11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA

138. LE LEUCEMIE

Malattie neoplastiche maligne del tessuto emopoietico.

LEUCEMIA CRONICA

Sommario:

LEUCEMIA LINFOCITICA CRONICA
    Anatomia patologica
    Sintomi e segni
    Esami di laboratorio e diagnosi
    Prognosi e terapia

LEUCEMIA MIELOCITICA CRONICA
    Anatomia patologica
    Sintomi e segni
    Esami di laboratorio
    Diagnosi
    Prognosi
    Terapia



LEUCEMIA LINFOCITICA CRONICA

(Leucemia linfatica cronica)

Espansione clonale di linfociti apparentemente maturi che interessa i linfonodi e gli altri tessuti linfoidi, con progressiva infiltrazione del midollo osseo e comparsa di questi elementi cellulari nel sangue periferico.

Il settantacinque per cento di casi sono diagnosticati nei pazienti con più di 60 anni. L’incidenza della LLC risulta 2 volte maggiore negli uomini rispetto alle donne. L’eziologia è sconosciuta, ma in alcuni casi è familiare. La LLC è rara in Giappone e in Cina e l’incidenza non sembra aumentare tra i giapponesi emigrati negli USA, il che suggerisce l’importanza del fattore genetico.

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Anatomia patologica

L’accumulo dei linfociti inizia probabilmente nel midollo osseo e si diffonde ai linfonodi interessando successivamente gli altri tessuti linfatici. Può manifestarsi splenomegalia. Di solito nelle fasi avanzate della malattia l’emopoiesi anomala comporta anemia, neutropenia, trombocitopenia e ridotta produzione immunoglobulinica. Molti pazienti sviluppano ipogammaglobulinemia, con alterata risposta anticorpale, correlabile, almeno in alcuni di essi, a incrementata attività delle cellule T-suppressor. Un’altra espressione dell’anomala immunoregolazione è la particolare suscettibilità a sviluppare malattie autoimmunitarie: si tratta di anemie immunoemolitiche (di solito con test di Coombs positivo) o trombocitopenie. C’è un modesto aumento di rischio di comparsa di seconde neoplasie.

La descrizione tradizionale della LLC è quella del sottotipo più frequente (cioè forma a cellule B), che rappresenta quasi la totalità dei casi. In circa i 2-3% dei casi l’espansione del clone è del tipo a cellule T e anche questo gruppo ha un sottogruppo (p. es., grandi linfociti granulari con citopenia). Inoltre, altre espressioni di leucemia cronica sono state raggruppate sotto la dizione di LLC: la leucemia prolinfocitica, la fase leucemica del linfoma cutaneo a cellule T (p. es., la sindrome di Sézary), la leucemia a cellule capellute e la leucemia linfomatosa (cioè, mutamenti leucemici osservati negli stadi avanzati del linfoma maligno). La differenziazione di questi sottotipi dalla tipica LLC è di solito facile.

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Sintomi e segni

L’esordio di solito è insidioso e la LLC è spesso inizialmente diagnosticata da un esame emocromocitometrico a carattere incidentale o durante la valutazione di una linfoadenopatia asintomatica. I pazienti sintomatici presentano di solito disturbi non specifici, astenia, anoressia, perdita di peso, dispnea da sforzo o una sensazione di dolenzia addominale (secondaria alla splenomegalia o alla linfoadenomegalia). Reperti iniziali includono linfoadenomegalia diffusa e una minima o modesta epato-splenomegalia. Col progredire della malattia può comparire pallore dovuto all’anemia. L’infiltrazione della cute può essere un reperto attribuibile alla LLC a cellule T. Una predisposizione alle infezioni batteriche, virali e fungine si manifesta nelle fasi tardive, secondaria all’ipogammaglobulinemia e alla granulocitopenia.

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Esami di laboratorio e diagnosi

Il reperto tipico di questa malattia è la linfocitosi assoluta (> 5000/ml) con aumento dei linfociti (> 30%) a livello midollare. Al momento della diagnosi, non comunemente, possono essere presenti, sebbene di grado modesto, anemia e trombocitopenia secondarie all’infiltrazione del midollo (10% dei casi), splenomegalia o anemia immunoemolitica e trombocitopenia. Alcuni pazienti presentano ipogammaglobulinemia (< 15% dei casi) e, occasionalmente, un picco monoclonale all’elettroforesi, costituito dallo stesso tipo di immunoglobulina, può essere riscontrato sulla superficie delle cellule leucemiche (2-4% dei casi).

In un paziente asintomatico, la LLC può essere diagnosticata da un anomalo esame emocromocitometrico. D’altra parte, la diagnosi di LLC deve essere sospettata in un paziente che si presenta all’osservazione clinica con linfoadenomegalia generalizzata e con i sintomi non specifici di un esordio insidioso, descritti precedentemente. L’EECC e l’aspirazione del midollo confermano la diagnosi. La linfocitosi reattiva che si associa alle infezioni virali può essere differenziata sulla base del quadro clinico e della presenza di linfociti atipici allo striscio di sangue periferico. Le cellule nella LLC coesprimono marker B-cellulari, il CD5 e il CD23. La diagnosi differenziale è semplificata dall’immunofenotipo. Il linfoma linfocitico con una fase leucemica è caratterizzato da cellule circolanti che risultano più grandi rispetto a quelle della LLC, con tipici nuclei dentellati. Le cellule della sindrome di Sezary (cioè nuclei cerebriformi) e della leucemia a cellule capellute (cioè, con estroflessioni citoplasmatiche) sono anche caratteristiche.

La stadiazione clinica è importante per la prognosi e la terapia. Due approcci comuni per la stadiazione sono il Rai, che è fondamentalmente basato sulle modificazioni ematologiche, e il Binet, basato sull’estensione di malattia (v. Tab. 138-5).

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Prognosi e terapia

La sopravvivenza mediana dei pazienti con LLC a cellule B o con complicanze della malattia è di circa 10 anni. Un paziente con stadio 0-II, al momento della diagnosi, può sopravvivere 5-20 anni senza trattamento, mentre, allo stadio III o IV, è più verosimile che muoia entro 3-4 anni dalla diagnosi. La progressione verso l’insufficienza midollare si associa di solito a una sopravvivenza breve. I pazienti con LLC sono più a rischio per lo sviluppo di una seconda neoplasia.

Sebbene la LLC abbia un andamento progressivo, alcuni pazienti possono rimanere asintomatici per anni; la terapia non è indicata fino alla fase di progressione o fino a quando non compaiano sintomi. La terapia di supporto comprende le trasfusioni di concentrati di GR per l’anemia e di piastrine per i sanguinamenti secondari alla trombocitopenia e antimicrobici per le infezioni batteriche, fungine o virali. L’antibioticoterapia è indicata di solito nei pazienti con neutropenia e agammaglobulinemia; perciò la terapia antibiotica deve essere battericida. L’Herpes zoster è comune e generalmente dermatomico. La risposta all’acyclovir e ai farmaci antivirali correlati è in genere soddisfacente. Le infusioni terapeutiche di g-globuline devono essere considerate nel paziente con ipogammaglobulinemia e infezioni resistenti o, per profilassi, quando due o più infezioni gravi si verificano entro 6 mesi.

La terapia specifica include i corticosteroidi, la radio e la chemioterapia. Non è stato dimostrato che la terapia possa prolungare la sopravvivenza. È più pericoloso sottoporre il paziente a un trattamento eccessivo, che non trattarlo affatto.

Chemioterapia: i farmaci alchilanti, specialmente il clorambucile, da solo o in associazione con i corticosteroidi, sono stati a lungo la terapia usuale per la LLC a cellule B. Tuttavia, la fludarabina è più efficace. Le remissioni sono più lunghe che con gli altri trattamenti, sebbene non sia stato dimostrato alcun vantaggio in termini di sopravvivenza. L’interferon-a (IFN-a), la deossicoformicina e la 2-clorodeossiadenosina hanno mostrato un’elevata efficacia nella leucemia a cellule capellute. I pazienti con leucemia prolinfocitica e leucemia linfomatosa di solito richiedono una polichemioterapia e spesso rispondono solo parzialmente.

Terapia corticosteroidea: l’anemia immunoemolitica e la trombocitopenia sono indicazioni per la terapia corticosteroidea. La somministrazione del prednisone alla dose di 1 mg/kg/die può comportare occasionalmente un rapido e sorprendente miglioramento nei pazienti con LLC in fase avanzata, anche se per un periodo di tempo solitamente breve. Le complicanze metaboliche e l’aumento della frequenza e della gravità delle infezioni devono indurre cautela nell’uso prolungato di questo farmaco. Il prednisone usato con la fludarabina aumenta il rischio delle infezioni da P. carinii e da Listeria.

Radioterapia: l’irradiazione locale di aree di linfoadenomegalia, del fegato e della milza può essere utilizzata transitoriamente a scopo palliativo. Anche l’irradiazione totale del corpo con piccole dosi ha dato occasionalmente buoni risultati.

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LEUCEMIA MIELOCITICA CRONICA

(Leucemia mieloide, mielogena o granulocitica cronica)

Mieloproliferazione clonale causata dalla trasformazione maligna di una cellula staminale totipotente e caratterizzata clinicamente da un’abnorme iperproduzione di granulociti.

Questa malattia può esordire in entrambi i sessi; sebbene la LMC possa manifestarsi a qualsiasi età, l’età mediana è circa di 45 anni; è piuttosto rara prima dei 10 anni di età.

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Anatomia patologica

La LMC è caratterizzata da un accumulo abnorme di granulociti, soprattutto a livello del midollo osseo, ma anche in aree extramidollari (p. es., il fegato e la milza). Sebbene si tratti principalmente di cellule della serie granulocitaria, è possibile che il clone neoplastico produca anche GR, megacariociti, monociti e, talvolta, cellule della linea B e T. Le cellule staminali di solito sono confinate al midollo, ma possono comparire in circolo dopo terapia immunosoppressiva. Generalmente il midollo si presenta ipercellulare ma, nel 20-30% dei pazienti, si sviluppa una mielofibrosi, di solito dopo diversi anni. Nella maggior parte dei pazienti, il clone della LMC progredisce verso una fase accelerata e la crisi blastica finale. A questo stadio possono svilupparsi tumori a cellule blastiche in altre sedi extramidollari (p. es., ossa, SNC, linfonodi, cute).

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Sintomi e segni

I pazienti sono spesso inizialmente asintomatici. La LMC può essere diagnosticata a seguito di un EECC eseguito casualmente. Altri richiedono una valutazione per la comparsa insidiosa di sintomi non specifici (p. es., stanchezza, astenia, anoressia, perdita di peso, febbre, sudorazione notturna o una vaga sensazione di dolenzia addominale). Inizialmente, il pallore, l’emorragia, i facili sanguinamenti e la linfoadenopatia sono inusuali, ma una splenomegalia modesta, o occasionalmente enorme, è comune (60-70% dei casi). Col progredire della malattia la splenomegalia può diventare notevole e compaiono pallore ed emorragie.

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Esami di laboratorio

Nei pazienti asintomatici la conta dei GB è di solito < 50000/ml. Nei pazienti sintomatici, il numero totale dei GB di solito è intorno a 200000/gml, ma può raggiungere 1000000/ml. Le piastrine risultano normali o soltanto di poco aumentate e l’Hb è solitamente > 10 g/dl. Lo striscio di sangue periferico mostra la presenza di granulociti in tutti gli stadi di differenziazione, sebbene nei pazienti con conta totale < 50000/ml sia piuttosto infrequente l’osservazione di granulociti immaturi. Il numero assoluto degli eosinofili e dei basofili risulta notevolmente aumentato, ma la concentrazione assoluta di linfociti e monociti può essere normale. Talvolta sono presenti alcuni GR nucleati, mentre la morfologia leucocitaria è normale. Il midollo è ipercellulare nei preparati da aspirazione e in quelli bioptici. Qualche paziente può avere un certo grado di mielofibrosi, anche al momento della diagnosi. La fosfatasi alcalina leucocitaria è sempre molto ridotta.

Il cromosoma Philadelphia (Ph, prima definito Ph1) può essere dimostrato in quasi tutti i pazienti (95%) tramite analisi cromosomica. Sebbene quando si parla di cromosoma Ph ci si riferisca di solito al cromosoma 22, in realtà si tratta della traslocazione t(9;22) di un pezzo di cromosoma 9 che contiene l’oncogene c-abl sul cromosoma 22, con fusione con un altro gene bcr e formazione, quindi, di un gene di fusione (ABL-BCR) e un pezzo del cromosoma 22 traslocato al cromosoma 9. L’ABL-BCR è importante nella patogenesi e nell’espressione della LMC. In alcuni pazienti, nei quali il cromosoma Ph non è evidente, si può dimostrare il riarrangiamento del gene bcr tramite studi molecolari (Southern blot).

Durante la fase rapidamente progressiva della malattia si aggravano l’anemia e la trombocitopenia. I basofili possono essere aumentati in numero e la maturazione granulocitaria può essere difettosa. Può aumentare la quantità di cellule immature così come il livello della fosfatasi alcalina dei neutrofili. Nel midollo può svilupparsi una mielofibrosi, con comparsa di sideroblasti visibili alla microscopia. L’evoluzione del clone leucemico può accompagnarsi allo sviluppo di nuovi cariotipi anomali.

Successivamente la malattia può evolvere verso la crisi blastica con mieloblasti (60% dei pazienti), linfoblasti (30%) e megacarioblasti (10%). Nell’80% di questi pazienti si rilevano frequentemente anche anomalie cromosomiche di altro tipo.

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Diagnosi

La diagnosi di LMC è relativamente facile per la presenza di splenomegalia associata, leucocitosi con granulociti immaturi ed eosinofilia e basofilia assolute, bassi livelli di fosfatasi alcalina leucocitaria e cromosoma Ph. Una diagnosi differenziale si impone con la leucocitosi di pazienti affetti da mielofibrosi, nella quale sono però sempre presenti GR nucleati e a goccia, anemia e trombocitopenia. La reazione leucemoide secondaria a carcinoma o infezione non si accompagna di solito alla basofilia ed eosinofilia assolute della LMC, mentre può esserci di solito un aumento dei livelli di fosfatasi alcalina leucocitaria.

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Prognosi

La LMC Ph-negativa e la leucemia mielomonocitica cronica hanno una prognosi peggiore della LMC Ph-positiva. I loro comportamenti clinici ricordano una sindrome mielodisplastica. Eccetto per i casi nei quali il TMO può essere utilizzato con successo, il trattamento non è curativo. Tuttavia, l’uso di IFN-a ha prolungato la sopravvivenza media da 3-4 anni a 5-8 anni. Dei pazienti, il 5-10% muore entro i 2 anni dalla diagnosi e il 10-15% muore nei tre anni successivi; il 90% dei pazienti muore in seguito a crisi blastica o nel corso di una fase accelerata della malattia; la sopravvivenza media dopo una crisi blastica è di circa 2 mesi, ma può arrivare a 8-12 mesi nei casi in cui si raggiunga la remissione.

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Terapia

Lo scopo usuale del trattamento è soltanto palliativo e non curativo. In generale i sintomi sono direttamente legati al numero dei GB; quindi, mantenere i GB a un livello < 250000/ml in genere aiuta a prevenire i sintomi.

L’idrossiurea e altri farmaci mielosoppressivi possono mantenere il paziente asintomatico per lunghi periodi di tempo, mantenendo il numero totale dei GB < 10000/ml, ma remissioni vere non si ottengono poiché il clone Ph-positivo permane nel midollo. Un TMO da un donatore HLA compatibile, effettuato in una fase precoce della malattia, può procurare lunghi periodi di sopravvivenza libera da malattia e la scomparsa definitiva del clone Ph-positivo. Il TMO effettuato durante una crisi blastica, o una fase rapidamente progressiva della malattia, ha dato risultati meno buoni (v. anche il Cap. 149). Nella LMC Ph-positiva, l’interferon-a ha mostrato di produrre remissioni ematologiche con la scomparsa della positività delle cellule Ph-positive nel midollo del 20-25% dei pazienti e di prolungarne la sopravvivenza. L’IFN-a a dosi di 3-5 milioni U/m2/ die SC rappresenta il trattamento di scelta per la maggior parte dei pazienti; l’aggiunta di citarabina è benefica.

L’idrossiurea è l’agente citotossico di scelta se l’IFN non può essere utilizzato. Il farmaco presenta bassa tossicità cumulativa, ma bisogna somministrarlo in maniera continuativa per la sua breve durata d’azione. Di solito il numero dei GB aumenta nuovamente alla sospensione del farmaco. La dose di partenza di solito è intorno a 1-2 g/ die PO suddivisa in dosi uguali. Il numero dei GB deve essere controllato ogni 1-2 sett. e quindi adattate le dosi del farmaco.

Il busulfano non è più raccomandato. Altri farmaci immunosoppressori sono stati usati per il trattamento della fase cronica della LMC, compresi la 6-mercaptopurina, 6-tioguanina, il melfalan e la ciclofosfamide. Tuttavia, poiché ha dimostrato la superiorità di questi farmaci, essi non vengono preferiti all’idrossiurea.

Sebbene l’irradiazione splenica è usata di rado, può essere di aiuto nei casi di LMC refrattari o nei pazienti terminali con marcata splenomegalia. La dose totale è compresa di solito tra 6-10 Gy, da somministrare in frazioni giornaliere di 0,25-2 Gy/die. Questo tipo di trattamento deve iniziare con dosi iniziali molto basse e controllando accuratamente il numero dei GB. La risposta è in genere scoraggiante.

La splenectomia può alleviare il disagio addominale, migliorare la trombocitopenia e ridurre anche la richiesta di trasfusioni, quando la splenomegalia non si risolve con la chemio- o radioterapia. Non ci sono prove che la splenectomia possa giocare un ruolo significativo sul controllo della LMC in fase cronica.

La terapia della fase di trasformazione blastica raggiunge la remissione in circa il 50% dei pazienti con trasformazione linfoblastica. I regimi usati sono basati sul tipo di cellula della crisi blastica. Le remissione e la durata della sopravvivenza tendono a essere brevi. Nel 20-25% dei pazienti con trasformazione mieloblastica, le remissioni possono essere raggiunte, ma in genere la sopravvivenza è breve.

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