12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

147. MALATTIE DA IMMUNODEFICIENZA

IMMUNODEFICIENZE PRIMARIE E SECONDARIE

Sommario:

Introduzione
Eziologia
Sintomi e segni
Diagnosi
Indagini di laboratorio
Prevenzione
Prognosi
Terapia

Le immunodeficienze possono essere primarie o secondarie. Le immunodeficienze primarie vengono classificate in quattro gruppi principali sulla base della componente del sistema immunitario che risulta compromessa: cellule B, cellule T, cellule fagocitarie o complemento. (Nel Cap. 146 vengono passate in rassegna le componenti del sistema immunitario.) Sono state descritte più di 70 immunodeficienze primitive e nell’ambito di ciascuna di esse può essere presente una notevole eterogeneità. Nella Tab. 147-2 è riportata una classificazione delle immunodeficienze primarie (escluse le varianti più rare).

I difetti delle cellule T comprendono diversi disordini con alterazioni concomitanti anche a carico delle cellule B (della produzione di anticorpi), fenomeno comprensibile dal momento che sia le cellule B sia quelle T originano da una cellula staminale primitiva comune e che le cellule T influenzano la funzione delle cellule B. Le malattie dei fagociti comprendono le condizioni in cui l’alterazione primitiva è a carico della motilità cellulare (chemiotassi) e quelle in cui tale alterazione è a carico dell’attività microbicida.

Tra le immunodeficienze primarie, predominano i difetti delle cellule B o della produzione anticorpale; il deficit selettivo di IgA (solitamente asintomatico) può essere presente in un individuo su 400. Escludendo il deficit asintomatico di IgA, i difetti delle cellule B costituiscono il 50% delle immunodeficienze primarie; i deficit delle cellule T, circa il 30%; i deficit della fagocitosi, il 18%; e i difetti del complemento, il 2%. Si calcola che l’incidenza cumulativa delle immunodeficienze primarie sintomatiche sia di 1/10000; negli USA, si verificano circa 400 nuovi casi l’anno. Dal momento che molte immunodeficienze primarie sono ereditarie o congenite, esse esordiscono nei lattanti e nei bambini; circa l’80% degli individui affetti ha meno di 20 anni e, poiché molte sindromi presentano un’ereditarietà legata al cromosoma X, il 70% di esse colpisce i maschi.

Le immunodeficienze secondarie consistono in un deterioramento del sistema immunitario dovuto all’insorgenza di una patologia in un individuo precedentemente sano. Il danno è spesso reversibile se la condizione o la malattia sottostante si risolve. Le immunodeficienze secondarie sono di gran lunga più frequenti di quelle primarie e si manifestano in molti pazienti ospedalizzati. Praticamente tutte le malattie gravi di lunga durata interferiscono in qualche misura con il sistema immunitario. Nella Tab. 147-3 è riportata una classificazione delle immunodeficienze secondarie.

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Eziologia

Le immunodeficienze non hanno una causa univoca, sebbene spesso vi sia implicato un difetto a carico di un singolo gene. Il difetto può portare alla mancanza di un enzima (p. es. deficit di adenosina deaminasi), alla mancanza di una proteina (p. es. deficit di componenti del complemento) o a un arresto di sviluppo in un particolare stadio differenziativo (p. es. arresto allo stadio di cellula pre-B nell’agammaglobulinemia legata al cromosoma X). In molte delle immunodeficienze primitive è stata identificata la localizzazione cromosomica dei geni difettosi. In talune patologie possono essere coinvolti fattori che agiscono durante la vita intrauterina (p. es. l’alcolismo materno in alcuni casi di sindrome di Di George); in altre, può avere un ruolo l’assunzione di farmaci (p. es. la fenitoina nel deficit di IgA). Nella maggior parte delle affezioni, l’esatta alterazione biologica è sconosciuta.

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Sintomi e segni

La maggior parte delle manifestazioni cliniche delle immunodeficienze è dovuta alle frequenti infezioni, che solitamente esordiscono come infezioni respiratorie ricorrenti. (Tuttavia, molti lattanti immunologicamente normali contraggono da sei a otto infezioni respiratorie l’anno, soprattutto se esposti al contagio da parte di fratelli maggiori o di altri bambini.) In seguito, la maggior parte dei pazienti con immunodeficienza finisce con il contrarre una o più infezioni batteriche gravi che persistono, recidivano o portano a complicanze; p. es. la sinusite, l’otite cronica e la bronchite fanno spesso seguito a episodi ripetuti di faringite o di infezione delle vie respiratorie superiori. La bronchite può progredire fino alla polmonite, alle bronchiettasie e all’insufficienza respiratoria, che rappresenta la causa di morte più frequente. Possono verificarsi infezioni sostenute da germi opportunisti (p. es. Pneumocystis carinii o cytomegalovirus), soprattutto nei pazienti affetti da deficit delle cellule T.

Frequenti sono anche le infezioni della cute e delle mucose. Una candidosi orale refrattaria può essere il primo segno di un’immunodeficienza a carico delle cellule T. Si osservano anche ulcere orali e periodontiti, soprattutto nei deficit granulocitari. In molti adulti affetti da deficit anticorpali si manifesta una congiuntivite. Il pioderma, le verruche gravi, l’alopecia, gli eczemi e le teleangectasie sono di riscontro comune.

Sintomi frequenti comprendono la diarrea, il malassorbimento e i difetti di crescita. La diarrea di solito è di tipo non infettivo, ma può essere dovuta a Giardia lamblia, rotavirus, cytomegalovirus o Cryptosporidium. In alcuni pazienti la diarrea può essere di tipo essudativo, con perdita di proteine sieriche e di linfociti.

Manifestazioni meno comuni di immunodeficienza comprendono alterazioni ematologiche (anemia emolitica autoimmune, leucopenia, trombocitopenia), fenomeni autoimmunitari (vasculite, artrite, endocrinopatie) e alterazioni a carico del SNC (encefalite cronica, rallentamento dello sviluppo, convulsioni).

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Diagnosi

È importante che venga raccolta l’anamnesi familiare. Se vi è una storia di decessi precoci, malattie analoghe a quella del paziente, patologie autoimmuni, allergie, neoplasie maligne troppo precoci o consanguineità, la stesura di un albero genealogico potrà essere d’aiuto nell’identificazione di una trasmissione ereditaria. Si dovrà rilevare la presenza di una storia di reazioni avverse alle immunizzazioni o alle infezioni virali, così come di pregressi interventi chirurgici (p. es. splenectomia, tonsillectomia, adenoidectomia), di terapie radianti sul timo o sul rinofaringe, e di precedenti terapie antibiotiche e immunoglobuliniche (IG) e della loro apparente efficacia clinica.

Il tipo di infezione può dare indicazioni sulla natura dell’immunodeficienza. Nelle immunodeficienze anticorpali (B-cellulari) si osservano infezioni sostenute dai principali germi gram + (pneumococchi, streptococchi). Infezioni gravi sostenute da virus, funghi e altri microrganismi opportunisti sono di riscontro comune nelle immunodeficienze cellulari (T-cellulari). Nelle immunodeficienze a carico dei fagociti sono frequenti le infezioni ricorrenti da stafilococchi e da germi gram-. Le infezioni ricorrenti da Neisseria sono caratteristiche dei pazienti con diversi deficit a carico dei componenti del complemento. Talune infezioni opportunistiche (p. es. da P. carinii, Cryptosporidium o Toxoplasma) possono verificarsi in diverse forme di immunodeficienza.

Anche l’età di esordio può essere d’aiuto per la diagnosi; i lattanti con meno di 6 mesi solitamente sono affetti da deficit delle cellule T. Tuttavia, un esordio di malattia intorno ai 6 mesi di età, quando gli anticorpi materni ricevuti per via transplacentare sono scomparsi, è indicativo di un deficit congenito della secrezione anticorpale.

All’esame obiettivo, i pazienti affetti da immunodeficienza hanno spesso l’aspetto di malati cronici, con pallore, malessere generale, malnutrizione e distensione addominale. Sulla cute possono comparire eruzioni maculari, vescicole, pioderma, eczemi, petecchie, alopecia o teleangectasie. La congiuntivite è frequente, specialmente negli adulti. I linfonodi cervicali e il tessuto adenoideo e tonsillare sono caratteristicamente assenti nelle immunodeficienze a carico delle cellule B o T, nonostante un’anamnesi positiva per infezioni faringee ricorrenti. Questo reperto può essere confermato con una rx laterale del faringe, che può mostrare l’assenza del tessuto adenoideo. Occasionalmente, i linfonodi sono ingranditi e suppurati. Le membrane timpaniche presentano spesso cicatrici o perforazioni. Le narici possono essere escoriate e ricoperte di croste, indizi suggestivi di secrezione nasale purulenta. Può essere presente stillicidio nasale posteriore e diminuzione del riflesso faringeo. Spesso è presente tosse cronica. È frequente il reperto di rantoli, specialmente negli adulti con immunodeficienza. Il fegato e la milza sono frequentemente ingranditi. La massa muscolare e i depositi adiposi delle natiche sono diminuiti. Nei lattanti, possono essere presenti escoriazioni perianali conseguenti alla diarrea cronica. L’esame neurologico può mettere in evidenza un ritardo nelle fasi dell’accrescimento oppure atassia.

In un certo numero di sindromi da immunodeficienza, la presenza di una caratteristica costellazione di reperti obiettivi consente di porre una diagnosi clinica presuntiva: neonati affetti da sindrome di Di George che presentano infezioni, tetania, facies caratteristica e cardiopatie congenite; ragazzi con sindrome di Wiskott-Aldrich che presentano infezioni da piogeni, eczemi e manifestazioni emorragiche; bambini con atassia-teleangectasia che presentano infezioni senopolmonari ricorrenti, atassia e teleangectasie; ragazze con i capelli rossi affette dalla variante di Job della sindrome da iper-IgE che presentano pelle chiara, eczemi e infezioni stafilococciche ricorrenti. Questi disordini sono illustrati in maggior dettaglio più avanti e nella Tab. 147-4.

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Indagini di laboratorio

In tutti i casi di immunodeficienza, è necessario eseguire indagini selezionate per confermare o stabilire la diagnosi; spesso sono necessari test avanzati per sottoclassificare la malattia, condizione indispensabile per impostare una terapia razionale (v. Tab. 147-5). Le indagini di screening possono essere eseguite nella maggior parte dei laboratori e degli ospedali e i test avanzati possono essere svolti nella maggioranza dei grandi ospedali, mentre i test specialistici sono disponibili soltanto nei laboratori o negli ospedali dotati di sofisticate attrezzature immunologiche.

Quando si sospetta un’immunodeficienza, le analisi di screening raccomandate comprendono un emocromo completo con formula leucocitaria e conta piastrinica; la determinazione dei livelli plasmatici di IgG, IgM e IgA; la valutazione della funzione anticorpale; la ricerca clinica e laboratoristica dell’eventuale stato infettivo.

L’emocromo stabilisce se è presente anemia, trombocitopenia, neutropenia o leucocitosi. Va considerato con attenzione il numero totale dei linfociti; una linfopenia (< 1500/ml) è indicativa di un’immunodeficienza T-cellulare. Lo striscio di sangue periferico va esaminato alla ricerca dei corpi di Howell-Jolly e di altre forme eritrocitarie inusuali indicative di asplenia o di iposplenismo. I granulociti possono presentare anomalie morfologiche (p. es. i granuli della sindrome di Chédiak-Higashi).

Nonostante nella valutazione iniziale sia compresa anche la determinazione dei livelli delle immunoglobuline (Ig), in un primo momento i livelli di IgD e di IgE non vengono misurati. I livelli delle Ig vanno interpretati con cautela, a causa delle notevoli variazioni che si osservano con l’età; tutti i lattanti tra i 2 e i 6 mesi sono ipogammaglobulinemici rispetto ai valori di riferimento dell’adulto. Di conseguenza, i livelli vanno confrontati con quelli degli individui normali di pari età. In generale, si considerano normali i livelli di Ig compresi entro 2 deviazioni standard dalla media per ciascuna età. Un livello di Ig totali (IgG + IgM + IgA) > 600 mg/dl o un livello di IgG > 400 mg/dl, in presenza di normalità dei test funzionali anticorpali di screening, esclude la presenza di un deficit della produzione anticorpale. Un livello di Ig totali < 200 mg/dl è solitamente indice di un deficit anticorpale significativo. Livelli intermedi (cioè livelli di IgG compresi tra 200 e 400 mg/dl o livelli di Ig totali compresi tra 400 e 600 mg/dl) non sono dirimenti e devono essere messi in relazione con i test anticorpali funzionali.

Per la valutazione iniziale è raccomandata anche l’esecuzione dei test anticorpali di screening. La funzione delle IgM viene valutata per mezzo dei titoli delle isoagglutinine (anti-A e/o anti-B). Tutti i pazienti, tranne i lattanti più piccoli di 6 mesi e i soggetti di gruppo sanguigno AB, possiedono anticorpi naturali a un titolo di 1:8 (anti-A) o 1:4 (anti-B) o superiore. Gli anticorpi diretti contro questi antigeni e contro taluni polisaccaridi batterici sono selettivamente diminuiti in determinati disordini (p. es. la sindrome di Wiskott-Aldrich, il deficit di IgG2). Nei pazienti immunizzati, i titoli degli anticorpi diretti contro gli antigeni dell’Haemophilus influenzae di tipo B, dell’epatite B, del virus del morbillo, del tetano o della difterite possono essere utilizzati per valutare la funzione delle IgG. Un’adeguata risposta anticorpale a uno o più di questi antigeni depone contro la presenza di un deficit della secrezione degli anticorpi. In ultimo, la valutazione iniziale deve comprendere la ricerca di uno stato infettivo cronico. LaVES è spesso elevata, solitamente in maniera proporzionale al grado dell’infezione. Vanno eseguiti appropriati esami radiologici (torace, seni paranasali) e colturali.

Se i risultati di tutte queste indagini di primo livello sono normali, solitamente si può escludere la presenza di un’immunodeficienza (e particolarmente di un deficit anticorpale). Tuttavia, se si documenta la presenza di un’infezione cronica, se l’anamnesi appare insolitamente sospetta o se i risultati dei test di screening sono positivi, si deve procedere all’esecuzione dei test avanzati.

Test per i deficit delle cellule B (anticorpali): se i livelli delle Ig sono molto bassi (livelli totali < 200 mg/dl), la diagnosi di deficit della produzione anticorpale è certa e procedure ulteriori divengono indicate soltanto per definire con precisione la patologia e identificare la presenza di altri difetti immunologici. Se i livelli delle Ig e i titoli anticorpali preesistenti sono bassi ma non nulli, bisogna procedere alla valutazione delle risposte anticorpali nei confronti di uno o più antigeni standardizzati. I titoli anticorpali vengono misurati prima e da 3 a 4 settimane dopo l’immunizzazione con vaccini costituiti da tossoide tetanico o H. influenzae di tipo B (per valutare la responsività agli antigeni proteici), oppure dopo immunizzazione con vaccino pneumococcico o meningococcico (per valutare la responsività agli antigeni polisaccaridici). Una risposta inadeguata (aumento del titolo inferiore a quattro volte il valore di base) è indicativa di un deficit anticorpale, indipendentemente dai livelli delle Ig.

Se i livelli delle Ig sono bassi, si esegue la conta delle cellule B valutando con la citometria a flusso la percentuale di linfociti che reagisce con anticorpi marcati con fluoresceina diretti contro antigeni specifici delle cellule B (p. es. CD19, CD20). Normalmente, risulta positivo per la presenza di Ig di membrana il 10-20% dei linfociti del sangue periferico (cellule B).

In seguito, va eseguito il dosaggio dei livelli sierici delle sottoclassi delle IgG e dei livelli di IgD e IgE. I livelli della sottoclasse IgG1 (come quelli delle IgG) dipendono strettamente dall’età. In generale, dopo i 2 anni di età, per porre la diagnosi di deficit di una delle sottoclassi delle IgG devono essere presenti livelli di IgG1 < 250 mg/dl, di IgG2 < 50 mg/dl, di IgG3 < 25 mg/dl o livelli indosabili di IgG4. Livelli di IgD e IgE sia elevati sia bassi sono comuni nelle sindromi da deficit anticorpali parziali. I livelli delle IgE sono elevati nei disordini della chemiotassi, nelle immunodeficienze T-cellulari parziali, nelle malattie allergiche e nelle parassitosi. I deficit isolati di IgG4, IgD e IgE sono privi di importanza clinica.

Altre indagini di laboratorio per i deficit delle cellule B divengono indicate in circostanze particolari (v. Tab. 147-5). Di fronte a una linfoadenopatia, è indicata l’esecuzione di una biopsia linfonodale (talvolta preceduta da immunizzazione nell’estremità adiacente) per escludere la presenza di un tumore maligno o di un’infezione. La determinazione delle sottoclassi delle IgG è indicata se i livelli di IgG sono normali o quasi normali ma la funzione anticorpale risulta ridotta. Possono essere presenti deficit selettivi a carico di una delle quattro sottoclassi. Se esiste il sospetto di un rapido catabolismo delle IgG o di una loro perdita attraverso la cute o il tratto GI, può essere indicato uno studio della sopravvivenza delle IgG. Se il paziente presenta livelli di IgG bassi, viene somministrata un’alta dose di immunoglobuline EV e vengono misurati quotidianamente i livelli delle IgG per determinarne l’emivita. Se le eventuali infezioni locali sono gravi, si possono misurare i livelli delle Ig nelle secrezioni (p. es. lacrime o saliva). Per individuare la posizione esatta del blocco sintetico, vengono valutate la sintesi di IgG in vitro e la risposta anticorpale nei confronti di antigeni particolari (p. es. l’antigene del fago fX o l’emocianina del mollusco Megathura crenulata). Nelle malattie in cui il difetto genetico è stato identificato, il gene mutante o il prodotto del gene mutante può essere individuato (p. es. il gene Btk [della tirosin chinasi di Bruton] nell’agammaglobulinemia legata al cromosoma X) mediante test di laboratorio particolari.

Test per i deficit delle cellule T: una linfopenia marcata e persistente suggerisce la presenza di un’immunodeficienza a carico delle cellule T; tuttavia, la linfopenia non è sempre presente. Una rx del torace è un utile test di screening nei lattanti; l’assenza dell’ombra timica nel periodo neonatale è un elemento indicativo di un deficit T-cellulare, specialmente se la rx viene eseguita prima che abbiano luogo infezioni o altri insulti che possono provocare la riduzione di volume del timo.

I test cutanei di ipersensibilità ritardata sono indagini di screening preziose dopo i due anni di età. Vengono utilizzati i seguenti antigeni: parotite, Candida (1:100), tossoide tetanico fluido (1:10) e Trichophyton. Praticamente tutti gli adulti e la maggior parte dei lattanti e dei bambini immunizzati reagisce a uno o più di questi antigeni con la comparsa di eritema e indurimento (> 5 mm) a 48 h. La presenza di positività a uno o più dei test cutanei ritardati è generalmente indicativa di un sistema T-cellulare integro.

Il più utile fra i test avanzati per la valutazione dell’immunodeficienza cellulare è la conta delle cellule T e delle sottopopolazioni T-linfocitarie (helper/inducer e suppressor/citotossiche), eseguito di solito mediante citometria a flusso con l’impiego di anticorpi monoclonali di topo specifici per le cellule T. Il numero totale delle cellule T viene determinato utilizzando un anticorpo diretto contro un antigene comune a tutte le cellule T (p. es. anti-CD3, anti-CD2); le cellule T helper/inducer vengono misurate impiegando un anticorpo anti-CD4 e le cellule suppressor/citotossiche vengono misurate per mezzo di un anticorpo anti-CD8. (In generale questi test hanno soppiantato le tecniche di rosettamento su GR di pecora per la conta delle cellule T.) Un numero di cellule T helper (CD4) < 500 cellule/ml è fortemente indicativo di un’immunodeficienza T-cellulare e un numero di CD4 < 200 cellule/ml indica una grave immunodeficienza a carico delle cellule T. Il rapporto tra cellule CD4/CD8 (helper/suppressor) deve essere > 1,0; l’inversione di questo rapporto suggerisce anch’essa la presenza di un’immunodeficienza T-cellulare (p. es. nella AIDS la diminuzione del rapporto CD4/CD8 è segno di una compromissione immunologica progressiva). Sono disponibili anche anticorpi monoclonali per l’identificazione delle cellule attivate (CD25), delle cellule natural killer (CD16 e CD56) e degli antigeni (CD1) delle cellule T immature (timociti).

Un altro utile test avanzato misura la capacità dei linfociti del paziente di proliferare e di ingrandirsi (trasformarsi) quando vengono coltivati in presenza di mitogeni (p. es. fitoemoagglutinina, concanavalina A), di GB allogenici irradiati (nella reazione leucocitaria mista) o di antigeni con i quali il paziente sia venuto a contatto in precedenza. Sotto l’effetto di questi stimoli, i linfociti normali vanno incontro a una rapida divisione cellulare, che può essere rilevata con metodi morfologici o mediante la captazione di timidina radioattiva all’interno delle cellule in divisione. La proliferazione viene di solito espressa come un indice, costituito dal rapporto tra la conta/min delle cellule stimolate e la conta/min di un numero equivalente di cellule non stimolate. I pazienti affetti da immunodeficienza T-cellulare presentano risposte proliferative ridotte o nulle in proporzione al grado di deficit immunitario. Le risposte proliferative ai mitogeni (i quali attivano tutte le cellule) sono molto più elevate (indice di stimolazione fra 50 e 100) rispetto alla risposta agli antigeni o alle cellule allogeniche (indice di stimolazione fra 3 e 30).

Test speciali offrono la possibilità di valutare anche la produzione di linfochine dopo stimolazione con mitogeni o antigeni. Nonostante esistano più di 30 linfochine, vengono valutati per lo più l’interferon g, l’interleuchina 2, l’interleuchina 4 e il tumor necrosis factor a. Determinati pazienti presentano risposte proliferative adeguate ma una produzione di linfochine insufficiente (p. es. deficit del fattore di inibizione della migrazione nella candidosi mucocutanea cronica). Altri test valutano la funzione citotossica. Le diverse forme di citotossicità (natural killer, anticorpo-dipendente o delle cellule T citotossiche) vengono misurate utilizzando diverse cellule tumorali o cellule bersaglio infettate da virus. I deficit della citotossicità sono presenti in vario grado nelle immunodeficienze cellulari. In alcune forme di immunodeficienza combinata sono carenti gli enzimi della via metabolica delle purine (adenosina deaminasi, nucleoside fosforilasi), che possono essere determinati con l’impiego dei GR. È possibile misurare i livelli di diversi ormoni timici (timosina, fattore timico sierico); essi risultano bassi in alcune forme di immunodeficienza cellulare. La tipizzazione HLA può essere di valido aiuto per valutare la presenza di due popolazioni diverse di cellule (chimerismo) e per escludere deficit a carico degli antigeni HLA (sindrome del linfocita nudo).

La determinazione dell’integrità del recettore delle cellule T e della via di trasduzione del segnale ha consentito l’identificazione di alcuni difetti dell’attivazione delle cellule T e permette la loro valutazione.

Test per i deficit delle cellule fagocitarie: un approfondimento in questo senso è indicato quando un paziente con una storia clinica indicativa di immunodeficienza possiede un’immunità umorale e cellulare normale. La mancata formazione di pus nella sede di un’infiammazione e un ritardo nel distacco del cordone ombelicale accompagnato da leucocitosi marcata sono indizi che suggeriscono un difetto della chemiotassi.

Oltre all’emocromo, la valutazione iniziale deve comprendere una determinazione dei livelli di IgE, che risultano elevati in molti disordini della chemiotassi, e un test di riduzione del colorante nitroblu di tetrazolio (NBT) per la malattia granulomatosa cronica, la più comune fra le alterazioni della fagocitosi. Il test al NBT è basato sull’aumento dell’attività metabolica dei granulociti durante la fagocitosi e il killing, che provoca la riduzione del NBT incolore con formazione di formazan blu. Questo cambiamento di colore, assente nella malattia granulomatosa cronica, può essere valutato visivamente, microscopicamente o con la spettrofotometria.

Il primo test specifico è costituito dalla colorazione dei granulociti per la mieloperossidasi, la fosfatasi alcalina o l’esterasi. La negatività della colorazione per questi enzimi va approfondita con l’esecuzione di indagini quantitative. In seguito, si può valutare la motilità cellulare con la tecnica della finestra cutanea di Rebuck, nella quale si esegue con un bisturi un’abrasione superficiale della cute che viene quindi ricoperta con un vetrino coprioggetti; esso viene rimosso e sostituito a intervalli regolari e colorato per l’osservazione delle cellule in migrazione. Un afflusso iniziale di PMN deve essere rilevabile entro le prime 2 h ed essere poi sostituito dall’arrivo di monociti entro 24 h. L’esistenza di un’alterazione della chemiotassi può essere confermata mediante un test in vitro nel quale viene misurata la migrazione dei granulociti o dei monociti con l’impiego di una speciale camera chemiotattica (di Boyden) o di una piastra di agaroso; viene valutato il movimento cellulare in direzione di una sostanza chemioattraente (p. es. lo zymosan opsonizzato).

Successivamente viene valutata la funzione fagocitaria misurando la captazione di particelle di lattice o di batteri da parte di granulociti o di monociti isolati. Viene poi indagata l’attività microbicida mescolando in siero fresco i granulociti del paziente con un numero conosciuto di batteri vivi, ed eseguendo poi determinazioni batteriche quantitative seriate in un arco di tempo di 2 h.

Altri test specializzati definiscono meglio i difetti della fagocitosi: test di mobilizzazione granulocitaria dopo somministrazione di corticosteroidi, adrenalina o endotossine; determinazioni quantitative degli enzimi granulocitari (mieloperossidasi, G6PD, ecc.); ricerca dei prodotti ossidanti granulocitari (perossido di idrogeno, ione superossido); test per la determinazione di proteine granulocitarie specifiche (glicoproteine di adesione al CR3 [CD11], componenti della nicotinamide adenin dinucleotide fosfato ossidasi). Questi ultimi consentono di distinguere le quattro forme genetiche della malattia granulomatosa cronica.

Test per i deficit del complemento: la presenza di un’alterazione a carico del complemento viene valutata inizialmente misurando l’attività complementare totale del siero (CH50) e i livelli sierici di C3 e C4. Il riscontro di bassi livelli di uno qualunque di questi parametri deve essere seguito dalla titolazione della via classica e della via alternativa del complemento e dal dosaggio dei singoli componenti complementari. Il deficit di componenti della via classica è associato anche con la patologia renale immunitaria, con le reazioni tipo malattia da siero o con le infezioni acute. Per misurare i componenti complementari si utilizzano antisieri mono-specifici o GR sensibilizzati e soluzioni che contengono tutti i componenti tranne quello da determinare.

Sono disponibili antisieri anche per la determinazione delle proteine regolatrici del complemento. Il deficit di C1-inibitore è alla base dell’edema angioneurotico ereditario e il deficit di fattore I (C3-inibitore) è associato al deficit di C3 con ipercatabolismo del C3. Per valutare la funzione del complemento in modo indiretto si possono impiegare i test di attività opsoninica, chemiotattica o battericida del siero. Per una trattazione dettagliata del sistema del complemento, v. Cap. 146.

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Prevenzione

La prevenzione delle immunodeficienze primarie è limitata alla consulenza genetica, quando sia nota la presenza di forme a trasmissione ereditaria conosciuta. La diagnosi prenatale su cellule amniotiche in coltura o su sangue fetale è possibile soltanto per alcuni di questi disordini, tra i quali l’agammaglobulinemia legata al cromosoma X, la sindrome di Wiskott-Aldrich, la maggior parte delle forme di immunodeficienza combinata grave, il deficit di adenosina deaminasi e la malattia granulomatosa cronica. Per escludere la presenza di malattie legate al cromosoma X si può ricorrere anche alla determinazione del sesso fetale. In un certo numero di questi disordini si può identificare un’ereditarietà di tipo eterozigote.

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Prognosi

La maggior parte delle immunodeficienze primitive ha un’origine genetica e dura per tutta la vita. La prognosi è quanto mai variabile (v. Tab. 147-6), ma alcune immunodeficienze possono essere curate con il trapianto di cellule staminali. La maggioranza dei pazienti affetti da immunodeficienze anticorpali o da un deficit del complemento ha una prognosi favorevole con un’aspettativa di vita pressoché normale, a patto che venga identificata precocemente, sia trattata con regolarità e non sia affetta da malattie croniche concomitanti (p. es. una patologia polmonare). Altri pazienti con immunodeficienza, p. es. quelli con disordini della fagocitosi, con disordini combinati o con alterazioni della produzione anticorpale affetti da infezioni croniche, hanno una prognosi meno buona riguardo all’aspettativa di vita; la maggior parte è cronicamente malata e necessita di un trattamento intensivo (p. es. IGEV, antibiotici, drenaggio posturale, interventi chirurgici, ecc.). Alcuni pazienti con immunodeficienza hanno una prognosi quoad vitam decisamente sfavorevole (quelli affetti da atassia-teleangectasia, quelli con immunodeficienza combinata grave che non sono stati sottoposti a trapianto).

Due istituzioni che si occupano di immunodeficienze per il sostegno e l’informazione dei pazienti e per la ricerca, sono la Jeffrey Modell Foundation (001-800-JEFF-844) e la Immune Deficiency Foundation (001-800-296-4433).

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Terapia

La gestione complessiva dei pazienti affetti da immunodeficienza richiede una quantità di cure straordinaria per mantenere uno stato di salute e di nutrizione ottimali, trattare le infezioni (v. Cap. 151), prevenire i problemi psicologici legati alla malattia e sostenere i costi. I pazienti devono essere protetti dalle occasioni evitabili di esposizione alle infezioni, devono dormire nel loro letto personale e avere preferibilmente camere riservate. Se vi è evidenza di qualche attività anticorpale, si devono somministrare loro regolarmente vaccini preparati con microrganismi uccisi. L’apparato dentario deve essere sempre mantenuto in buone condizioni.

Gli antibiotici sono farmaci salvavita per il trattamento delle infezioni; la scelta e il dosaggio sono identici a quelli impiegati normalmente. Tuttavia, poiché i pazienti con immunodeficienza possono soccombere rapidamente alle infezioni, la febbre o altri segni di infezione vanno sempre interpretati come secondari a infezione batterica e la terapia antibiotica va intrapresa senza esitazioni. Prima di iniziare la terapia a pieno regime, vanno eseguiti un tampone faringeo, una emocoltura o eventuali altri esami colturali; essi risultano particolarmente utili in seguito, qualora l’infezione non dovesse rispondere all’antibiotico iniziale e qualora il microrganismo infettante appartenga a una specie non comune.

La somministrazione continua di antibiotici a scopo profilattico è spesso di giovamento, in particolare quando esiste il rischio di infezioni improvvise a decorso rapidamente progressivo (p. es. nella sindrome di Wiskott-Aldrich o nelle sindromi aspleniche), quando altre forme di terapia immunitaria non sono disponibili (p. es. nei deficit della fagocitosi) o non sono sufficienti (p. es. nelle infezioni ricorrenti in corso di agammaglobulinemia nonostante la terapia immunoglobulinica) e quando esiste un rischio elevato di contrarre un’infezione specifica (p. es. P. carinii nei deficit dell’immunità cellulare).

Gli antivirali, comprese l’amantadina o la rimantadina per l’influenza, l’acyclovir per le infezioni erpetiche (incluse quelle da virus della varicella-zoster) e la ribavirina per il virus respiratorio sinciziale, possono risultare farmaci salvavita nei pazienti con immunodeficienza affetti da infezioni virali.

Le immunoglobuline (IG) costituiscono una terapia sostitutiva efficace nella maggior parte delle forme di deficit anticorpale. Si tratta di una soluzione di IgG al 16,5%, con quantità minime di IgM e di IgA, per uso IM o SC, oppure di una soluzione dal 3 al 12% per infusione EV (IGEV). La dose d’attacco abituale è di 200 mg/kg (1,4 ml/kg della preparazione al 16,5% o 400 mg/ kg [8 ml/kg]di una preparazione al 5%) somministrati in 2 o 3 dosi nell’arco di 2-5 giorni, seguita da una dose mensile di 100 mg/kg (0,7 ml/kg della soluzione al 16,5% o 200 mg/kg [4 ml/kg]della soluzione al 5%). Dosi inferiori non sono efficaci. Poiché una dose di IgG di 100 mg/kg innalza i livelli sierici depressi di IgG soltanto di circa 100 mg/dl, alcuni pazienti necessitano di dosi maggiori o più frequenti. La massima dose IM somministrabile in una singola sede è di 10 ml negli adulti e di 5 ml nei bambini; pertanto possono essere necessarie più iniezioni in sedi differenti. Alte dosi di IGEV (da 400 a 800 mg/kg al mese) possono essere somministrate e sono di effettivo giovamento in alcuni pazienti con deficit anticorpale che non rispondono bene alle dosi convenzionali, specialmente quelli affetti da pneumopatie croniche. Lo scopo della somministrazione di IGEV ad alte dosi è quello di mantenere i livelli delle IgG entro i valori normali (cioè > 500 mg/dl). Per la terapia con IG ad alte dosi (cioè > 400 mg/kg al mese) sono state impiegate anche le infusioni SC lente di IG o le IGEV al 10% somministrate a intervalli settimanali.

Come alternativa alle IG è stato utilizzato il plasma, ma a causa del rischio di trasmissione di malattie, esso raramente trova indicazione. Il plasma contiene numerosi fattori oltre alle Ig ed è risultato prezioso nei pazienti affetti da enteropatia protido-disperdente, deficit del complemento e diarrea refrattaria. Plasma privo di IgA è stato impiegato con successo nei pazienti con fenomeni di ipersensibilità acuta alle IgA contenute nelle preparazioni di IG.

Altre terapie, comprendenti i farmaci immunostimolanti (levamisolo, isoprinosina), le terapie biologiche (transfer factor, interleuchine, interferoni) e gli ormoni (ormoni timici), si sono dimostrate di valore limitato nel trattamento delle immunodeficienze cellulari o fagocitarie. Alcuni pazienti con deficit di adenosina deaminasi hanno tratto beneficio dalla terapia sostitutiva enzimatica con adenosina deaminasi bovina coniugata con glicole polietilenico (PolyEthylene Glycol-Adenosine DeAminase, PEG-ADA).

Il trapianto di cellule staminali, solitamente ottenuto con un trapianto di midollo osseo, è spesso in grado di ottenere la correzione completa dell’immunodeficienza (v. anche Cap. 149). Nell’immunodeficienza combinata grave e nelle sue varianti, il trapianto di midollo osseo da un fratello donatore HLA-identico appaiato con coltura leucocitaria mista ha consentito il ripristino delle funzioni immunitarie in più di 300 casi. Nei pazienti con immunità cellulare integra o solo parzialmente compromessa (p. es. nella sindrome di Wiskott-Aldrich) si deve praticare un’immunosoppressione preventiva per garantire l’attecchimento del trapianto. Quando non è disponibile un fratello donatore HLA-identico, si può utilizzare il midollo osseo aploidentico (emiappaiato) prelevato da uno dei genitori. In tali circostanze, prima dell’impianto bisogna eliminare dal midollo del genitore le cellule T mature, che provocherebbero una malattia del trapianto contro l’ospite. Ciò si può ottenere mediante la rimozione con agglutinazione in lecitina di soia o con l’impiego di anticorpi monoclonali diretti contro le cellule T. In alternativa, può essere utilizzato midollo osseo proveniente da un individuo compatibile ma non imparentato identificato attraverso l’International Bone Marrow Transplant Registry. Come fonte di cellule staminali può essere utilizzato anche il sangue del cordone ombelicale di un fratello HLA-appaiato oppure sangue di cordone HLA-compatibile proveniente da una banca ematologica. Queste procedure specialistiche sono disponibili soltanto in un ristretto numero di centri.

Occasionalmente hanno avuto successo i trapianti di timo fetale, di timo neonatale in coltura, di cellule epiteliali timiche e di fegato fetale e particolarmente i trapianti di timo fetale nella sindrome di Di George.

Precauzioni: ai pazienti con immunodeficienze a carico delle cellule B o T non devono essere somministrati vaccini preparati con microrganismi vivi (p. es. poliovirus, morbillo, parotite, rosolia, BCG) a causa del rischio di sviluppare una malattia indotta dal vaccino e i membri della famiglia non devono essere sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica con virus vivo. I pazienti con deficit dell’immunità cellulare non devono ricevere emoderivati freschi che possono contenere linfociti integri, a causa del rischio di una reazione del trapianto contro l’ospite; di conseguenza, il sangue intero o le sue frazioni (p. es. GR, piastrine, granulociti e plasma) devono essere irradiati (dai 15 ai 30 Gy) prima di essere infusi. I pazienti devono inoltre ricevere emoderivati provenienti da donatori sieronegativi per cytomegalovirus. Nei pazienti affetti da deficit selettivo di IgA va solitamente evitata la somministrazione di IG o di plasma, perché anticorpi anti-IgA possono svilupparsi o provocare reazioni avverse. I pazienti con splenomegalia devono evitare di praticare sport di contatto fisico. I pazienti trombocitopenici devono evitare le iniezioni IM (p. es. di IG). È opportuno somministrare antibiotici in concomitanza con interventi chirurgici o procedure odontoiatriche.

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