11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA

139. LINFOMI

Gruppo eterogeneo di neoplasie che originano dai sistemi reticoloendoteliale e linfatico.

MORBO DI HODGKIN

Proliferazione maligna disseminata o localizzata di cellule tumorali derivanti dal sistema linforeticolare, primariamente coinvolgente il tessuto linfonodale e il midollo osseo.

Sommario:

Incidenza ed eziologia
Anatomia patologica
Sintomi e segni
Esami di laboratorio
Diagnosi
Stadiazione
Terapia

Incidenza ed eziologia

Ogni anno negli USA vengono diagnosticati 6000-7000 nuovi casi di malattia. Il rapporto tra sesso maschile e femminile è 1,4:1. Questa malattia è rara al di sotto dei 10 anni di età e ha una distribuzione bimodale con un picco di maggiore incidenza tra 15 e 34 anni e un secondo picco dopo i 60 anni. Tuttavia, il secondo picco può essere un artefatto di inaccurate diagnosi patologiche, poiché la maggior parte dei casi diagnosticati dopo i 60 anni è rappresentata da linfomi non Hodgkin di grado intermedio (v. NHL, oltre). Gli studi epidemiologici non hanno dimostrato alcuna diffusione orizzontale. La causa è sconosciuta, ma i pazienti con morbo di Hodgkin sembrano avere una suscettibilità genetica (come dimostrato negli studi su gemelli) e associazioni ambientali (p. es., l’occupazione, come per i falegnami; l’infezione da virus di Epstein-Barre; l’infezione da HIV).

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Anatomia patologica

La diagnosi dipende dall’identificazione delle cellule di Reed-Sternberg (grandi cellule binucleate) nei linfonodi o in altre aree. L’infiltrato cellulare è eterogeneo e consiste di istiociti, linfociti, monociti, plasmacellule ed eosinifili. Il morbo di Hodgkin ha quattro sottotipi istopatologici (v. Tab. 139-1).

Le cellule di Reed-Sternberg sono di solito CD15+ e CD30+ all’analisi immunofenotipica. Il morbo di Hodgkin a predominanza linfocitaria può essere confuso con il NHL a cellule B ricco in cellule T; il morbo di Hodgkin a sclerosi nodulare, a cellularità mista e a deplezione linfocitaria possono essere confusi con il NHL anaplastico Ki-1 a grandi cellule.

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Sintomi e segni

I sintomi e i segni correlano primariamente con il sito, la quantità e l’estensione del coinvolgimento della massa nodale. La maggior parte dei pazienti presenta adenomegalia cervicale e mediastinica, senza sintomi di interessamento sistemico. Quando la malattia diffonde attraverso il sistema reticoloendoteliale, progredendo generalmente per contiguità da un sito all’altro, si rendono evidenti altre manifestazioni. La velocità di progressione varia in accordo al sottotipo istopatologico (v. Tab. 139-1). Un sintomo precoce è il prurito intenso; quando c’è l’interessamento dei linfonodi profondi (pacchetti mediastinici o retroperitoneali), dei visceri (fegato) o del midollo osseo compaiono frequentemente febbre, sudorazione notturna e perdita di peso. Soltanto occasionalmente compare la febbre di Pel-Ebstein (caratterizzata da brevi periodi di iperpiressia alternati a periodi di durata variabile, da alcuni giorni a diverse settimane, di temperatura normale o al di sotto della norma). Sebbene il meccanismo non sia chiaro, un dolore immediato può manifestarsi nelle aree malate dopo aver bevuto bevande alcoliche, fornendo un indizio precoce per la diagnosi.

La localizzazione ossea è spesso asintomatica, ma può produrre lesioni vertebrali dolorose di tipo osteoblastico (vertebre "di avorio") e, più raramente, di tipo osteolitico con fratture da compressione. Pancitopenia è occasionalmente causata da invasione midollare, di solito nella varietà a deplezione linfocitaria. L’invasione epidurale può portare a compressione del midollo spinale, con secondaria paraplegia. Un’eventuale compressione dei linfonodi ingranditi sui nervi simpatico cervicale e laringeo ricorrente può comportare la sindrome di Horner e la paralisi laringea. La compressione delle radici nervose è seguita da dolore di tipo nevralgico. Raramente si sviluppano lesioni intracraniche, gastriche e cutanee, che, se presenti, suggeriscono una malattia di Hodgkin associata a HIV.

L’ostruzione dei dotti biliari intra- o extra-epatici da parte di masse tumorali determina la comparsa di ittero. L’ostruzione linfatica a livello della pelvi o dell’inguine può determinare edema degli arti inferiori. Mentre la compressione tracheobronchiale può accompagnarsi a dispnea grave e a respiro sibilante. L’infiltrazione del parenchima polmonare può simulare una massa lobare o una broncopolmonite e può evolvere in caverna o ascesso polmonare.

La maggior parte dei pazienti mostra un deficit dell’immunità ritardata o cellulomediata (funzione cellule T) che contribuisce, nelle fasi avanzate delle malattia, all’instaurarsi di infezioni batteriche da germi comuni e di infezioni inconsuete, fungine, virali e protozoarie (v. Cap. 151). Negli stadi molto avanzati della malattia si instaura anche un deficit dell’immunità umorale (produzione di anticorpi) o della funzione dei linfociti B. Compare la cachessia e il paziente spesso muore per sepsi.

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Esami di laboratorio

Può essere presente una lieve o moderata leucocitosi con neutrofilia. Precocemente compare la linfocitopenia che diventa grave nella fase avanzata della malattia. Nel 20% circa dei casi è presente eosinofilia e, talvolta, trombocitosi. Nelle fasi avanzate è comune l’anemia, di solito microcitica. Nelle fasi avanzate dell’anemia, c’è un difetto nella riutilizzazione del Fe che si associa a bassa sideremia, ridotta capacità legante il Fe e aumento dei depositi midollari di Fe. Possono comparire i segni dell’ipersplenismo, ma di solito ciò si verifica nei pazienti con marcata splenomegalia. L’aumento della fosfatasi alcalina sierica indica solitamente un coinvolgimento del midollo osseo o del fegato, oppure di entrambi. L’aumento della fosfatasi alcalina leucocitaria, dell’aptoglobina sierica, della VES, della cupremia e di altri fattori reattivi della fase acuta indica, in genere, una malattia in fase attiva.

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Diagnosi

Il complesso sintomatologico di linfoadenomegalia (specialmente cervicale), adenopatia mediastinica, sudorazione notturna e perdita di peso, con o senza febbre, è suggestivo per linfoma; tuttavia, la conferma diagnostica della malattia di Hodgkin si può definitivamente ottenere dalla biopsia, che mette in evidenza le cellule di Reed-Sternberg in una caratteristica disposizione istologica. Il morbo di Hodgkin è molto raro in assenza di linfoadenopatia. Frustoli bioptici si possono ottenere dal midollo, del fegato o di altri parenchimi. Talora è importante il rilievo di reattività di anticorpi monoclonali con le cellule di Red-Stenberg (p. es., Leu-M1 [CD15]e CD30 [Ber-H2]) per differenziare tale malattia dai linfomi non Hodgkin.

Il morbo di Hodgkin può essere difficile da differenziare dalla linfoadenopatia causata dalla mononucleosi infettiva, toxoplasmosi, citomegalovirus, NHL o leucemia. Il quadro clinico del morbo di Hodgkin può anche simulare un carcinoma polmonare, una sarcoidosi una tubercolosi o, ancora, una delle tante malattie il cui aspetto predominante è la splenomegalia (v. Cap. 141).

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Stadiazione

La radioterapia, la chemioterapia, o entrambi questi presidi terapeutici, possono risultare potenzialmente curativi, ma è indispensabile definire per prima cosa l’estensione o il grado della malattia. Generalmente si fa riferimento alla stadiazione di Ann Arbor (v. Tab. 139-2). La modificazione Cotswold della classificazione Ann Arbor utilizza X per designare un sito di malattia voluminoso (> 1/3 del diametro del torace o > 10 cm di diametro).

Procedure non invasive per la stadiazione includono la TC del torace, addome e pelvi e una scintigrafia con il gallio. La scintigrafia e la RMN ossea non sono in genere richieste. La linfoadenografia a entrambi gli arti inferiori può essere indicata in pazienti con scansioni TC addominali e pelviche normali. Studi clinici che tentano di rivelare la malattia sotto il diaframma possono essere falsamente positivi o negativi nel 25-33% dei pazienti. La laparotomia (inclusa la splenectomia), la biopsia dei linfonodi mesenterici e retroperitoneali (specialmente quelli aumentati di volumi alla TC o alla linfoangiografia) e la biopsia osteomidollare ed epatica devono essere prese in considerazione quando le decisioni terapeutiche saranno significativamente influenzate. Tuttavia, le indicazioni alla laparotomia sono state significativamente ridotte in anni recenti. Solo i pazienti il cui stadio clinico è IIA o meno e nel quale è pianificata un’irradiazione a mantellina possono essere presi in considerazione. Se il paziente deve ricevere chemioterapia, la laparotomia per stadiazione non è necessaria.

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Terapia

La chemio- e la radioterapia curano la maggior parte dei pazienti. La malattia linfonodale può essere eradicata in > 95% dei casi con 4-4,5 sett. di trattamento con 4000-4400 cGy nel campo trattato. Inoltre, l’irradiazione della regione adiacente (terapia a campi allargati) con 3600 cGy è standard, dal momento che la malattia si diffonde per contiguità attraverso la via linfatica. Pazienti con sottoclassificazione E possono anche rispondere alla radioterapia, sebbene siano raccomandate radio-e chemioterapia integrate. Il trattamento è basato principalmente su pazienti stadiati dal punto di vista anatomo-patologico, sebbene pazienti selezionati possono essere considerati per una radioterapia primaria senza stadiazione.

I pazienti con stadio I e IIA di malattia possono essere trattati con la sola radioterapia utilizzando un campo allargato che include tutte le stazioni linfonodali sopradiaframmatiche e, nella maggior parte dei casi, l’irradiazione dei linfonodi periaortici fino alla biforcazione aortica, con la milza e il peduncolo splenico. Questo tipo di trattamento guarisce l’80% circa dei pazienti. La cura si riferisce all’essere libero da malattia dopo 5 anni dalla terapia, dopo di che la ricaduta è molto rara. Nei pazienti con masse linfonodali mediastiniche, la radioterapia da sola ha un alto indice di recidive; perciò viene utilizzata la chemioterapia seguita dalla radioterapia. Questo trattamento può comportare una sopravvivenza libera da malattie nel 75% dei casi. Per pazienti selezionati con stadio di malattia IA e istologia a sclerosi nodulare o predominanza linfocitaria, può essere sufficiente la sola irradiazione a mantellina.

Per lo stadio IIIA1 della malattia, l’irradiazione linfonodale totale (a mantellina e a "Y" rovesciata) assicura una sopravvivenza globale dell’85-90% e libera da malattia nel 65-75% dei pazienti a 5 anni dalla diagnosi. In casi selezionati (p. es., solo minima malattia splenica) si sono avuti ugualmente buoni risultati con un’irradiazione meno estesa (con esclusione del campo pelvico). Tuttavia, per la maggioranza dei pazienti che si presentano con stadi clinici IIB e IIIA1, è indicata la chemioterapia e la radioterapia. Per lo stadio IIIA2 della malattia, la polichemioterapia è generalmente usata con o senza irradiazione dei linfonodi colpiti. Con questo protocollo terapeutico sono state ottenute percentuali di guarigione del 75-80%.

Poiché la radioterapia da sola non è sufficiente per determinare la guarigione di pazienti in stadio IIIB, è necessaria la polichemioterapia da sola o associata alla radioterapia. La sopravvivenza oscilla dal 70 all’80%.

Per lo stadio IVA e B della malattia, la polichemioterapia, in particolare l’associazione MOPP (mecloretamina, vincristina, procarbazide e prednisone) o l’ABVD (doxorubicina, bleomicina, vinblastina, dacarbazina) hanno portato alla remissione completa il 70-80% dei pazienti, con una percentuale > 50% rimasti liberi da malattia a 10-15 anni. Il protocollo ABVD è diventato il regime standard per la maggior parte dei casi sulla base dei risultati di recenti studi randomizzati. Alternanza di protocolli MOPP e ABVD o di combinazioni ibride non si sono dimostrate superiori all’ABVD in studi prospettici. Altri farmaci efficaci sono le nitrosuree, l’ifosfamide, il cis-platino o il carboplatino e l’etoposide. I pazienti che non ottengono la remissione completa o recidivano entro 6-12 mesi hanno una cattiva prognosi. Il trapianto di midollo osseo (TMO) con utilizzo di midollo osseo o di prodotti cellulari periferici è stato tentato in alcuni pazienti selezionati. I regimi convenzionali di salvataggio non sono in genere curativi. Il trapianto autologo può curare fino al 50% dei pazienti che sono fisiologicamente eleggibili per intensificazione di terapia e responsivi alla chemioterapia di induzione di salvataggio. Il trapianto allogenico non si è dimostrato superiore e non è raccomandato. Il trapianto autologo è in via di studio in pazienti selezionati ad alto rischio alla diagnosi.

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