2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE

12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E ACIDO-BASE

METABOLISMO DELL'ACQUA E DEL SODIO

Sommario:

Acqua
Osmolalità
Sodio


Acqua

Il contenuto totale di acqua corporea (Total Body Water, TBW) si aggira in media intorno al 60% del peso corporeo nei maschi giovani. Il tessuto adiposo ha un contenuto di acqua più basso; perciò il rapporto tra TBW e peso corporeo è in media leggermente più basso nelle donne (55%) ed è sostanzialmente più basso nei soggetti obesi e negli anziani. Circa 2/3 dell'TBW sono intracellulari e 1/3 è extracellulare. Circa 3/4 del liquido extracellulare (ExtraCellular Fluid, ECF) si trovano nello spazio interstiziale e nei tessuti connettivi che circondano le cellule, mentre circa 1/4 è intravascolare.

Apporto: la quantità di acqua ingerita può variare notevolmente da un giorno all'altro. L'ingestione è ampiamente influenzata dalle abitudini, da fattori culturali, dall'accessibilità e dalla sete. L'entità del volume di acqua che può essere ingerito è determinato dalla capacità del rene di concentrare e di diluire le urine. Un adulto medio con funzionalità renale normale ha bisogno di 400-500 ml di acqua per eliminare il carico giornaliero di soluti in urine concentrate al massimo. In aggiunta all'acqua ingerita, da 200 a 300 ml/ die di acqua vengono prodotti attraverso il catabolismo tissutale, rendendo perciò piuttosto basso l'apporto minimo di acqua necessario per prevenire l'insufficienza renale (da 200 a 300 ml/die). Tuttavia, per rimpiazzare le perdite totali di acqua e mantenere l'equilibrio idrico (v. oltre) è necessario un apporto giornaliero fra i 700 e gli 800 ml. L'ingestione protratta nel tempo di un quantitativo < 700-800 ml determina un aumento della osmolalità e lo stimolo della sete. Il carico di soluti nel caso in cui venga escreto in urine diluite al massimo si avvicina a un volume di 25 l. L'ingestione cronica > 25 l di acqua al giorno determina alla fine la perdita dell'omeostasi dei liquidi corporei e una riduzione dell'osmolalità plasmatica.

Perdite: le perdite insensibili di acqua dovute all'evaporazione avvengono attraverso l'aria espirata e la cute e ammontano a circa 0,4-0,5 ml/h/ kg di peso corporeo o a circa 650-850 ml/24 h in un adulto medio di 70 kg. Durante gli stati febbrili possono essere persi altri 50-75 ml/die per ogni grado di elevazione della temperatura al di sopra della norma. Le perdite legate alla sudorazione sono generalmente trascurabili, ma possono divenire significative in caso di febbre o nei climi più caldi. Anche le perdite idriche GI sono trascurabili in condizioni di salute, ma possono diventare significative in caso di diarrea grave o di vomito protratto.

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Osmolalità

Vi sono differenze significative nella composizione ionica del liquido intracellulare (IntraCellular Fluid, ICF) e del ECF. Il principale catione intracellulare è il potassio (K), con una concentrazione media di 140 mEq/l. La concentrazione extracellulare del K, sebbene sia molto importante e strettamente regolata, è molto più bassa, essendo compresa fra 3,5 e 5 mEq/l. Il principale catione extracellulare è il sodio (Na), con una concentrazione media di 140 mEq/l. La concentrazione intracellulare del Na è molto più bassa, circa 12 mEq/l. Queste differenze vengono mantenute dalla pompa ionica della Na+, K+-ATPasi localizzata nella membrana cellulare di pressoché tutte le cellule. Questa pompa che richiede energia accoppia lo spostamento del Na al di fuori della cellula con lo spostamento del K all'interno, utilizzando l'energia immagazzinata nell'ATP.

Il movimento dell'acqua fra i compartimenti intracellulare ed extracellulare è controllato in larga misura dall'osmolalità di ciascun compartimento, poiché la maggior parte delle membrane cellulari è altamente permeabile all'acqua. In condizioni normali, l'osmolalità del ECF (290 mOsm/kg di acqua) è circa uguale a quella del ICF. Di conseguenza, l'osmolalità plasmatica è un indice pratico e accurato dell'osmolalità intracellulare. L'osmolalità dei liquidi corporei può essere calcolata approssimativamente mediante la formula seguente:

Osmolalità plasmatica (mOsm/kg) =

2 [(Na) sierico ] + + dove il (Na) sierico è espresso in mEq/l e il glucoso e il BUN sono espressi in mg/dl. Come indicato da questa formula, la concentrazione di Na è il principale determinante dell'osmolalità plasmatica. Perciò, l'ipernatriemia indica di solito ipertonicità plasmatica e cellulare (disidratazione) e l'iponatriemia indica solitamente ipotonicità plasmatica e cellulare.

Normalmente l'osmolalità plasmatica non risente in modo particolare della concentrazione del glucoso o del BUN. Tuttavia, l'iperglicemia o un'iperazotemia significativa possono in alcune situazioni determinare un incremento dell'osmolalità plasmatica. Nella iperglicemia marcata, l'osmolalità del ECF aumenta e supera quella del ICF, perché il glucoso penetra lentamente attraverso le membrane cellulari in assenza di insulina, dando luogo a un movimento di acqua al di fuori dalle cellule verso il ECF. La concentrazione sierica di Na si abbassa in proporzione alla diluizione del ECF, riducendosi di 1,6 mEq/l ogni 100 mg/dl (5,55 mmol/l) di aumento del glucoso plasmatico al di sopra della norma. Questa condizione è stata denominata iponatriemia di traslazione, poiché non si è verificata alcuna modificazione netta del contenuto totale di acqua corporea. Non è indicata alcuna terapia specifica, perché la concentrazione di Na ritorna alla norma una volta che la concentrazione plasmatica di glucoso viene ridotta. A differenza del glucoso, l'urea penetra facilmente all'interno delle cellule; poiché la concentrazione di urea intracellulare è uguale alla concentrazione di urea extracellulare, non si verificano modificazioni significative del volume cellulare. Così, nell'iperazotemia, sebbene l'osmolalità plasmatica sia aumentata, la tonicità plasmatica, od osmolalità plasmatica "effettiva", non è cambiata.

Infine, modificazioni apparenti dell'osmolalità plasmatica possono derivare da errori nella determinazione del Na sierico. Una pseudoiponatriemia con osmolalità plasmatica normale si può verificare nell'iperlipidemia o nell'iperproteinemia estrema, dal momento che i lipidi o le proteine occupano spazio nel volume di plasma utilizzato per le analisi. I più recenti metodi di misurazione degli elettroliti plasmatici mediante elettrodi selettivi per i singoli ioni consentono di evitare questo problema.

L'osmolalità plasmatica può essere misurata in maniera diretta. Esiste un gap osmolare quando l'osmolalità plasmatica misurata supera di un valore > 10 mOsm/l quella calcolata mediante la precedente formula. La presenza di un aumento del gap osmolare può essere dovuta a una o più sostanze osmoticamente attive non misurate presenti nel plasma. La Tab. 12-1 elenca diverse fra le più comuni cause di aumento del gap osmolare. Quando viene riscontrato un aumento del gap osmolare, devono essere eseguite immediatamente indagini di laboratorio più specifiche per determinarne la causa e istituire una terapia specifica.

Il volume dell'TBW è regolato dal meccanismo della sete, dalla secrezione di ormone antidiuretico (ADH) e dai reni. Gli osmorecettori localizzati nella regione antero-laterale dell'ipotalamo vengono stimolati dall'innalzamento dell'osmolalità plasmatica e stimolano i centri della sete adiacenti. La stimolazione dei centri della sete ha come risultato la percezione cosciente della sete e il successivo aumento dell'ingestione di acqua. Gli osmorecettori rispondono inoltre all'iperosmolalità stimolando il rilascio di ADH dall'ipofisi posteriore. La secrezione di ADH determina a sua volta un aumento del riassorbimento di acqua nelle porzioni distali del nefrone attraverso un aumento della permeabilità di questo segmento altrimenti relativamente impermeabile all'acqua. L'osmolalità del ECF viene normalmente mantenuta entro limiti ristretti; un incremento del 2% conduce alla sete e al rilascio di ADH. In aggiunta all'aumento dell'osmolalità plasmatica, può verificarsi una stimolazione non osmotica della liberazione di ADH. Nei casi di grave deplezione di volume, l'ADH viene secreto per proteggere il volume del ECF, indipendentemente dall'osmolalità plasmatica. In questa situazione, l'acqua viene conservata a spese dell'osmolalità plasmatica.

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Sodio

Poiché il sodio (Na) è il principale catione osmoticamente attivo del compartimento extracellulare, le modificazioni del contenuto corporeo totale di Na vanno di pari passo con le modificazioni del volume del ECF. Quando il contenuto totale di Na è basso, il volume del ECF è diminuito. La deplezione di volume del ECF è avvertita dai recettori di pressione localizzati negli atri cardiaci e nelle vene toraciche e provoca un incremento della conservazione renale di Na. Quando il contenuto totale di Na è alto, si sviluppa un sovraccarico di volume. I recettori di alta pressione localizzati nel seno carotideo e nell'apparato iuxtaglomerulare del rene avvertono il sovraccarico e aumentano la natriuresi in modo tale che il volume possa essere riportato ai valori normali.

Il contenuto totale corporeo di Na è regolato da un equilibrio tra apporto alimentare ed escrezione renale. Non si verifica una deplezione di Na significativa a meno che non vi siano perdite anomale di Na a livello renale o extrarenale dalla cute o dal tratto GI combinate con un inadeguato apporto dello ione. Difetti della conservazione renale di Na possono essere causati da malattie primitive del rene, insufficienza surrenalica o terapia diuretica. Allo stesso modo, il sovraccarico di Na esita in uno squilibrio fra l'apporto e l'escrezione ma, a causa della grande capacità di escrezione di Na da parte dei reni normali, un sovraccarico di Na implica generalmente un difetto dell'escrezione renale.

L'escrezione renale di sodio può essere modificata ampiamente per bilanciare la sua assunzione. Il controllo dell'escrezione renale di Na comincia con il flusso ematico renale e la GFR. La quantità di Na che giunge al nefrone per il riassorbimento varia in maniera direttamente proporzionale alla GFR. Perciò, la ritenzione di Na può essere la conseguenza di un'insufficienza renale cronica. Inoltre, una riduzione del flusso ematico renale come quella che si osserva nello scompenso cardiaco diminuisce la GFR e il carico di Na filtrato, determinando la comparsa di edema.

L'asse renina-angiotensina-aldosterone è probabilmente il principale meccanismo regolatore dell'escrezione renale di sale. Negli stati di deplezione di volume, la GFR e la quantità di Na che giunge al nefrone distale si riducono, causando il rilascio di renina da parte delle cellule dell'arteriola afferente dell'apparato iuxtaglomerulare. L'angiotensinogeno (il substrato della renina) viene clivato enzimaticamente dalla renina per formare il polipeptide inattivo angiotensina I. L'angiotensina I viene poi ulteriormente clivata dall'enzima di conversione dell'angiotensina (Angiotensin Converting Enzyme, ACE) per dar luogo all'ormone attivo angiotensina II. L'angiotensina II aumenta il riassorbimento di Na diminuendo il carico di Na filtrato e incrementando il riassorbimento di Na nel tubulo prossimale. Inoltre l'angiotensina II stimola le cellule della corteccia surrenale a secernere il mineralcorticoide aldosterone. L'aldosterone aumenta il riassorbimento di Na tramite un effetto diretto sull'ansa di Henle, sul tubulo distale e sul dotto collettore. I disturbi della regolazione dell'asse renina-angiotensina-aldosterone hanno come conseguenza diverse alterazioni del volume dei liquidi e degli elettroliti. La modificazione farmacologica del sistema renina-angiotensina-aldosterone rimane un caposaldo nel trattamento di molte di queste alterazioni.

Di recente, sono stati identificati diversi fattori natriuretici, compresa una sostanza simile alla ouabaina che induce la natriuresi inibendo la Na+, K+-ATPasi. È stato identificato anche un secondo gruppo di peptidi natriuretici atriali (Atrial Natriuretic Peptides, ANP). Sembra che l'ANP circolante attivo contenga 28 aminoacidi e derivi dalla porzione C-terminale di un peptide precursore. L'ANP si trova nei granuli secretori del tessuto atriale cardiaco e sembra che venga rilasciato in risposta a un aumento acuto della PA indotto da fattori pressori, a un carico di sale e a un'espansione di volume del ECF e ad altre cause di distensione atriale. Sono stati descritti livelli plasmatici elevati di ANP nei pazienti con sovraccarico di volume del ECF, iperaldosteronismo primitivo, scompenso cardiaco, insufficienza renale, cirrosi ascitogena e in alcuni pazienti con ipertensione essenziale. Al contrario, si sono riscontrati livelli plasmatici di ANP diminuiti in alcuni pazienti con sindrome nefrosica e una probabile diminuzione del volume circolante effettivo del ECF.

In vitro, l'ANP contrasta gli effetti vasocostrittori dell'angiotensina II e inibisce il rilascio di aldosterone e la sua azione Na-ritentiva. Quando l'ANP viene infuso negli animali o nell'uomo, gli effetti sono variabili. Nell'uomo l'infusione di livelli fisiologici di ANP induce una lieve natriuresi, ma abbassa anche i livelli plasmatici di angiotensina II e di aldosterone e l'attività reninica plasmatica. Dosi maggiori di ANP aumentano la natriuresi e la GFR nonostante la riduzione del flusso plasmatico renale e della PA. L'ANP sembra avere un ruolo importante nella regolazione del volume del ECF, del metabolismo del Na e della PA. Tuttavia, il suo pieno significato fisiologico, fisiopatologico e terapeutico resta ancora da chiarire.

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