20. MALATTIE DOVUTE AD AGENTI FISICI

278. REAZIONI E LESIONI CAUSATE DA RADIAZIONI

Danni acuti, ritardati o cronici dei tessuti prodotti dall’esposizione a radiazioni ionizzanti.

Sommario:

Introduzione
Fisiopatologia
Sintomi e segni
Diagnosi e prognosi
Profilassi
Terapia


Le radiazioni ionizzanti (p. es., raggi x, neutroni, protoni, particelle a o b, raggi g) possono provocare un danno tissutale in maniera diretta o, tramite reazioni secondarie, indiretta. Alte dosi di radiazioni possono provocare effetti somatici, osservabili nell’arco di qualche giorno. Negli anni successivi, le mutazioni verificatesi a livello del DNA, per esposizioni a basse dosi, possono provocare patologie croniche nei soggetti esposti o difetti genetici nella loro progenie. La valutazione dei rapporti tra il livello di lesioni provocate e la morte o la sopravvivenza di una singola cellula è complessa.

Le fonti di radiazioni ionizzanti nocive comprendono i raggi x a elevata energia, utilizzati in campo diagnostico e terapeutico, il radio e altri composti radioattivi presenti in natura (p. es., il radon), i reattori nucleari, i ciclotroni, gli acceleratori lineari, i sincrotroni a gradiente alternato, le sorgenti sigillate di cobalto e cesio per la terapia del cancro e numerosi altri composti radioattivi, prodotti artificialmente, utilizzati in campo medico e industriale.

Si sono verificate fuoriuscite accidentali di notevoli quantità di radiazioni da reattori nucleari, come nel caso dei tristemente noti incidenti di Three Mile Island in Pennsylvania (USA) nel 1979 e di Chernobyl in Ucraina nel 1986. Quest’ultimo disastro ha provocato più di 30 morti oltre a numerosi danni da radiazioni; in quasi tutta l’Europa orientale e in parte dell’Europa occidentale, dell’Asia e degli USA, sono stati rilevati livelli di radioattività significativamente elevati.

Le unità di misura comunemente usate sono il roentgen, il gray e il sievert. Il roengten (R) è la quantità di radiazioni ionizzanti x o g presenti nell’atmosfera. Il gray (Gy) è la quantità di energia assorbita per unità di massa da un tessuto o da una sostanza e viene usato come unità di misura per tutti i tipi di radiazione. Il R e il centigray (cGy) sono praticamente equivalenti. Il sievert (Sv) equivale al Gy corretto in funzione di un fattore di qualità, in modo da tenere conto dell’effetto biologico, il suo utilizzo è dovuto al fatto che radiazioni di diverso tipo inducono effetti biologici differenti, a seconda della quantità di energia somministrata; p. es., i neutroni hanno l’effetto biologico più elevato. Per le radiazioni x e g il Sv equivale al Gy. Il rad e il rem sono stati sostituiti dal Gy e dal Sv (Gy = 100 rad; Sv = 100 rem) nella nomenclatura attuale. Le radiazioni sono comunemente definite di basso livello (da 0,2 a 0,3 Gy) o di alto livello (> 0,3 Gy). Le dosi impiegate in campo medico sono di solito < 0,05 Gy e spesso < 0,01 Gy. I bassi livelli della radioattività di fondo della terra e dell’atmosfera terrestre non determinano effetti rilevabili (v. Tab. 278-1).

Gli effetti somatici o genetici sono in funzione di numerosi fattori, tra i quali la dose totale e il rateo di dose (dose/unità di tempo). La probabilità che si verifichino effetti misurabili aumenta all’aumentare della dose totale o del rateo di dose. Mentre una singola dose di diversi Gy può produrre un effetto osservabile, la stessa dose impartita nell’arco di settimane o mesi può essere tollerata con effetti acuti appena misurabili.

Gli effetti delle radiazioni dipendono inoltre dall’estensione della superficie corporea esposta. L’intero corpo umano può probabilmente assorbire una singola dose fino a 2 Gy, senza effetti letali; tuttavia, man mano che la dose al corpo intero si avvicina a 4,5 Gy, la percentuale di mortalità si avvicina al 50% (dose letale [DL]50), mentre una dose al corpo intero > 6 Gy, impartita in un tempo molto breve, è quasi certamente fatale. Al contrario, possono essere tollerate decine di Gy quando impartite nell’arco di un lungo periodo di tempo su di una limitata superficie tissutale (p. es., nella terapia oncologica).

È importante anche la distribuzione della dose all’interno del corpo. Generalmente, quanto più rapido è il turnover delle cellule, tanto maggiore è la loro sensibilità alle radiazioni. Gli elementi cellulari più sensibili sono i linfociti seguiti, in ordine decrescente, da: i gameti, le cellule staminali del midollo osseo, le cellule dell’epitelio intestinale, l’epidermide, gli epatociti, l’epitelio alveolare e dei dotti biliari, le cellule epiteliali renali, le cellule endoteliali (pleura e peritoneo), le cellule nervose, gli osteociti e le cellule muscolari e connettivali. In corso di terapia radiante, le aree vulnerabili (p. es., l’intestino, il midollo osseo) vengono schermate, allo scopo di somministrare dosi elevate al corpo intero, che altrimenti sarebbero fatali.

Inizio Pagina

Fisiopatologia

La necrosi cellulare avviene a dosi sufficientemente alte. Dosi elevate, ma non letali, provocano disturbi della proliferazione cellulare: la percentuale delle mitosi diminuisce e viene rallentata la sintesi del DNA, le cellule divengono poliploidi. Nei tessuti che normalmente sono sottoposti a rinnovamento continuo (p. es., la mucosa enterica, il midollo, le gonadi), le radiazioni provocano una progressiva ipoplasia dose-dipendente, un’atrofia e infine una fibrosi. Alcune cellule lese, ma ancora capaci di mitosi, possono passare attraverso uno o due cicli rigenerativi producendo, prima di morire, una progenie abnorme (p. es., metamielociti giganti, neutrofili ipersegmentati).

Gli effetti somatici e genetici di dosi < 100 mGy sono stimati, di solito, attraverso estrapolazioni lineari di studi riguardanti dosi più elevate, perché sono tuttora scarsi i dati oggettivi disponibili riguardanti gli effetti di dosi molto basse. Alcuni ricercatori sostengono l’esistenza di un effetto soglia, che non è stato ancora del tutto compreso. Sono stati riportati studi in cui animali, sottoposti a livelli estremamente bassi di radiazioni aggiuntive, presentavano una sopravvivenza maggiore rispetto ad animali esposti alla sola radiazione naturale di fondo.

Inizio Pagina

Sintomi e segni

Sindromi da irradiazione acuta: si dividono in cerebrali, gastrointestinali ed ematopoietiche, a seconda della dose, del rateo, dell’area del corpo interessata e del tempo decorso dall’esposizione.

La sindrome cerebrale, prodotta da dosi di radiazioni al corpo intero estremamente alte (> 30 Gy), è sempre fatale. Consiste in tre fasi: un periodo prodromico di nausea e vomito; svogliatezza e sonnolenza, che va dall’apatia alla prostrazione (probabilmente dovute a un focolaio infiammatorio cerebrale non batterico o agli effetti di sostanze tossiche prodotte dalle radiazioni); tremori, convulsioni, atassia e morte nello spazio di alcune ore o di pochi giorni.

La sindrome GI, indotta da dosi al corpo intero  4 Gy, è caratterizzata da nausea intrattabile, vomito e diarrea, che portano a grave disidratazione, diminuzione del volume plasmatico e collasso vascolare. Tale sindrome è il risultato della necrosi tissutale ed è perpetuata dalla progressiva atrofia della mucosa; può inoltre sopravvenire una batteriemia, conseguente alla necrosi intestinale. Alla fine i villi intestinali sono privi di rivestimento epiteliale e si verificano perdite massive di plasma all’interno dell’intestino. Le cellule epiteliali GI possono rigenerare dopo 4-6 giorni se si interviene con una reintegrazione massiva di plasma; gli antibiotici possono mantenere in vita i pazienti durante questo periodo. Tuttavia, nell’arco di 2 o 3 sett. si instaura un’insufficienza ematopoietica che è generalmente fatale.

La sindrome ematopoietica, provocata da dosi al corpo intero da 2 a 10 Gy, inizialmente provoca anoressia, apatia, nausea e vomito. Questi sintomi raggiungono la massima intensità in 6-12 h, scomparendo completamente 24-36 h dopo l’esposizione; tuttavia, durante questo periodo di relativo benessere, i linfonodi, la milza e il midollo osseo cominciano ad atrofizzarsi fino a un quadro di pancitopenia. L’atrofia è il risultato della distruzione diretta di cellule radiosensibili e dell’inibizione della produzione di nuove. Nel sangue periferico, la linfopenia si sviluppa immediatamente raggiungendo il suo valore massimo entro 24-36 h, mentre la neutropenia si sviluppa più lentamente; entro 3 o 4 sett. anche la piastrinopenia diviene evidente.

Nella sindrome ematopoietica, aumenta la suscettibilità alle infezioni (sia da saprofiti che da patogeni), le cui cause sono da ricercare in una diminuzione dose-dipendente di granulociti e linfociti circolanti, un danno dose-dipendente nella produzione di Ac, un’alterazione della migrazione dei granulociti e della fagocitosi, una diminuita capacità da parte del sistema reticolo- endoteliale di sopprimere i batteri fagocitati, una diminuita resistenza alla diffusione batterica nei tessuti sottocutanei e lo sviluppo di aree emorragiche a livello della cute e dell’intestino (causate principalmente dalla trombocitopenia), che favoriscono la penetrazione e la crescita di batteri.

Malattia da irradiazione acuta: questa sindrome si verifica in una piccola percentuale di pazienti sottoposti a terapia radiante (particolarmente a livello dell’addome). La causa non è ancora stata compresa. Generalmente compaiono nausea, vomito, diarrea, anoressia, cefalea, malessere e tachicardia di varia gravità che si attenuano nel giro di poche ore o giorni.

Effetti tardivi a medio termine: esposizioni prolungate o ripetute a basso rateo di dose, da sorgenti impiantate all’interno del corpo o da fonti esterne di radiazioni, possono provocare amenorrea e diminuzione della libido nelle donne, diminuita fertilità, anemia, leucopenia, trombocitopenia e cataratte in entrambi i sessi. Dosi più elevate o un’esposizione strettamente localizzata causano perdita dei capelli, atrofia e ulcerazioni della cute, cheratosi e teleangectasia. Si possono infine sviluppare carcinomi a cellule squamose. Può comparire un osteosarcoma alcuni anni dopo l’ingestione di radionuclidi che si accumulano nell’osso (p. es., sali di radio).

Una terapia radiante prolungata, per il trattamento dei tumori, può causare occasionalmente gravi lesioni a carico degli organi sottoposti a tale terapia. Si può osservare una riduzione del tasso di filtrazione glomerulare (GFR) e della funzione tubulare renale se vengono irradiati i reni. Dosi estremamente elevate possono condurre alla comparsa di manifestazioni cliniche a insorgenza acuta (p. es., proteinuria, insufficienza renale di vario grado, anemia, ipertensione) dopo un periodo di latenza compreso tra 6 mesi e 1 anno. Quando l’esposizione cumulativa del rene è > 20 Gy in un tempo < 5 sett., si sviluppano una fibrosi da radiazione e un’insufficienza renale oligurica in circa il 37% dei pazienti, mentre nei rimanenti, si possono sviluppare alterazioni diverse nel corso di un prolungato periodo di tempo. Dosi notevoli accumulate nei muscoli potranno portare a dolorose miopatie con atrofia e calcificazione. Molto raramente, si verificano successive evoluzioni neoplastiche (p. es., un sarcoma). A seguito di una terapia radiante, per il trattamento del carcinoma polmonare, si può sviluppare una grave polmonite da radiazioni e una conseguente fibrosi, che può essere fatale se si raggiunge una dose cumulativa > 30 Gy senza distribuire il trattamento in un arco di tempo sufficientemente lungo. Una radioterapia prolungata a carico del mediastino può condurre allo sviluppo di pericardite e miocardite da radiazioni. Si può sviluppare una mielopatia con conseguenze catastrofiche dopo una dose cumulativa > 50 Gy su un segmento di midollo spinale. Comunque, questo tipo di rischio può essere ridotto limitando il rateo di dose a 2 Gy/die. Se però il rateo è pari a 8 Gy/die, in quel caso osserveremo la comparsa di una mielopatia anche quando si raggiungano dosi cumulative pari a 16 Gy (dopo 2 giorni di trattamento). Successivamente a prolungata radioterapia dei linfonodi addominali (p. es., per seminoma, linfoma o carcinoma ovarico), si possono sviluppare ulcerazioni croniche, fibrosi e perforazioni intestinali. L’utilizzo di fotoni ad alta energia (che penetrano in profondità nei tessuti), in unità di cobalto-60 e acceleratori lineari, ha praticamente eliminato l’eritema cutaneo e le ulcerazioni che comparivano quando veniva ancora utilizzata la terapia con raggi x ortovoltaici.

Effetti somatici e genetici tardivi: l’irradiazione delle cellule somatiche può portare a patologie, quali neoplasie (p. es., leucemia, tumore della tiroide, della cute o delle ossa), cataratte o, come suggerito da modelli animali, in un accorciamento aspecifico della vita. Il tumore della tiroide può insorgere 20-30 anni dopo irradiazione con raggi x per il trattamento dell’ipertrofia adenoidea e tonsillare. Le radiazioni rilasciate esternamente sembrano avere un effetto biologico maggiore del radioiodio.

L’irradiazione delle cellule germinali colpisce i geni, aumentando le mutazioni. La procreazione favorisce il perpetuarsi delle mutazioni, comportando un aumento del numero di difetti genetici nelle generazioni successive. La probabilità che si evidenzi un effetto genetico o somatico a lungo termine, che compaia in un dato individuo per esposizione a radiazioni, è valutata in circa 10-2/Gy.

Inizio Pagina

Diagnosi e prognosi

In presenza di sindrome cerebrale o GI, la diagnosi è semplice, ma la prognosi è grave, nel caso della sindrome cerebrale la morte compare nell’arco di ore o di pochi giorni, mentre in caso di sindrome GI generalmente in 3-10 giorni. Nella sindrome ematopoietica, la morte può avvenire in un lasso di tempo tra 8-50 giorni, nel giro di 2-4 sett. se subentra un’infezione o in 3-6 sett. se sopravviene un’emorragia massiva. La disfunzione GI o quella ematopoietica risultano fatali se la dose acuta al corpo intero è > 6 Gy, ma se è < 6 Gy, è possibile la sopravvivenza ed è inversamente correlata alla dose totale.

La diagnosi è ovvia nelle persone trattate con radioterapia o esposte a radiazioni durante un incidente. La prognosi dipende dalla dose, dal rateo di dose e dalla sua distribuzione nel corpo. Sono necessari esami periodici ematologici e del midollo osseo per valutare la gravità del danno a livello midollare e per ottenere maggiori informazioni riguardanti la prognosi.

Nei danni cronici da radiazioni, in cui l’esposizione esterna è sconosciuta o di basso livello, la diagnosi può essere difficile o impossibile. Devono essere ricercate eventuali esposizioni occupazionali. In Italia l’uso delle radiazioni e la protezione dei lavoratori sono regolate dal D. Lgs. n°230 del 17/03/95 e dalla normativa seguente. La sorveglianza fisica è l’insieme dei dispositivi adottati, delle valutazioni delle misure e degli esami effettuati, delle indicazioni fornite e dei provvedimenti formulati dall’Esperto Qualificato, al fine di garantire la protezione sanitaria dei lavoratori e della popolazione. La sorveglianza sanitaria è l’insieme delle visite mediche, delle indagini specialistiche e di laboratorio, dei provvedimenti sanitari adottati dal Medico Autorizzato, al fine di garantire la protezione sanitaria dei lavoratori esposti (n.d.t.). Possono essere compiute analisi genetiche periodiche per individuare tipi e frequenza di anomalie cromosomiche, che si verificano con maggiore probabilità dopo esposizioni significative, pur potendo essere preesistenti o indotte da altre cause.

Se gli occhi sono esposti abitualmente a radiazioni, specialmente ai neutroni, è corretto eseguire esami periodici per controllare l’eventuale comparsa di cataratte. I pazienti esposti possono essere monitorati utilizzando sonde portatili, che misurano la presenza di radiazione nelle varie parti del corpo, oppure sofisticate apparecchiature che misurano la dose al corpo intero. L’urina deve essere analizzata per la ricerca di radionuclidi che emettono radiazioni non-g, se si sospetta l’esposizione a questi agenti. Le analisi del radon nell’aria espirata possono essere eseguite se si sospetta ingestione di radio.

In caso di presunta esposizione a radiazioni, è impossibile formulare una diagnosi certa, a meno che il soggetto non sia stato sottoposto a irradiazione esterna o interna documentata. Se i valori ematologici sono normali e non si evidenzia alcuna malattia clinica oggettiva, si possono tranquillizzare il paziente e gli altri interessati.

Inizio Pagina

Profilassi

Molti farmaci e sostanze chimiche (p. es., i composti sulfidrilici) aumentano la sopravvivenza negli animali, se somministrati prima dell’irradiazione, tuttavia, nessuna di queste sostanze ha validità pratica negli uomini. L’unico modo per ridurre al minimo le sovraesposizioni gravi o fatali è rafforzare rigorosamente le misure di protezione e rispettare i livelli di dose massima ammissibile. Tali livelli sono stabiliti dalla U.S. Nuclear Regulatory Commission, Code of Federal Regulations-Energy, Parte 20, Titolo 10 (10CFR20), livelli standard per la protezione da radiazioni, pubblicati dall’Office of the Federal Register, U.S. Government Printing Office Superintendent of Documents, Washington, DC 20452 (in Italia, dal D. Lgs. n°230 del 17/03/95, n.d.t.).

Inizio Pagina

Terapia

I materiali radioattivi che vengano a contaminare la pelle devono essere rimossi immediatamente con abbondanti lavaggi di acqua e speciali soluzioni chelanti contenenti acido etilendiaminotetracetico (EDTA p. es., Radiac Wash), quando disponibili. Lesioni di piccole dimensioni devono essere invece deterse energicamente, utilizzando l’irrigazione e lo sbrigliamento, finché la ferita non si presenti priva di radioattività. Il materiale radioattivo ingerito deve essere rimosso prontamente attraverso l’induzione di vomito oppure mediante lavanda gastrica, se l’esposizione è recente. Se è stato inalato o ingerito iodio radioattivo in grandi quantità, si deve somministrare una soluzione di Lugol (iodio forte) o soluzioni sature di ioduro di potassio, per un periodo variabile da alcuni giorni a qualche settimana, per bloccare la captazione della tiroide ed è inoltre necessario stimolare la diuresi. Nei pazienti allergici allo iodio non si deve mai somministrare la soluzione di Lugol.

Dal momento che la sindrome cerebrale acuta ha un esito infausto, il trattamento è unicamente di tipo palliativo e mira al controllo dello shock e dell’anossia, ad alleviare il dolore e l’ansia e al controllo degli stati convulsivi mediante la somministrazione di sedativi.

Nella sindrome GI, se l’esposizione è stata modesta, può essere sufficiente somministrare antiemetici, sedativi e antibiotici. Se è possibile alimentare il paziente per via orale, sarà meglio iniziare con una dieta blanda, in quanto meglio tollerata. Può essere necessario somministrare enormi quantità di liquidi, elettroliti e plasma, che verranno stabilite dai risultati degli esami ematochimici (specialmente elettroliti e proteine), dalla PA, dalla frequenza del polso, dal ricambio idrico e dal turgore della pelle.

Per quanto concerne la sindrome ematopoietica, caratterizzata da infezioni potenzialmente letali, emorragia e anemia, il trattamento è simile alla terapia dell’ipoplasia midollare e della pancitopenia, indipendentemente dalla causa (v. Anemia aplastica nel Cap. 127). Gli antibiotici, le trasfusioni di sangue e di piastrine rappresentano i principali ausili terapeutici. L’asepsi deve essere mantenuta durante tutte le fasi delle terapie iniettive e il paziente deve essere tenuto in stretto isolamento, per prevenire l’esposizione a microrganismi patogeni.

Deve essere evitato l’uso contemporaneo di chemioterapia antineoplastica o di farmaci mielosoppressori, perché il midollo osseo potrebbe andare incontro a un ulteriore processo di soppressione, a meno che tali terapie non siano indispensabili per la presenza di una malattia preesistente o di improvvise complicanze.

Se un soggetto è stato sottoposto a una dose > 2 Gy, va eseguita una tipizzazione tissutale e ricercato un donatore compatibile di midollo osseo. Un trapianto midollare tra gemelli omozigoti aumenta la probabilità di sopravvivenza. Se i granulociti e le piastrine diminuiscono rispettivamente al di sotto dei 500/µl e dei 20000/µl, va presa in considerazione l’opportunità di eseguire un omotrapianto di midollo, sebbene la possibilità di successo sia bassa e il trapianto possa essere seguito dalla reazione immunologica del trapianto contro l’ospite, potenzialmente fatale (v. Trapianto di midollo osseo nel Cap. 149).

I sintomi della malattia da radiazioni, dovuta a radioterapia in sede addominale, possono essere mitigati con la somministrazione di un antiemetico (p. es., proclorperazina 5-10 mg PO o IM qid) e possono essere prevenuti con la somministrazione anticipata del farmaco. L’ondansetron e il granisetron, utilizzati nel trattamento dei sintomi causati dalla chemioterapia, possono essere utili nella malattia da radiazioni, ma presentano dei costi molto più elevati. Il radioterapista e il medico devono collaborare strettamente, ponendo attenzione alla nutrizione e al bilancio dei liquidi e un’attenta pianificazione della cura per tutta la sua durata (p. es., la dose, l’intervallo di tempo fra i trattamenti, la terapia di sostegno) può prevenire la maggior parte delle complicanze.

Il primo passo da compiere, in caso di esposizioni croniche gravi, è l’allontanamento del paziente dalla sorgente di radiazioni. Se il radio, il torio o lo stronzio radioattivi si depositano nel corpo, si potrà aumentarne l’escrezione con una pronta somministrazione orale e parenterale di farmaci chelanti (p. es., EDTA), tuttavia, negli ultimi stadi, questi agenti non sono di alcuna utilità. Ulcere e tumori, conseguenti a esposizione a radiazioni, richiedono l’asportazione chirurgica e la riparazione per mezzo della chirurgia plastica. Una leucemia indotta da radiazioni deve essere trattata come ogni altra leucemia spontanea; la trasfusione di sangue intero può correggere l’anemia e quella di piastrine può ridurre il sanguinamento da trombocitopenia, tuttavia, l’efficacia di queste misure è soltanto temporanea, poiché è scarsa la probabilità che un midollo osseo ampiamente danneggiato si rigeneri. Non è disponibile alcun trattamento efficace per la sterilità o per le disfunzioni ovariche o testicolari, tranne che le integrazioni ormonali.

Inizio Pagina

-indietro- -ricerca- -indice sezione- -indice generale- -indice tabelle- -indice figure- -help-

Copyright © 2002 Merck Sharp & Dohme Italia S.p.A. Via G. Fabbroni, 6 - 00191 Roma - Tutti i diritti riservati.

Informativa sulla privacy