascorsi 3-5 gg di osservazione.

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Complicanze

Le complicanze a livello sistemico (come lo shock ipovolemico e le infezioni) e i danni al tratto ventilatorio rappresentano un rischio di gran lunga maggiore rispetto agli effetti locali. Le infezioni, anche in presenza di ustioni di piccole dimensioni, costituiscono la causa principale di morte e la più importante causa di impotenza funzionale e di danno estetico, in particolare a livello delle mani e del viso. La vasocostrizione, provocando un’ipoperfusione periferica, specialmente nelle aree colpite dall’ustione, determina un abbassamento delle difese locali dell’ospite e favorisce l’invasione batterica. La presenza di tessuto necrotico, il calore, l’ipoperfusione periferica e l’umidità creano le condizioni ideali per la proliferazione batterica. Streptococchi e stafilococchi sono i germi che più spesso si riscontrano in prima istanza nelle ustioni, mentre i batteri gram - divengono prevalenti dopo 5-7 gg; inoltre, è sempre presente una flora batterica mista. L’esatta dinamica degli eventi nel corso dell’incidente, inclusi i materiali utilizzati per domare le fiamme, fornisce indizi importanti riguardanti l’estensione della contaminazione batterica e la probabilità di sviluppo di un’infezione a livello dell’ustione.

Il danno termico a carico delle basse vie respiratorie è causato comunemente dalla sola inalazione di vapori nei soggetti vigili ma, se lo stato di veglia è ridotto, può essere provocato anche dall’inalazione di gas a elevate temperature, che determinano un’immediata ostruzione delle vie aeree superiori. L’edema bronchiale può provocare un’ostruzione delle vie aeree superiori a insorgenza più lenta; il danno di natura chimica sui capillari alveolari delle piccole vie aeree, può portare a insufficienza respiratoria progressiva ritardata. L’inalazione di prodotti tossici (p. es., cianuro, aldeidi tossiche, monossido di carbonio) derivati dai materiali incendiati (p. es., legno, plastica) può provocare danni termici a livello del faringe e delle vie aeree superiori e, allo stesso modo, al tratto ventilatorio. Inoltre, il monossido di carbonio inalato si lega all’Hb, riducendo notevolmente il trasporto di O2.

La maggior parte delle aritmie cardiache negli ustionati viene provocata da ipovolemia, ipossia, acidosi o iperkaliemia, quindi prima di somministrare farmaci cardioattivi bisognerà correggere tali alterazioni metaboliche. Tachicardia e fibrillazione ventricolari rappresentano eccezioni che andranno trattate immediatamente, valutando nel contempo le eventuali anomalie metaboliche che possono averle causate. Per individuare tali anomalie andranno monitorati il ritmo cardiaco, la PA, la temperatura, l’ECG, l’emogasanalisi e l’HTC, in particolare negli anziani.

L’ipokaliemia è frequente nelle prime fasi del trattamento, come conseguenza di condizioni diverse:generalmente il K non viene generalmente somministrato nella fase iniziale di reintegrazione dei liquidi; le riserve di K nei pazienti che assumono diuretici possono essere deplete; una parte del K viene chelato dal nitrato d’argento presente nelle medicazioni in soluzione ipotonica allo 0,5%. Di conseguenza, il K sierico deve essere mantenuto > 4 mEq/l. Inoltre, il nitrato d’argento presente nella medicazione ha un’azione chelante anche nei riguardi del Na e del Cl, determinando talvolta iponatremia, ipocloremia e alcalosi ipocloremica gravi.

L’ipoalbuminemia è dovuta alla combinazione degli effetti di diluizione della terapia idrosalina e della perdita di proteine nel liquido edematoso al di sotto delle escare. Le infusioni di colloidi vanno protratte durante tutto il periodo del trattamento iniziale alla velocità che consenta di mantenere i livelli di albumina a circa 2,5 g/dl e le proteine totali > 5 g/dl. Poiché la maggior parte del Ca sierico è legato reversibilmente all’albumina, la comparsa di ipocalcemia potrà essere conseguenza dell’ipoalbuminemia. La frazione ionizzata del Ca sierico è di solito normale, ma la sua misurazione va comunque ripetuta periodicamente. Ogni giorno dovrebbero essere somministrate integrazioni di Ca, fosfati e Mg.

L’acidosi metabolica può derivare da una minore perfusione tissutale conseguenza dell’ipovolemia o dell’insufficienza cardiaca. La caduta del pH ematico a livelli < 7,2 va trattata con bicarbonato di sodio EV (v. Acidosi metabolica nel Cap. 12).

La vasocostrizione periferica, responsabile dell’ipoperfusione locale, è determinata da un’insufficiente reintegrazione di liquidi nelle prime fasi del trattamento. Un’escara o la presenza di una sindrome compartimentale possono provocare una ipoperfusione locale, che si potrà risolvere con l’escarotomia o la fasciotomia (v. oltre).

La mioglobinuria può essere conseguenza di ischemia muscolare, di lesioni da schiacciamento o di profonde ustioni termiche o elettriche del muscolo. Inizialmente, l’escrezione urinaria deve essere mantenuta a 100 ml/h negli adulti e > 1 ml/ kg/h nei bambini; si deve ottenere una diuresi osmotica, somministrando negli adulti mannitolo alla dose di 12,5 g EV q 4-8 h o anche più frequentemente, se necessario, fino a osservare la scomparsa della mioglobinuria. Negli adulti con mioglobinuria grave, è indicata l’alcalinizzazione dell’urina con 50 mEq di bicarbonato di sodio EV q 4-8 h secondo necessità, con monitoraggio frequente del pH sierico e urinario. L’obiettivo è raggiungere un pH urinario > 8. Il trattamento dell’emoglobinuria, che può conseguire a un’emolisi post-ustione, è identico a quello della mioglobinuria. In assenza di un trattamento accurato e sollecito, la mioglobinuria o l’emoglobinuria possono provocare necrosi dei tubuli renali.

L’ipotermia (v. Cap. 280) è piuttosto frequente nei grandi ustionati. I soggetti con temperatura rettale < 36°C vengono trattati col riscaldamento dei liquidi da trasfondere. Se la temperatura è < 33°C, il riscaldamento può favorire l’instaurarsi di aritmie fatali. Questo tipo di pazienti deve essere riportato a una temperatura adeguata molto lentamente e si devono monitorare in maniera continuativa l’ECG, la temperatura interna, gli elettroliti, i parametri vitali e le condizioni mentali.

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Valutazione

Anamnesi: le informazioni riguardanti l’evento ustionante si possono ottenere dal paziente, dal conducente dell’ambulanza, da un familiare che accompagna il paziente, da un suo collega di lavoro o dai poliziotti e dai pompieri che lo hanno soccorso. L’anamnesi deve comprendere la terapia farmacologica abituale; la presenza di patologie (p. es., allergie, malattie cardiache, polmonari o renali, diabete) o di disordini psichici (la lesione può essere il risultato di una violenza o di un tentativo di suicidio); nonché le abitudini voluttuarie (fumo, alcol e droghe). L’insieme costituito da tutti questi fattori interferisce con la capacità di risposta del paziente alla lesione.

Esame clinico: un esame fisico completo andrà eseguito prima dell’evoluzione delle ustioni (momento in cui sarebbe più difficile effettuare un corretto esame). L’area della superficie corporea (ASC) interessata dall’ustione deve essere calcolata in tutti i pazienti. Spesso l’altezza si può misurare immediatamente, mentre il peso, prima dell’incidente, può essere riferito da un familiare.

Le aree interessate vengono evidenziate su un diagramma per il calcolo della percentuale di superficie corporea ustionata (regola del nove). L’area della superficie ustionata (ASC %) si valuta nell’adulto applicando la regola del nove delle ustioni (v. Fig. 276-1A). Nei bambini, si può ottenere una valutazione più precisa della percentuale di ASC usando il diagramma di Lund-Browder (v. Fig. 276-1B). Si riporta inoltre sul diagramma anche la profondità della lesione (primo, secondo o terzo grado).

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Prognosi

Nelle ustioni superficiali, anche se non trattate, l’epidermide va incontro a una pronta rigenerazione a partire da elementi cellulari non lesionati, da follicoli piliferi e ghiandole sudoripare, con formazione di piccole cicatrici, tranne nel caso in cui si sviluppi un’infezione. Nelle ustioni profonde, in cui l’epidermide e buona parte del derma sono distrutti, la riepitelizzazione inizia dai margini della ferita, dai residui sparsi nei tegumenti o dalle rimanenti appendici dermiche. Il processo riparativo è lento e comprende la formazione di abbondante tessuto di granulazione, prima che l’epitelio ricopra l’area ustionata. Queste lesioni di solito si retraggono, producendo cicatrici sfiguranti e inabilitanti, a meno che non si provveda prontamente con interventi di chirurgia plastica. In alcuni individui si formano cicatrici di tipo cheloide, in particolare nei soggetti di razza nera.

Nelle ustioni profonde, in cui si osserva la distruzione di tutto il derma e dell’epidermide e in cui l’area interessata è troppo ampia per essere ricoperta dal tessuto riparativo (poiché il derma non è in grado di rigenerare), non si verifica una guarigione spontanea. Se non si effettua un’escissione, le escare si distaccano e cadono, in tempi variabili e al di sotto di queste residua una lesione sottostante irregolare.

I fattori di rischio per la sopravvivenza del paziente sono i seguenti: ustioni > 40% dell’ASC, età > 60 anni e presenza di lesioni da inalazione di vapori. Il tasso di mortalità è dello 0,3% in assenza di fattori di rischio, del 3% in presenza di uno, del 33% in presenza di due e circa dell’87% se si associano tutti i tre fattori di rischio sopraelencati.

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Terapia

Come indicazioni generali, si deve detergere accuratamente la ferita, asportando i detriti estranei e provvedere a una terapia antibiotica locale e/ o sistemica, in rapporto alla gravità dell’ustione. Può inoltre essere necessario immobilizzare e posizionare correttamente gli arti interessati dalla lesione, così come provvedere a un’adeguata terapia riabilitativa. Viene quindi stabilita una terapia domiciliare e il successivo follow-up ambulatoriale.

Circa l’85% dei pazienti presenta ustioni di piccola estensione, che richiedono soltanto terapia ambulatoriale. I criteri generali che identificano i pazienti da trattare ambulatorialmente sono i seguenti: ustioni di primo e di secondo grado superficiali con ASC < 10%; ustioni di secondo grado da lievi a profonde con ASC < 5%; ustioni di terzo grado con ASC < 1%, sempre che non vi siano danni da inalazione di vapori. Devono essere invece sottoposti a ricovero quei pazienti che presentino ustioni più estese o ustioni molto piccole ma profonde, delle mani, del viso, dei piedi e della regione perineale, perché in tali sedi un’infezione anche di lieve entità può determinare una grave menomazione estetica e funzionale. Un paziente, che venga inizialmente trattato ambulatorialmente, dovrà essere ricoverato nel caso in cui la lesione non guarisse spontaneamente nel giro di 3 sett. Il ricovero potrebbe inoltre essere necessario qualora si abbia il sospetto che il paziente non osservi con cura le prescrizioni, non rinnovi le medicazioni o non segua le indicazioni del medico, oppure se ha meno di 2 o più di 60 anni.

Trattamento dell’emergenza: il primo intervento da eseguire sul luogo dell’incidente su una vittima di una lesione termica, chimica o elettrica deve essere l’allontanamento immediato dall’agente ustionante e la rimozione di tutti gli indumenti, in particolare in presenza di materiale carbonizzato (p. es., vestiti sintetici con segni di bruciatura o tessuti impregnati di catrame fuso). Si dovranno inoltre rimuovere dalla cute gli agenti chimici, gli acidi, le basi o i composti organici (p. es., fenoli o cresoli), causa delle ustioni, per mezzo di abbondanti, prolungate e ininterrotte abluzioni con acqua. Le parti ustionate da fosforo vanno immerse immediatamente in acqua, per evitare il contatto con l’aria. Le particelle di fosforo devono essere rimosse delicatamente facendo scorrere l’acqua; la ferita verrà poi lavata con una soluzione di solfato di rame all’1%, perché in questo modo gli eventuali residui di fosforo verranno ricoperti da una pellicola protettiva di fosfuro di rame (queste sostanze, essendo fluorescenti, si potranno facilmente asportare in una camera buia). Tuttavia, deve essere evitato l’eccessivo assorbimento di rame.

In un reparto per grandi ustionati, il trattamento d’urgenza deve essere improntato a ristabilire un’adeguata ventilazione, arginare il progredire delle lesioni ustionanti, reintegrare i liquidi perduti (plasma), riconoscere e trattare i principali traumi associati, che possono mettere a repentaglio la vita del paziente, diagnosticare le anomalie metaboliche, valutare l’eventuale esistenza di un’infezione batterica da contaminazione, avvenuta precedentemente il ricovero e prevenire successive contaminazioni batteriche.

Terapia topica dell’ustione: le piccole ustioni devono essere immerse immediatamente in acqua fredda, se possibile. La ferita deve essere pulita con acqua e sapone rimuovendo accuratamente tutti i detriti. Per rimuovere i frammenti di materiale estraneo adesi in profondità, si può eseguire un’infiltrazione locale di lidocaina all’1 o al 2% e raschiare la lesione con uno spazzolino a setole rigide e sapone.

Le vescicole, se rotte o in procinto di rompersi, devono essere immediatamente rimosse. Se non è nota la profondità dell’ustione, si procederà alla rimozione delle vescicole e all’esame della base della lesione, per determinare se questa è a pieno spessore.

La superficie ustionata, dopo detersione e rispettando le condizioni di asepsi, viene trattata con idonei preparati per uso locale e infine con bendaggi sterili. I preparati topici antibatterici comunemente impiegati contengono una soluzione di nitrato d’argento allo 0,5%, acetato di mafenide e sulfadiazina argentica all’1%. Dopo aver ricoperto le lesioni anche con otto strati di benda cotonata, si versa la soluzione di nitrato d’argento sulla benda q 2 h. Questa procedura permette al bendaggio di rimanere umido e di mantenere la concentrazione di nitrato d’argento sulla pelle a circa lo 0,5%. Probabilmente una concentrazione inferiore non esplica azione battericida, mentre una concentrazione più alta, quale può realizzarsi in caso di evaporazione, può ustionare ulteriormente la pelle. Se il nitrato d’argento viene applicato su una lesione molto ampia può esplicare un’azione fortemente chelante sul Na, sul Cl e sul K a livello del bendaggio, favorendo l’instaurarsi di ipokaliemia, ipocloremia, alcalosi o metaemoglobinuria. Sia il mafenide acetato che la sulfadiazina argentica in forma di pomata vengono applicati direttamente sulla lesione in un unico strato e possono essere successivamente ricoperti da alcuni strati di benda cotonata; prima di applicare un nuovo bendaggio, si devono rimuovere i residui della pomata applicata precedentemente. La pomata all’acetato di mafenide inibisce l’attività dell’anidrasi carbonica e può produrre acidosi metabolica compensata nonché, talora, acidosi renale tubulare prossimale. La sulfadiazina argentica va usata con cautela in pazienti con sensibilità ai sulfamidici, può inoltre essere causa di alterazioni del quadro ematologico.

Farmaci: in caso di ustioni di lieve entità, l’analgesia può essere indotta con l’uso di narcotici orali (p. es., codeina), associando o meno un FANS o aspirina. Nel caso di ustioni gravi, è necessario di solito ricorrere alla somministrazione di narcotici EV (p. es., morfina, meperidina). Una dose di richiamo di anatossina tetanica, 0,5-1,0 ml SC o IM, verrà somministrata agli individui vaccinati negli ultimi 4-5 anni, mentre a tutti gli altri si somministreranno immunoglobuline antitetaniche 250 UI IM (da ripetersi se necessario q 6 sett.), avviando anche il protocollo di vaccinazione antitetanica attiva.

Trattamento respiratorio: in presenza di lesioni termiche molto importanti, il trattamento prevede la somministrazione di O2 supplementare, per innalzarne la percentuale nel sangue e per spiazzare le molecole di monossido di carbonio dal loro legame con l’Hb. Una ventilazione inadeguata viene trattata con l’intubazione (di preferenza per via nasotracheale) e con la ventilazione meccanica. Le indicazioni assolute all’intubazione sono le seguenti: respirazione frequente e superficiale con tachipnea a 30-40 atti respiratori/min; bradipnea < 8-10 atti respiratori/min; ostruzione meccanica delle vie aeree dovuta a edema, traumi o laringospasmo; segni di insufficienza respiratoria con pH arterioso < 7,2, PO< 60 mm Hg o Pco> 50 mm Hg. Le indicazioni relative all’intubazione includono: esplosioni o incendi in ambienti chiusi; presenza di peli nasali bruciati o di mucose buccali ustionate; eritema del palato; presenza di fuliggine nella bocca, nella laringe o nell’escreato; edema con ustioni del volto o del collo; presenza di segni di sofferenza respiratoria (p. es., ostruzione nasale, rumori respiratori aspri o stridenti, ansia, agitazione, atteggiamento aggressivo da parte del paziente).

Iniziale reintegrazione dei liquidi: è vitale un intervento terapeutico immediato, la pronta reintegrazione dei liquidi previene la vasocostrizione e l’ipoperfusione periferica, mantenendo efficaci le difese locali dell’ospite. Prima di iniziare il trattamento medico, si può somministrare una soluzione colloidale, p. es., plasma fresco congelato (che contiene sostanze ad azione antibatterica, compresi gli anticorpi), che impedisce a livello dell’ustione l’invasione da parte di microrganismi contaminanti.

Quando si sospetta la comparsa di uno shock (come potrebbe avvenire in tutte le ustioni di terzo e in quelle di secondo grado > 10% ASC) o quando l’HTC presenta dei valori superiori alla norma, la reintegrazione dei liquidi dovrebbe essere iniziata immediatamente, introducendo un’agocannula di calibro 14-16 gauge in una o due vene periferiche (v. Procedure invasive nel Cap. 198). Anche se inizialmente potrebbe non essere necessario inserire un catetere venoso centrale, si tenga presente che il successivo edema lesionale e perilesionale potrebbe rendere la manovra difficoltosa, quindi l’ideale sarebbe eseguire il più precocemente possibile tale manovra. Se necessario, si potranno introdurre cateteri centrali o periferici attraverso le escare. Bisogna evitare l’effetto di laccio emostatico multiplo, che può distruggere la vena e comportare un grave rischio di infezione, sarà inoltre opportuno eseguire un prelievo di sangue per determinare i valori dell’Hb e dell’HTC, oltre alla tipizzazione sanguigna e alle prove crociate.

La terapia infusionale d’emergenza consiste nella somministrazione della soluzione contenente sodio più prontamente disponibile, iniettata EV, cui segue di solito la somministrazione di una soluzione colloidale (p. es., plasma fresco congelato, albumina), quando disponibile. Tale infusione di colloidi dipende dall’estensione, profondità e sede delle ustioni, dall’età del paziente e dalle patologie concomitanti. È necessaria una pronta somministrazione di soluzioni colloidali in quei pazienti che presentino ustioni di media o ampia estensione, che siano molto giovani o anziani, che presentino ustioni profonde delle mani, del viso o della regione perineale, che soffrano di patologie cardiache o in quei pazienti il cui HTC sia aumentato, essendo quest’ultimo parametro indicativo di un’imminente ipovolemia post-ustione. Nel caso in cui la reintegrazione dei liquidi venga ritardata > 2 h dopo l’evento ustionante, si dovrà eseguire l’infusione di colloidi non appena questi siano disponibili.

Il volume di liquido che è necessario reintegrare è direttamente correlato all’estensione e alla profondità delle ustioni. Inizialmente, si può calcolare la velocità di infusione, utilizzando la regola del nove o lo schema di Lund-Browder, dopo aver eseguito un breve esame obiettivo e una valutazione dell’estensione dell’ustione. Solitamente, sono necessari da 2 a 4 ml/kg/% ASC di soluzione idrosalina EV nelle 24 h successive alla lesione. L’aggiunta di colloidi, di solito, riduce il volume di soluzione idrosalina necessaria.

Correzione della terapia infusionale: dal momento che il volume e la velocità di infusione corretti dei liquidi dipenderanno dalla risposta dei singoli pazienti alla terapia idrosalina, l’aggiustamento della reintegrazione idrica sarà basato su un accurato monitoraggio del paziente. L’obiettivo è quello di mantenere la PA e l’HTC a livelli adeguati e l’escrezione urinaria maggiore di 50-100 ml/h (0,5-1 ml/kg/h) nell’adulto o di 1 ml/kg/h nel bambino, senza sovraccaricare il circolo. Nelle prime 72 h, l’Hb va misurata q 3-4 h e la terapia verrà regolata per mantenerla tra valori compresi tra 11 e 16 g/dl, mentre l’ematocrito dovrà essere mantenuto tra il 30 e il 45%. I pazienti che, malgrado l’abbondante somministrazione di soluzioni idrosaline, presentino un’escrezione urinaria insufficiente, spesso rispondono positivamente a un aumento della somministrazione di liquidi cui sono aggiunti colloidi.

Raramente i protocolli prestabiliti si dimostrano efficaci per l’intero periodo di trattamento intensivo, le formule devono quindi essere usate soltanto come riferimento. Una formula generale per le prime 24 h è: 0,5 ml/kg/% ASC di colloide e 1,5 ml/kg/% ASC di Ringer lattato, cui si associa una soluzione di 100 ml/h di Ringer lattato come mantenimento. Un quarto della terapia infusionale viene somministrato nelle prime 4 h, 1/ 4 nelle seconde 4 h, 1/4 nelle successive 8 h e l’ultimo 1/4 nelle 8 h finali, iniziando la somministrazione dal momento dell’incidente e non dal momento dell’arrivo nel reparto di terapia intensiva, questo perché può verificarsi lo stravaso di notevoli quantità di liquidi verso i tessuti, con conseguente instaurarsi di shock immediatamente dopo l’incidente.

Per esempio, nel caso di un uomo di 70 kg di peso, che presenta il 40% dell’ASC ustionata, si somministrano, nel corso delle prime 24 h, 1400 ml di colloidi, 4200 ml di soluzione di Ringer lattato e 2400 ml di ulteriore soluzione di Ringer lattato di mantenimento, per un totale di 8000 ml di liquidi. Un quarto della quantità totale (350 ml di colloidi, 1050 ml di Ringer lattato e 100 ml/h di Ringer lattato di mantenimento) viene somministrato nelle prime 4 h, il secondo quarto nelle successive 4 h, il terzo quarto nelle successive 8 h e l’ultimo nelle ulteriori 8 h finali. Se il paziente viene ricoverato immediatamente dopo l’incidente, i risultati degli esami ematochimici (con una stima approssimata) permetteranno di stabilire il tipo e la quantità di soluzioni da somministrare EV: nelle prime 8 h, plasma fresco congelato a 87,5 ml/h e Ringer lattato a 360 ml/h, nelle 16 h successive, plasma fresco congelato a 45 ml/h e Ringer lattato a 220 ml/h.

Allo scopo di individuare se la reintegrazione dei liquidi è insufficiente o eccessiva e quindi prevenire eventuali complicanze, è necessario monitorare accuratamente molti parametri ed è di notevole utilità l’uso di un diagramma di flusso, che permette di evidenziare le variazioni dei parametri trattati precedentemente. Se la reintegrazione è insufficiente, si noteranno una diminuzione dell’escrezione urinaria, un aumento dell’HTC e i sintomi dello shock. Per monitorare l’escrezione urinaria si dovrà applicare un catetere di Foley a permanenza. Se la reintegrazione è eccessiva (potendo causare edema polmonare e insufficienza cardiaca) si noteranno un aumento della frequenza cardiaca, degli atti respiratori e della PA, turgore delle vene del collo e un aumento della pressione venosa centrale. Le basi polmonari andranno auscultate di frequente per rilevare eventuali rantoli.

Nei pazienti con pregresse patologie cardiovascolari-renali, si dovrà limitare la somministrazione dei liquidi, degli elettroliti e dei colloidi alle quantità strettamente necessarie al raggiungimento di un’escrezione urinaria minima (25 ml/h) e il paziente dovrà essere posto sotto osservazione per rilevare eventuali segni di sovraccarico circolatorio.

Prevenzione delle infezioni delle ustioni: immediatamente dopo l’incidente si deve iniziare una terapia preventiva efficace e continuarla rigorosamente fino alla guarigione della lesione. Gli antibatterici per uso topico vengono utilizzati per mantenere la normale omeostasi e per prevenire la successiva colonizzazione batterica della ferita.

Nei pazienti con ustioni di secondo o terzo grado viene spesso somministrata penicillina V, da 1 a 2 g/die PO in 4 dosi frazionate nell’arco dei primissimi giorni, come profilassi nei confronti della cellulite streptococcica, una rara infezione potenzialmente letale (dovuta allo b-streptococco emolitico). Nei pazienti allergici alla penicillina si può somministrare eritromicina da 1 a 2 g/ die PO in 4 dosi frazionate. In caso di ustioni estese, come profilassi contro la cellulite streptococcica, si somministrano 5 milioni UI/die di penicillina G IM o EV per 3 gg. La somministrazione di altri antibiotici, utilizzati di routine, per evitare lo sviluppo di una resistenza batterica non è generalmente raccomandata.

Nutrizione: nei pazienti con ustioni > 20% della ASC, con malnutrizione precedente l’evento ustionante, con complicanze quali sepsi o traumi associati (p. es., fratture) o con perdita di peso > 10%, è opportuno praticare un sostegno nutrizionale aggressivo. Le ultime tre condizioni sono associate a un’aumentata mortalità.

Il sostegno nutrizionale (v. Cap. 1) viene iniziato 1-2 gg dopo la fase di reintegrazione idrosalina. Viene preferita la somministrazione di alimenti per via orale perché presenta minori complicanze e costi inferiori, tuttavia, l’anoressia, le ustioni del volto o la disfagia possono renderla difficile o impossibile. Se l’alimentazione per via orale è insufficiente, ma la motilità e l’assorbimento gastrointestinale sono normali, si ricorrerà alla via enterale con l’uso di un sondino, per assicurare un’alimentazione supplementare o esclusiva. La nutrizione parenterale è indicata, invece, nei pazienti con occlusione gastrica o colica prolungate, correlate alle ustioni, a interventi chirurgici ripetuti o a sepsi. Le complicanze sono più probabili con la nutrizione parenterale che con quella enterale.

Trattamento chirurgico: le escare, nelle ustioni di terzo grado che interessino l’intera circonferenza di un arto, possono rendere necessaria l’escarotomia, p. es., nel caso in cui un polso precedentemente palpabile non venga più percepito o quando vi sia la mancanza del polso in un solo arto mentre gli altri sono normosfigmici. Quando un arto è più freddo degli altri e presenta un lungo tempo di riempimento capillare si pone il sospetto di ischemia periferica; l’esame Doppler confermerà l’eventuale diagnosi di ischemia. Bisogna considerare che, qualora si sospetti un’ischemia periferica, può comunque essere presente un’escara con azione comprimente, anche quando all’esame Doppler i polsi risultino presenti. Nelle lesioni cutanee che non interessino i tessuti profondi, l’incisione escarotomica riguarderà soltanto lo spessore del derma, escludendo l’ipoderma e il tessuto sottocutaneo. Per assicurare una liberazione completa, l’incisione coinvolgerà uno spessore ben superiore a quello della sola escara tesa. In alcune escare, apparentemente a tutto spessore, resta presente la sensazione dolorifica, cosicché anche l’incisione per arrecare sollievo alla regione interessata risulterà dolorosa e in questi casi è efficace un’anestesia con lidocaina all’1%.

Le ustioni di secondo grado profonde e tutte quelle di terzo grado devono essere trattate in maniera sollecita, con l’escissione chirurgica o con la rimozione dell’escara, meglio se eseguite entro i primi 4 gg dall’ustione. L’escissione permette di rimuovere il tessuto devitalizzato, di evitare la sepsi al di sotto dell’escara e di ottenere una chiusura precoce della ferita, riducendo la durata del ricovero e migliorando il risultato funzionale. Le aree che non sono andate incontro a guarigione entro le 3 sett. richiedono l’escissione completa. L’ordine da seguire nel trattare le lesioni è funzione di alcune condizioni: se il danno è molto esteso e la sopravvivenza del paziente è a rischio, si devono rimuovere per prime le aree colpite più ampie, in modo da ridurre rapidamente il numero di ustioni aperte; le regioni corporee da trattare per prime e che rispondono bene agli innesti cutanei sono la schiena, il torace e l’addome; non si deve asportare, in una sola seduta, più del 30% dell’ASC, comprendendo anche le sedi di prelievo; quando invece l’escissione non è praticata in funzione della sopravvivenza del paziente ma a scopo estetico o di ottimizzazione del risultato funzionale, le escare vanno escisse secondo uno specifico ordine, dapprima a livello delle mani, successivamente degli arti superiori e infine a livello dei piedi e degli arti inferiori. Generalmente, le escare sul volto vanno operate in maniera conservativa, risparmiando quanto più tessuto molle è possibile; si raccomanda una rapida escissione delle escare presenti sul volto.

Dopo l’escissione, il letto lesionale richiede la copertura per mezzo di un innesto. Gli innesti possono essere rappresentati da autotrapianti (cute dello stesso paziente); allotrapianti (cute vitale prelevata solitamente da cadaveri); o xenotrapianti (cute di origine suina). Gli autotrapianti, che sono di tipo permanente, si possono trapiantare sotto forma di lembo continuo (un lembo cutaneo intero) o di innesti a scacchiera (uno strato di cute del donatore in cui vengono praticate piccole incisioni a intervalli regolari con un apposito strumento, permettendo quindi al trapianto di ricoprire un’area più ampia). Gli innesti a scacchiera si impiegano quando c’è scarsità di cute disponibile, ma non per ustioni con superficie < 20% dell’ASC. Tali innesti rimarginano con una superficie irregolare simile a un reticolo, a volte con una eccessiva reazione ipertrofica fibrosa. Di solito, nelle ustioni profonde, che interessano più del 40% della ASC, non è reperibile sufficiente materiale per eseguire autotrapianti, tuttavia, la cute può essere prelevata a più riprese dalla stessa sede, a intervalli di circa 14 gg, aumentando così le possibilità supplementari di autotrapianto. Gli allotrapianti e gli xenotrapianti sono invece temporanei e possono essere rigettati precocemente nell’arco di 10-14 gg, e devono quindi essere sostituiti con autoinnesti. Sono comunque indispensabili in quei pazienti che presentino ustioni massive, perché possono salvare loro la vita. Una valida alternativa è rappresentata dal sistema di reintegro cutaneo che utilizza uno stampo di rigenerazione artificiale del derma, lo stampo viene biodegradato nel momento in cui determina la formazione di un tessuto cutaneo completamente nuovo (definito neoderma), generato dagli elementi cellulari del paziente; il neoderma è un tessuto permanente.

Terapia fisica: è importante ricorrere precocemente alla fisioterapia. L’assunzione di posture corrette, le fasciature immobilizzanti, l’esercizio e gli indumenti compressivi possono aiutare a conservare la funzionalità della parte e a migliorarne l’aspetto estetico. Le superfici cutanee soggette ai movimenti e alle tensioni maggiori (p. es., viso, mani, articolazioni, cosce, torace) sono quelle che più spesso vanno incontro alla formazione di cicatrici e di contratture.

La manovra terapeutica più importante è l’elevazione degli arti, specialmente nei pazienti con ustioni delle gambe o delle mani, l’arto deve essere sempre mantenuto al di sopra del livello del cuore, tranne che per brevi periodi  20 min nell’arco dell’intera giornata. In caso di ustioni a carico degli arti inferiori è frequentemente necessaria l’ospedalizzazione, perché i pazienti non ricoverati hanno difficoltà a mantenere il riposo a letto con l’arto in posizione antideclive.

In presenza di ustioni di secondo o terzo grado che colpiscano un’articolazione è necessario eseguire la fasciatura della parte. Ogni singolo dito viene fasciato con garza cotonata, che viene incrociata a forma di 8 sulla mano e sul polso. Si porrà inoltre un’ulteriore imbottitura sul palmo, per mantenere in leggera flessione le articolazioni metacarpofalangee e interfalangee. Polso e gomito possono essere fasciati utilizzando un bendaggio a braccio sospeso. Nei pazienti ambulatoriali, al contrario, gli arti inferiori non vengono solitamente sottoposti a bendaggio immobilizzante.

Nelle ustioni estese, le fasciature immobilizzanti, confezionate allo scopo di mantenere le articolazioni in posizioni funzionali, devono essere applicate il più presto possibile in modo corretto, e controllate spesso nei primi periodi del trattamento, per evitare un’eccessiva costrizione delle estremità che potrebbe aggravare l’edema. Quando l’edema si riduce, è necessario stringere le fasciature per renderle più aderenti; queste dovranno essere mantenute fino al momento in cui la zona non venga ricoperta da innesti cutanei e non mostri segni di evidente guarigione. Durante tutto il periodo di convalescenza, le articolazioni vengono mantenute in posizioni funzionali, utilizzando fasciature e sostegni.

Prima di eseguire il trapianto cutaneo, bisogna sottoporre le articolazioni a cinesiterapia attiva e passiva, una o due volte al giorno, per mantenerne la funzionalità. Gli esercizi e la corretta postura divengono più agevoli quando l’edema regredisce. Dopo aver trapiantato i lembi cutanei, la parte interessata va tenuta immobile per 5-10 gg, cosicché la cute trapiantata possa stabilizzarsi, prima dell’inizio degli esercizi postoperatori.

Follow-up: al paziente si dovrà raccomandare di mantenere la ferita pulita e asciutta, di tenere la parte lesa sollevata, di cambiare la medicazione 2 volte/die secondo le istruzioni, di detergere completamente la ferita con acqua, per rimuovere tutti i residui dei farmaci precedentemente applicati, prima di applicarne un nuovo strato, di seguire la terapia antibiotica prescritta e di presentarsi alle successive visite di controllo. Le visite di controllo devono essere effettuate particolarmente nei pazienti ambulatoriali allo scopo di: verificare l’efficacia delle medicazioni locali; pulire le parti necrotiche della ferita; prevenire la cellulite; accertare la profondità dell’ustione; valutare la necessità di terapia ambulatoriale, occupazionale e fisica ed eventualmente organizzarla, nonché stabilire l’eventuale necessità di una terapia escissionale. Nelle ustioni meno gravi, la prima visita di controllo si esegue di solito 24-48 h dopo l’evento ustionante, le visite successive vengono fissate q 24-72 h, a seconda della gravità e della profondità delle lesioni e della capacità del paziente nel prestare a esse le cure dovute.

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