5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO

50. MALATTIE DEL TESSUTO CONNETTIVO

ARTRITE REUMATOIDE

Sindrome a decorso cronico, caratterizzata da un'infiammazione non specifica e generalmente simmetrica delle articolazioni periferiche, che può evolvere in una distruzione progressiva delle strutture articolari e periarticolari, con o senza manifestazioni generalizzate.
(v. anche Artrite reumatoide giovanile nel Cap. 270.)

Sommario:

Eziologia e anatomia patologica
Sintomi e segni
Esami di laboratorio
Diagnosi
Terapia


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Eziologia e anatomia patologica

La causa è sconosciuta. Una predisposizione genetica è stata identificata e, nelle popolazioni bianche, localizzata a carico di un pentapeptide nel locus HLA-DR b1 dei geni di istocompatibilità di classe II. Fattori ambientali possono inoltre giocare un ruolo. Alterazioni immunologiche possono essere innescate da molteplici fattori (v. anche Disordini autoimmuni sotto Disordini con reazioni di ipersensibilità di Tipo III nel Cap. 148). Circa l'1% di tutta la popolazione ne è affetto; le donne vengono colpite con rapporto di 2-3:1 rispetto agli uomini. Può esordire a tutte le età, ma la massima incidenza è fra i 25 e i 50 anni.

Le principali anormalità immunologiche, che possono essere importanti nella patogenesi, includono gli immunocomplessi trovati nelle cellule del liquido articolare e nella vasculite. Le plasmacellule producono anticorpi (p. es., fattore reumatoide [FR]) che contribuiscono alla formazione di questi complessi. I linfociti che infiltrano il tessuto sinoviale sono principalmente cellule T helper, che possono produrre citochine flogogene. I macrofagi e le loro citochine (p. es., il tumor necrosis factor, il fattore stimolante la formazione di colonie di granulociti-macrofagi) sono anche abbondanti nella membrana sinoviale patologica. L'aumento delle molecole di adesione contribuisce alla migrazione di cellule infiammatorie e al loro deposito nel tessuto sinoviale. L'aumento delle cellule di rivestimento di derivazione macrofagica è predominante, insieme a quello dei linfociti e ai cambiamenti vascolari nelle fasi precoci della malattia.

Nelle articolazioni colpite cronicamente la membrana sinoviale, sottile nei casi normali, sviluppa numerose pieghe villose e si ispessisce per l'ipertrofia e l'iperplasia delle cellule di rivestimento e per la proliferazione dei linfociti e delle plasmacellule. Le cellule di rivestimento producono una serie di sostanze diverse, tra le quali la collagenasi e la stromelisina che possono contribuire alla distruzione della cartilagine; l'interleuchina-1, che stimola la proliferazione dei linfociti e le prostaglandine. Le cellule infiltranti, disposte inizialmente in sede perivenulare e più tardi a costituire veri e propri follicoli linfatici provvisti di centro germinativo, sintetizzano interleuchina-2, altre citochine, il fattore reumatoide (FR) e altre immunoglobuline. Sono anche presenti depositi di fibrina, fibrosi e necrosi. La membrana sinoviale iperplastica (panno) può erodere la cartilagine, l'osso subcondrale, la capsula articolare e i legamenti. I leucociti polimorfonucleati (PMN) non sono cospicui nella membrana sinoviale, ma spesso predominano nel liquido sinoviale.

Il nodulo reumatoide, presente in più del 30% dei pazienti, si presenta generalmente a livello sottocutaneo nei punti sottoposti a irritazione cronica (p. es., la superficie estensoria dell'avambraccio). Sono granulomi non specifici caratterizzati, all'esame anatomopatologico, da una zona necrotica centrale circondata da cellule mononucleate disposte a palizzata, con il loro maggior asse che si irradia dal centro; il tutto è circondato da una zona esterna di linfociti e plasmacellule. Si possono trovare segni di vasculite nella pelle, nei nervi o in numerosi organi viscerali, nei casi gravi di AR, ma questi sono clinicamente significativi soltanto in alcuni casi.

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Sintomi e segni

L'esordio è abitualmente insidioso, con progressivo coinvolgimento articolare, ma può essere acuto, con simultaneo interessamento flogistico di più articolazioni. Il segno più indicativo è una particolare dolorabilità di tutte le articolazioni infiammate. L'ispessimento sinoviale, il segno più specifico, finisce sempre col manifestarsi nella maggior parte delle articolazioni colpite. È tipico il coinvolgimento simmetrico delle piccole articolazioni delle mani (in particolar modo le interfalangee prossimali e le metacarpofalangee), delle articolazioni dei piedi (metatarsofalangee), dei polsi, dei gomiti e delle caviglie, ma le manifestazioni iniziali possono verificarsi a carico di qualsiasi articolazione.

Di solito si riscontra rigidità mattutina, di durata > 30 min o dopo prolungata inattività; possono essere presenti segni di malessere pomeridiano e di affaticamento. Si possono sviluppare rapidamente alcune deformazioni, in modo particolare contratture in flessione. È tipica, come esito finale, la deviazione ulnare delle dita con una lussazione mediale dei tendini estensori delle articolazioni metacarpofalangee. La sindrome del tunnel carpale può originarsi da una sinovite del polso. La rottura di cisti poplitee può simulare una trombosi venosa profonda.

I noduli reumatoidi sottocutanei non sono abitualmente una manifestazione precoce. Altre manifestazioni extrarticolari sono i noduli viscerali, la vasculite che può causare ulcere agli arti inferiori, le mononeuriti multiple, i versamenti pleurici o pericardici, linfoadenopatia, la sindrome di Felty, la sindrome di Sjögren o la episclerite. Può essere presente febbre, ma essa è generalmente modesta, tranne che nella malattia di Still dell'adulto, una poliartrite siero-negativa, molto simile all'AR, ma con importanti caratteristiche sistemiche.

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Esami di laboratorio

Gli esami ematochimici sono utili. L'anemia normocitica, normocromica (o lievemente ipocromica), tipica di altre affezioni croniche, si verifica nell'80% dei casi; l'Hb è generalmente > 10 g/dl, ma può raramente abbassarsi sino a 8 g/dl. Se l'Hb scende < 10 g/dl va esclusa la contemporanea presenza di un'anemia sideropenica o di altro tipo. La neutropenia si verifica nel 1-2% dei casi ed è spesso associata a splenomegalia (sindrome di Felty). Possono essere presenti lievi forme di ipergammaglobulinemia policlonale e di trombocitosi.

La VES è elevata nel 90% dei casi. In circa il 70% dei casi sono presenti i cosiddetti fattori reumatoidi (FR), Ac che reagiscono con gammaglobuline alterate e che vengono evidenziati dai test di agglutinazione (p. es., il test di agglutinazione al lattice utilizza IgG umane adsorbite a particelle di lattice) che evidenziano IgM FR. Anche se i FR non sono specifici per l'AR e possono essere presenti in numerose altre malattie (p. es., le affezioni granulomatose, le infezioni croniche, l'epatite, la sarcoidosi, l'endocardite batterica subacuta), un alto titolo di FR aiuta a confermare la diagnosi. Nella maggior parte dei laboratori, un titolo pari a 1:160 per il test al lattice è considerato il valore più basso per la diagnosi dell'AR. Il titolo di FR è anche spesso misurato con la nefelometria (< 20 UI/ml è considerato negativo). La presenza di FR ad alto titolo indica una prognosi negativa ed è spesso associata a una malattia ad andamento progressivo, a noduli, a vasculite e a interessamento polmonare. Il titolo può essere influenzato dal trattamento e spesso si riduce con la diminuzione dell'attività infiammatoria.

Il liquido sinoviale, sempre alterato nel corso delle fasi acute dell'infiammazione, risulta opaco ma sterile, con una ridotta viscosità e contiene in genere da 3000 a 50000 leucociti/ml. Tra queste cellule tipicamente predominano i polimorfonucleati, ma meno del 50% di esse può essere costituito da linfociti e altre cellule mononucleate. Possono essere rilevate, per mezzo di uno striscio a fresco, le inclusioni citoplasmatiche dei leucociti presenti anche in altri versamenti infiammatori. Il complemento del liquido sinoviale è spesso < 30% di quello sierico. I cristalli sono assenti.

All'esame radiografico, nel corso dei primi mesi di malattia, si rileva soltanto un rigonfiamento dei tessuti molli. Successivamente, possono essere presenti osteoporosi periarticolare, una diminuzione degli spazi articolari (della cartilagine articolare) ed erosioni marginali. La velocità di deterioramento è estremamente variabile, sia dal punto di vista radiologico che clinico, ma le erosioni, come segno di danno osseo, si verificano nell'arco del primo anno.

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Diagnosi

L'American College of Rheumatology ha stilato dei criteri semplificati per la classificazione dell'AR (v. Tab. 50-1). Anche se intesi in un primo momento come aiuto alla ricerca clinica, tali criteri possono risultare utili come guida alla diagnosi clinica.

Quasi tutte le altre malattie che causano artrite devono comunque essere considerate. Alcuni pazienti con artrite da cristalli soddisfano questi nuovi criteri; l'esame del liquido sinoviale spesso aiuta a escludere questi casi. Comunque, due malattie che causino artrite possono coesistere molto raramente. Quando la diagnosi è dubbia, i noduli sottocutanei di incerta origine possono essere aspirati o bioptizzati per differenziare tofi gottosi, amiloide e noduli di altra natura.

Il LES può mimare l'AR. Il LES può essere generalmente differenziato per le caratteristiche lesioni cutanee delle zone esposte alla luce, per la perdita dei capelli nella zona temporo-frontale, per le lesioni delle mucose orale e nasale, per l'artrite non erosiva, per il liquido sinoviale con un numero di GB spesso < 2000/µl (prevalentemente cellule mononucleate), per la presenza di Ac anti-DNA, per l'interessamento renale e per il basso livello del complemento sierico (v. oltre, Lupus eritematoso sistemico). Anticorpi antinucleari positivi e alcune caratteristiche del LES si possono verificare in casi di AR per altri versi tipici, dando origine alla cosiddetta "overlap syndrome" (sindrome da sovrapposizione). Alcuni di questi pazienti possono avere AR grave; altri possono avere malattie associate al LES o altre malattie del collagene. La poliarterite, la sclerosi sistemica progressiva, la dermatomiosite e la polimiosite possono presentare caratteristiche simili a quelle dell'AR.

Altre malattie sistemiche possono causare sintomi simili a quelli dell'AR. Anche la sarcoidosi, l'amiloidosi, la malattia di Whipple e altre malattie sistemiche possono coinvolgere le articolazioni; la biopsia tissutale talora aiuta a differenziare queste condizioni. La febbre reumatica acuta può essere differenziata per l'interessamento articolare migrante e per il riscontro di una pregressa infezione streptococcica (esame colturale o titolo antistreptolisinico-O che si modifica nel tempo); soffi cardiaci mutevoli, corea ed eritema marginato sono molto meno frequenti nell'adulto che nel bambino. L'artrite infettiva è generalmente monoarticolare o asimmetrica (v. Cap. 54). La diagnosi è basata sull'identificazione dell'agente eziologico. Un processo infettivo può sovrapporsi in un'articolazione affetta da AR. L'artrite gonococcica abitualmente esordisce come un'artrite migrante che coinvolge i tendini del polso e della caviglia e infine si localizza in una o due articolazioni. La malattia di Lyme può verificarsi senza il dato anamnestico della puntura di zecca o dell'eruzione cutanea; si possono utilizzare test sierologici (v. Cap. 157). Le ginocchia sono in genere le più colpite. La sindrome di Reiter (artrite reattiva) è caratterizzata da evidenza di una uretrite pregressa o diarrea, da un interessamento asimmetrico del calcagno, delle articolazioni sacroiliache, delle grandi articolazioni degli arti inferiori e dalla presenza di uretrite, congiuntivite, irite, ulcere orali non dolenti, balanite circinata o cheratodermia blenorragica della pianta del piede o di altri distretti (v. Cap. 51). I livelli di complemento sono spesso elevati, sia nel siero che nel liquido sinoviale. L'artrite psoriasica tende a essere asimmetrica e non è abitualmente associata a FR, ma la diagnosi differenziale può risultare difficile in assenza delle caratteristiche lesioni ungueali o cutanee (v. Cap. 51). Sono suggestivi un coinvolgimento delle articolazioni interfalangee distali e un'artrite mutilante.

La spondilite anchilosante può essere riconosciuta per la predilezione per il sesso maschile, l'interessamento articolare del rachide, l'assenza dei noduli sottocutanei e del FR (v. Cap. 51). La gotta può essere mono- o poliarticolare e, nelle prime fasi della malattia, presenta una remissione completa della sintomatologia negli intervalli fra gli attacchi acuti. La gotta cronica può simulare l'AR (v. Cap. 55). Tipico è il riscontro nel liquido sinoviale di cristalli di urato di sodio birifrangenti simili ad aghi o bacchette, con allungamento negativo che meglio si osservano alla luce polarizzata (v. anche Cap. 49). La malattia da deposizione di pirofosfato diidrato di calcio può causare artrite acuta mono articolare o poliarticolare o artrite cronica (v. Cap. 55). Comunque la presenza nel liquido sinoviale di cristalli di pirofosfato diidrato di Ca, debolmente birifrangenti come bacchette o rombi con allungamento positivo e le calcificazioni delle cartilagini articolari (condrocalcinosi), radiologicamente accertate, differenziano questa affezione.

L'osteoartrosi coinvolge le articolazioni interfalangee prossimali e distali, le prime articolazioni carpometacarpali e metatarsofalangee, le ginocchia e il rachide (v. Cap. 52).

La simmetria dell'interessamento articolare, la tumefazione notevole delle articolazioni (causata per la gran parte da un ingrandimento osseo), con alcuni segni d'infiammazione, l'instabilità articolare e le cisti subcondrali, visibili alla rx, possono essere fuorvianti; l'assenza di livelli significativi di FR, dei noduli reumatoidi e di interessamento sistemico, in associazione a un quadro articolare tipico dell'osteoartrosi, con un versamento sinoviale con GB < 1000-2000 µl, permettono tuttavia di differenziare questa malattia dall'AR.

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Terapia

Il 75% dei soggetti sottoposti a terapia conservativa migliora la sintomatologia nel primo anno di malattia. Comunque, il 10% dei pazienti va incontro a gravi disabilità nonostante la terapia a pieno regime. La malattia condiziona pesantemente la vita della maggior parte dei pazienti con AR.

Riposo e dieta: talvolta è indicato un completo riposo a letto per un breve periodo nel corso della fase più acuta e dolorosa delle forme gravi. Nei casi meno gravi dovrebbero essere prescritti cicli regolari di riposo. Docce di posizione (splint) mettono a riposo le articolazioni. Il movimento articolare e l'esercizio, se tollerato, devono essere continuati (v. oltre). Una normale dieta equilibrata è sufficiente; raramente i pazienti hanno esacerbazioni in rapporto con i pasti. Si deve scoraggiare l'uso di cibi e diete "miracolose". Comunque, supplementi di olio di pesce o vegetale possono parzialmente alleviare i sintomi attraverso la riduzione della produzione di prostaglandine.

Farmaci antiinfiammatori non steroidei e salicilati: i FANS garantiscono un importante sollievo sintomatico e possono essere adeguati come terapia semplice per l'AR lieve, ma non sembrano alterare il decorso a lungo termine della malattia.

I salicilati, prodotti relativamente sicuri, economici, caratterizzati da effetti analgesici e antiinfiammatori rilevanti, rappresentano la pietra miliare della terapia farmacologica. L'aspirina (acido acetilsalicilico) è somministrata con la posologia iniziale di 0,6-1 g (da due a tre compresse da 300 mg) qid ai pasti e dopo un piccolo spuntino, prima di coricarsi. La dose sarà, quindi, progressivamente aumentata finché si otterrà il massimo dell'efficacia con il minimo degli effetti tossici (p. es., acufeni o ipoacusia). La posologia finale può variare dai 3 ai 6,5 g al dì (circa da 10 a 22 compresse da 300 mg). La dose media giornaliera richiesta nell'AR attiva è di 4,5 g/die (15 compresse). Nell'intervallo tra i pasti possono essere somministrati antiacidi o sucralfato o H2 antagonisti per attenuare i disturbi gastrointestinali, senza interrompere l'aspirina. Confetti gastro-resistenti possono essere vantaggiosamente usati nei pazienti affetti da una concomitante ulcera peptica o da un'ernia iatale, perché sono meno irritanti a livello locale. Comunque, l'assorbimento può non essere del tutto sicuro e gli effetti sistemici comunque si ripercuotono anche sulla mucosa gastrica. Il misoprostolo a dosi di 100 o 200 mg da bid a qid, impiegato in associazione ad aspirina (e ai FANS descritti oltre), può diminuire la probabilità di erosione e sanguinamento da ulcera gastrica in pazienti ad alto rischio, ma può provocare crampi addominali e diarrea, e non attenua la nausea o l'epigastralgia. Anche gli inibitori della pompa protonica sembrano diminuire il rischio di ulcere. Le compresse cronodosate di aspirina offrono, in alcuni pazienti, un sollievo più duraturo e possono essere utili se somministrate prima di coricarsi, sebbene i pazienti che si svegliano la notte per il dolore possano richiedere una seconda dose. I salicilati non acetilati quali il salicilato di magnesio di colina e il salsalato, sembrano meglio tollerati a livello gastrointestinale rispetto all'aspirina e non alterano l'adesività piastrinica, ma possono non essere altrettanto efficaci come antiinfiammatori.

Esistono altri FANS per i pazienti che non tollerano l'aspirina a dosi sufficienti per ottenere un buon effetto o per i quali assunzioni meno frequenti rappresentano un vantaggio importante (v. Tab. 50-2). Questi farmaci sono largamente usati. Di solito, un solo FANS dovrebbe essere somministrato di volta in volta. Le dosi di tutti i farmaci con dosaggi flessibili possono essere aumentate ogni 2 sett., fino a quando non si ottenga una risposta massimale o non si raggiunga la dose massima consentita. I farmaci devono essere assunti almeno per 2-3 sett., prima di dichiararne l'inefficacia.

Pur essendo ritenuti meno lesivi dell'aspirina ad alte dosi, questi prodotti non steroidei possono causare anche sintomi gastrici ed emorragie GI. La loro assunzione va evitata durante la fase attiva della malattia ulcerosa. Altri possibili effetti collaterali comprendono cefalea e altri sintomi a carico del SNC, peggioramento dell'ipertensione arteriosa, edema e diminuzione dell'aggregazione piastrinica. Come l'aspirina, questi farmaci possono determinare un moderato aumento degli enzimi epatici, come pure della creatinina, per inibizione delle prostaglandine renali. Meno di frequente si verifica una nefrite interstiziale. I pazienti con orticaria, rinite o asma dovuti all'aspirina, possono presentare gli stessi problemi con questi altri FANS. È stata descritta anche la comparsa di agranulocitosi.

I FANS agiscono inibendo l'enzima cicloossigenasi, inibendo così l'azione delle prostaglandine. Alcune prostaglandine cicloossigenasi-1 (COX-1) dipendenti hanno importanti effetti in molte parti dell'organismo (p. es., esse hanno un ruolo protettivo sul flusso ematico renale e sulla mucosa gastrica). Altre prostaglandine vengono liberate nel corso di processi infiammatori e prodotte dall'enzima COX-2. Farmaci che possono inibire soltanto o principalmente il COX-2, non hanno molti degli effetti collaterali tipici dei farmaci che inibiscono anche l'enzima COX-1.

Farmaci a lenta azione: il momento ottimale per aggiungere alla terapia i farmaci a lenta azione (di fondo) è stato rivalutato, e vi è un sempre maggiore consenso che l'uso precoce sia indicato nella malattia persistente. Generalmente, se il dolore e la tumefazione persistono dopo 2-4 mesi di malattia nonostante il trattamento con l'aspirina o altri FANS, dovrebbe essere presa in considerazione l'aggiunta di un farmaco a lenta azione o di un farmaco potenzialmente "disease-modifying" (p. es., oro, idrossiclorochina, sulfasalazina, penicillamina). Il metotrexato, un farmaco immunosoppressivo (v. oltre), è attualmente utilizzato sempre più spesso nelle fasi precoci come uno dei farmaci di seconda scelta potenzialmente "disease-modifying".

I sali d'oro vengono generalmente somministrati in aggiunta ai salicilati o ad altri FANS, se questi ultimi non sono sufficienti ad alleviare il dolore o a sopprimere l'infiammazione acuta articolare. In alcuni pazienti possono dare una remissione della sintomatologia e possono ridurre la formazione di nuove erosioni ossee. Le preparazioni per uso parenterale comprendono l'aurotiomalato di sodio o l'aurotioglucoso IM a intervalli settimanali: 10 mg la prima settimana, 25 mg la seconda e poi 50 mg/sett., sino a ottenere una dose totale di 1 g o finché non si ottenga un miglioramento significativo. Ottenuto il massimo miglioramento, la posologia viene gradualmente ridotta a 50 mg ogni 2-4 sett. Generalmente, entro 3-6 mesi si verificano recidive, qualora non venga somministrato altro oro dopo la remissione. I miglioramenti ottenuti con una dose di attacco possono essere spesso mantenuti per diversi anni con una prolungata terapia di mantenimento.

I sali d'oro sono controindicati nei pazienti affetti da importanti malattie renali o epatiche o da discrasia ematica. Prima di iniziare la terapia, è importante eseguire l'esame delle urine, il dosaggio dell'Hb, la conta dei GB con formula e la conta piastrinica. Questi test vanno ripetuti prima di ogni iniezione durante il primo mese di trattamento e, successivamente, prima di ogni 1 o 2 iniezioni. La presenza di HLA-DR3 o HLA-B8 può predire un aumentato rischio di tossicità renale o di altro organo e/o apparato, sia con l'uso dell'oro che della penicillamina. Possibili reazioni tossiche ai sali d'oro comprendono prurito, dermatiti, stomatiti, albuminuria con o senza sindrome nefrosica, agranulocitosi, porpora trombocitopenica e anemia aplastica. Rari effetti collaterali sono diarrea, epatite, polmonite e neuropatie. L'eosinofilia > 5% e il prurito possono precedere la comparsa di un eritema e sono segnali di pericolo. La dermatite è generalmente pruriginosa e può manifestarsi o come una singola macchia eczematosa o come una dermatite esfoliativa generalizzata e molto raramente fatale.

I sali d'oro vanno sospesi quando compare qualcuna di queste manifestazioni. Manifestazioni tossiche minori (p. es., lieve prurito o rash limitato) possono essere eliminate con una sospensione temporanea della terapia, che sarà ripresa successivamente con cautela dopo almeno 2 sett. dalla scomparsa dei sintomi. Tuttavia, se i sintomi da intossicazione progrediscono, l'oro va sospeso e si somministra un corticosteroide. Un cortisonico per uso topico o prednisone PO 15-20 mg/die in dosi frazionate, è indicato nelle dermatiti lievi da oro; dosi maggiori sono necessarie per le complicanze ematologiche. Un chelante dell'oro come il dimercaprolo 2,5 mg/kg IM fino a 4-6 volte/die per i primi 2 gg, poi bid per 5-7 gg, può essere somministrato dopo una grave reazione all'oro.

L'inoculazione di aurotiomalato di sodio può essere seguita, dopo vari minuti, da una reazione nitritoide temporanea, caratterizzata da vampate di calore, tachicardia e astenia, in particolar modo se il farmaco non è conservato al riparo dalla luce diretta. Se tali reazioni si ripetono, si può utilizzare l'aurotioglucoso che sembra non causare reazioni nitritoidi.

L'auranofin (oro somministrabile PO), può essere utilizzato per almeno 6 mesi con dosaggi di 3 mg bid o di 6 mg 1 volta/die; se necessario e se il farmaco è ben tollerato, la posologia può essere aumentata a 3 mg tid per i 3 mesi successivi. Se la risposta terapeutica è insufficiente, l'auranofin va sospeso. Diversamente dall'oro iniettabile, la diarrea e altri disturbi GI sono notevoli; gli effetti renali e sulle strutture mucocutanee sono più limitati rispetto all'oro IM, ma l'auranofin non sembra essere così efficace come l'oro somministrato per via parenterale. Almeno una 1 volta al mese vanno eseguiti un esame delle urine, il dosaggio dell'Hb, la conta dei GB con formula e quella delle piastrine.

L'idrossiclorochina può risultare talvolta efficace nel controllare i sintomi di un'AR di lieve o moderata intensità. Gli effetti tossici sono generalmente lievi e comprendono dermatiti, miopatie e un'opacità corneale, di solito reversibile. Tuttavia, è stata descritta una degenerazione retinica irreversibile. È raccomandabile eseguire un controllo oculistico con esame del campo visivo prima di iniziare la terapia e ogni 6 mesi durante il trattamento. La dose iniziale di 200 mg bid PO dopo la prima colazione e dopo cena può essere continuata per 6-9 mesi; il farmaco va interrotto se non si nota alcun miglioramento dopo 6-9 mesi. Ottenuto un miglioramento evidente, si può talvolta ridurre la dose a 200 mg/die e continuarla fino a quando risulta efficace. È necessario eseguire controlli oculari frequenti.

La sulfasalazina (salazopirina) a lungo utilizzata per la rettocolite ulcerosa, è impiegata con sempre maggior frequenza nell'AR (malattia per la quale è stata originariamente sintetizzata). Di solito viene somministrata sotto forma di compresse gastro-resistenti e si inizia con 500 mg/die per aumentare di 500 mg/sett. fino a 2-3 g/die. Una risposta si deve verificare entro 3 mesi. Gli effetti tossici comprendono sintomi gastrici, neutropenia, emolisi, epatite e rush cutanei. Il monitoraggio con l'emocromo e gli esami ematochimici è importante quando si aumentano le dosi e occasionalmente durante l'uso.

La penicillamina orale può essere efficace come la crisoterapia e può essere utilizzata quando l'oro è risultato inefficace o ha prodotto reazioni tossiche in pazienti affetti da AR in fase attiva. Gli effetti collaterali sono minimizzati se si inizia con un basso dosaggio. Vengono somministrate dosi di 250 mg/ die per 30-90 gg; il dosaggio è aumentato a 500 mg/die per altri 30-90 gg. In caso di mancato miglioramento significativo, la dose può essere ulteriormente aumentata a

750 mg/die per 60 gg. La posologia va mantenuta ai livelli minimi efficaci. Prima di iniziare e ogni 2-4 sett. durante il trattamento, vanno eseguiti la conta delle piastrine, un esame emocromocitometrico completo e l'esame delle urine. Effetti collaterali che richiedono la sospensione della terapia sono più comuni che con l'oro e comprendono depressione midollare, proteinuria, nefrosi, rash cutaneo, disturbi del senso del gusto e altri effetti tossici gravi (p. es., miastenia gravis, pemfigo, sindrome di Goodpasture, polimiosite e una sindrome simil-lupus) che ne impongono la sospensione. Questo farmaco va somministrato soltanto da chi o sotto la guida di chi ne ha grande esperienza e i suoi effetti devono essere strettamente monitorati.

La combinazione di farmaci a lenta azione può essere più efficace di un singolo farmaco. In un recente trial, l'idrossiclorochina, la sulfasalazina e il metotrexato utilizzati insieme si sono dimostrati più efficaci che il metotrexato da solo o gli altri due farmaci insieme.

Corticosteroidi: i corticosteroidi sono i farmaci antiinfiammatori ad azione a breve termine più efficaci; comunque, i loro benefici clinici nell'AR spesso diminuiscono con il tempo. I corticosteroidi non impediscono preventivamente la progressione della distruzione articolare, sebbene un recente studio suggerisce che essi possano rallentare la comparsa di erosioni. Inoltre, gravi riacutizzazioni seguono la sospensione dei corticosteroidi nella malattia attiva. A causa degli effetti indesiderati a lungo termine, molti raccomandano che i corticosteroidi vadano somministrati soltanto dopo un'attenta e prolungata prova di farmaci meno pericolosi. Controindicazioni relative all'uso dei corticosteroidi comprendono l'ulcera peptica, l'ipertensione, le infezioni non trattate, il diabete mellito e il glaucoma. Prima di iniziare un trattamento con corticosteroidi va esclusa con appropriate indagini la TBC.

In molti pazienti i corticosteroidi risolvono immediatamente le manifestazioni cliniche e possono essere utilizzati per le riacutizzazioni della malattia, per mantenere una buona funzionalità articolare e consentire l'adempimento regolare delle mansioni abituali, ma si deve mettere in guardia il paziente circa le complicanze che possono intervenire con una terapia a lungo termine. Il dosaggio del prednisone non deve superare i 7,5 mg/die, fatta eccezione per quei pazienti affetti da gravi manifestazioni sistemiche di AR (p. es. vasculiti, pleuriti o pericarditi). Sono in genere controindicate, sebbene siano state usate, alte dosi d'attacco seguite da una rapida riduzione della posologia, come lo è il trattamento a giorni alterni poiché i sintomi dell'AR sono troppo intensi nei giorni di mancata assunzione del farmaco.

Le iniezioni intrarticolari di cortisonici possono aiutare temporaneamente a controllare la sinovite locale in una o due articolazioni particolarmente dolenti. Il triamcinolone può sopprimere l'infiammazione per un periodo più lungo; altri cortisonici retard, come il prednisolone e il tributilacetato sono altrettanto efficaci. I preparati solubili a base di prednisolone 21-fosfato o di desametasone non sono consigliabili a causa della rapida clearance articolare e della loro brevissima durata d'azione. L'uso eccessivo di un'articolazione precedentemente infiltrata e meno dolente può accelerare la distruzione articolare. Poiché gli esteri dei corticosteroidi sono cristallini, la flogosi locale aumenta transitoriamente in poche ore, in circa il 2% delle infiltrazioni.

Farmaci citotossici o immunosoppressivi: questi farmaci (p. es., il metotrexato, l'azatioprina e la ciclosporina) vengono impiegati sempre più di frequente per il trattamento di pazienti con AR attiva in forma grave. Possono sopprimere l'infiammazione e consentono di ridurre le dosi dei corticosteroidi. Comunque, importanti effetti collaterali possono verificarsi, comprendenti depressione del midollo osseo, malattie epatiche, polmoniti e neoplasie, con l'uso prolungato di azatioprina. I pazienti vanno informati di tali effetti collaterali e generalmente è consigliato un controllo periodico da parte di uno specialista.

Nel corso di malattia attiva grave, il metotrexato può essere usato ragionevolmente presto (i benefici spesso si verificano in 3-4 sett.). È somministrato in singola dose una volta alla settimana compresa fra 2,5 e 20 mg, iniziando con 7,5 mg/sett. e aumentando gradualmente secondo le necessità. Va evitato nei forti bevitori e nei diabetici. Con l'uso di questo farmaco va monitorata la funzionalità epatica e può essere necessaria una biopsia epatica, se i test di funzionalità epatica sono alterati e se il paziente ha bisogno di continuare la terapia. Una fibrosi epatica clinicamente importante è rara. Un emocromo completo va eseguito regolarmente. Una rara complicanza fatale è la polmonite. Dopo la sua sospensione si può verificare una grave recidiva dell'artrite. L'azatioprina va iniziata a dosi di circa 1 mg/ kg/die (50-100 mg) come dose orale singola o bid; la dose può essere aumentata di 0,5 mg/kg/die dopo 6-8 sett. a intervalli di 4 sett. fino a una dose massima di 2,5 mg/ kg/die. La dose di mantenimento deve essere la più bassa possibile. La ciclosporina è efficace nel trattamento dell'AR e può essere utile soprattutto in combinazione con altri farmaci a lenta azione. I dosaggi generalmente non dovrebbero superare i 5 mg/kg/die per minimizzare gli effetti tossici sulla pressione arteriosa e sulla funzione renale.

Sebbene non sia approvata negli USA per il trattamento dell'AR, anche la ciclofosfamide è efficace, ma viene impiegata di meno per i maggiori rischi di tossicità. L'etanercept è un'antagonista del tissue necrosis factor che può essere somministrato due volte a settimana (25 mg SC) a pazienti che hanno presentato una risposta inadeguata a uno o più farmaci "disease-modifying". Terapie sperimentali (p. es., antagonisti dei recettori dell'interleukina-1) sono oggetto di studio e sono promettenti ma non ancora disponibili.

Fisiochinesiterapia e terapia chirurgica: le contratture in flessione possono essere prevenute e il tono muscolare ristabilito con maggior successo, dopo l'inizio della regressione del processo infiammatorio. Le docce di posizione (splint) riducono l'infiammazione locale e possono migliorare i gravi sintomi locali. Prima che un processo infiammatorio acuto sia risolto, si fanno eseguire, finché non venga avvertito dolore, cauti esercizi passivi per prevenire le contratture. L'esercizio attivo è importante (incluse le passeggiate e gli esercizi specifici per le articolazioni coinvolte) per recuperare la massa muscolare e mantenere una normale motilità articolare, man mano che l'infiammazione regredisce, senza affaticare il paziente. Le contratture in flessione consolidate possono richiedere esercizi intensivi, docce di posizione e mezzi ortopedici. Le scarpe ortopediche o da ginnastica, con un buon tallone e arco di supporto, possono essere utilizzate con solette per renderle adatte alle necessità individuali e risultano spesso utili; le barre di scarico metatarsale, applicate posteriormente alle articolazioni metatarsofalangee dolenti, diminuiscono il dolore in fase di deambulazione.

Anche se provvede soltanto temporaneamente al miglioramento del processo infiammatorio, la sinovialectomia artroscopica o chirurgica può aiutare a preservare la funzionalità articolare, nel caso in cui i farmaci non abbiano avuto successo. L'artroplastica con l'inserimento di protesi articolari è indicata in quelle forme in cui il danno articolare compromette gravemente la funzione dell'arto. La sostituzione totale di anca e di ginocchio è la procedura ortopedica di maggior successo. Ovviamente, gli interventi di impianto di protesi di anca e di ginocchio non possono assicurare un ritorno a prestazioni elevate (come quelle richieste a un atleta). L'asportazione delle articolazioni metatarsofalangee sublussate, dolenti, può essere di grande aiuto per la deambulazione. Le artrodesi dei pollici possono dare stabilità alla presa. La artrodesi del collo può essere necessaria in caso di sublussazione C1-2 con compressione del midollo o forte dolore. L'indicazione all'intervento chirurgico va sempre considerata in base alla valutazione complessiva della malattia. Le deformazioni delle mani e delle braccia limitano l'uso delle stampelle durante la riabilitazione; le ginocchia e i piedi gravemente malati non consentono di giovarsi completamente del beneficio legato all'intervento sull'anca. Bisogna individuare gli obiettivi ragionevolmente raggiungibili per ciascun paziente e mirare al miglioramento funzionale, prima di prendere in considerazione il lato estetico. L'intervento può essere effettuato nella fase attiva della malattia. Alcuni ausili specifici consentono a molti pazienti affetti da AR grave e invalidante di svolgere attività connesse col vivere quotidiano.

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