16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE

212. MALATTIE VASCOLARI PERIFERICHE

Patologie che coinvolgono le arterie, le vene e i vasi linfatici degli arti.

OCCLUSIONE ARTERIOSA PERIFERICA

Assenza di flusso ematico a livello degli arti per la presenza di placche aterosclerotiche (ateromi), trombi o emboli.

(V. anche Arterite Temporale e Poliarterite Nodosa nel Cap. 50 e Arterite di Takayasu nel Cap. 211.)

Sommario:

Introduzione
Sintomi, segni e diagnosi
Dati di laboratorio
Profilassi e terapia


L’ostruzione arteriosa periferica può provocare un’ischemia acuta o cronica. L’ischemia acuta è causata dalla rottura di una placca aterosclerotica prossimale, dalla trombosi acuta su una preesistente malattia aterosclerotica; da un’embolia a partenza dal cuore, dall’aorta o da altri vasi di grosso calibro, o da un aneurisma dissecante. L’ischemia cronica è causata dal graduale accrescimento di una placca ateromasica.

La maggior parte dei pazienti ha una malattia aterosclerotica di base (v. Cap. 201). I fattori di rischio più importanti comprendono l’ipertensione, elevati livelli di lipoproteine a bassa densità (LDL), ridotti livelli di lipoproteine ad alta densità (HDL), il fumo di sigaretta, il diabete mellito, l’obesità, il sesso maschile, elevati livelli di omocisteina e una storia familiare di aterosclerosi precoce.

Elevati livelli ematici di omocisteina danneggiano le cellule endoteliali e, quindi, predispongono all’aterosclerosi precoce dell’aorta e dei suoi rami, vale a dire le arterie periferiche, le arterie cerebrali e probabilmente le arterie coronarie. Sebbene elevati livelli di omocisteina siano solitamente associati ad altri fattori di rischio, possono essere ridotti mediante la dieta e con l’assunzione di vitamina B.

Inizio Pagina

Sintomi, segni e diagnosi

Le manifestazioni cliniche dell’ostruzione arteriosa dipendono dal vaso coinvolto, dall’entità dell’ostruzione, dalla rapidità con cui l’ostruzione progredisce e dall’adeguatezza del flusso dei vasi collaterali. Diverse sindromi (malattie ischemiche miocardiche, patologie dell’aorta e dei suoi rami, patologie cerebrovascolari) sono trattate altrove nel Manuale.

Occlusione acuta: l’anamnesi evidenzia l’improvvisa comparsa di dolore intenso, torpore, superficie fredda e pallore di un arto. L’arto è freddo e pallido e i polsi distali all’ostruzione sono assenti. L’occlusione acuta può essere causa di ischemia grave, che si manifesta con deficit sensitivi e motori e successivamente (dopo 6-8 h) con indurimento muscolare alla palpazione. Nell’occlusione acuta dell’aorta (embolia o trombosi), sono assenti tutti i polsi degli arti inferiori. Caratteristicamente, l’occlusione acuta si verifica a livello delle biforcazioni, subito distalmente rispetto all’ultimo polso palpabile (p. es., in caso di occlusione alla biforcazione femorale, il polso femorale può essere palpabile; in caso di occlusione alla biforcazione poplitea, il polso popliteo può essere palpabile).

Occlusione cronica: i sintomi sono correlati alla graduale comparsa di ischemia. Il sintomo iniziale è la claudicatio intermittens. I disturbi tipici della claudicatio (dolore, crampi o sensazione di fatica durante la deambulazione) sono più comuni a livello del polpaccio, ma si possono verificare anche a livello del piede, della coscia, dell’anca o dei glutei. La claudicatio è peggiorata dal camminare a passo svelto o in salita, ma solitamente si risolve con il riposo entro 1-5 min (non è necessaria la posizione seduta); il paziente può riprendere a camminare fino alla ricomparsa del dolore. Sintomi simili correlati allo sforzo possono verificarsi anche a livello delle braccia.

La progressione della malattia è indicata dalla riduzione della distanza che il paziente può percorrere in assenza di sintomi. Alla fine, il dolore ischemico può verificarsi a riposo: insorge inizialmente a livello delle zone più distali dell’arto, è intenso, senza requie, è aggravato dalla posizione eretta e spesso impedisce il sonno; il paziente trova sollievo tenendo l’arto penzoloni fuori dal letto o rimanendo in posizione seduta.

Quando l’unico sintomo è rappresentato dalla claudicatio intermittens, gli arti possono apparire normali, ma i polsi risultano ridotti o assenti. Il livello dell’occlusione arteriosa e la localizzazione della claudicatio intermittens sono strettamente correlati; p. es. la malattia aorto-iliaca causa frequentemente claudicatio dei glutei, delle anche e dei polpacci e i polsi femorali sono ridotti o assenti; nell’uomo, è comune l’impotenza, che dipende dalla localizzazione e dalla gravità dell’ostruzione. Nella malattia femoropoplitea, la claudicatio è di solito localizzata al polpaccio e tutti i polsi situati distalmente a quello femorale sono assenti. Nei pazienti con malattia dei piccoli vasi (p. es., tromboangioite obliterante, diabete mellito), i polsi femoropoplitei possono essere presenti, mentre quelli del piede risultano assenti. Il pallore del piede interessato dopo 1-2 min di mantenimento in una posizione elevata, seguito dall’arrossamento quando lo si abbassa, aiuta a confermare la presenza di un’insufficienza arteriosa. Il tempo di riempimento venoso quando l’arto viene abbassato, dopo essere stato tenuto sollevato, supera il limite normale di 15 s. Se si ha claudicatio in presenza di polsi distali validi, si deve prendere in considerazione una stenosi del canale spinale (v. sotto Lombalgia nel Cap. 59).

Un piede gravemente ischemico è dolente, freddo e spesso intorpidito. Nei casi cronici, la cute può essere secca e squamosa, con una ridotta crescita di unghie e peli. A mano a mano che l’ischemia si aggrava, possono comparire delle ulcerazioni (di solito sulle dita dei piedi o sui talloni e, occasionalmente, sulle gambe), soprattutto dopo traumi localizzati. Non è solitamente presente edema, a meno che il paziente non abbia tenuto la gamba in giù per alleviare il dolore; tuttavia, una gamba gravemente ischemica può essere atrofica. Ostruzioni più estese possono compromettere la vitalità tissutale, portando a necrosi o gangrena. Un’ischemia associata ad arrossamento, dolore ed edema del piede può mimare una cellulite o un’insufficienza venosa. Esami diagnostici non invasivi a livello delle arterie possono chiarire la diagnosi.

Inizio Pagina

Dati di laboratorio

Sebbene un’ostruzione arteriosa a livello degli arti possa di solito essere diagnosticata clinicamente, i test non invasivi confermano la diagnosi e sono utili nel follow-up dei pazienti. I test invasivi possono documentare la localizzazione e la gravità della patologia e risultano utili quando vengono presi in considerazione l’angioplastica, la terapia fibrinolitica locale o l’intervento chirurgico di bypass.

Test diagnostici non invasivi: l’ecografia Doppler è la metodica più ampiamente utilizzata. La stenosi e l’occlusione arteriosa possono essere facilmente documentate mediante un rilevatore di velocità (sonda Doppler). Il segnale del color Doppler mostra la direzione del flusso.

Il metodo più semplice per la valutazione del flusso ematico a livello degli arti inferiori consiste nel confrontare la PA sistolica misurata a livello delle caviglie con quella brachiale. Il bracciale va applicato alla caviglia, gonfiato fino a superare il livello della pressione sistolica brachiale e quindi sgonfiato lentamente. Il valore preciso della PA sistolica a livello delle caviglie può essere rilevato mediante l’esame Doppler del flusso dell’arteria pedidia dorsale o tibiale posteriore. La PA a riposo è normalmente  90% di quella brachiale; in caso di insufficienza arteriosa lieve, risulta tra il 70% e il 90%; con insufficienza moderata, tra il 50% e il 70%; con insufficienza grave, < 50%.

Quando la diagnosi non è certa, il confronto fra i valori pressori rilevati prima e dopo test ergometrico standard aiuta a individuare la presenza di claudicatio. Quando la PA sistolica della caviglia è < 55 mm Hg in un paziente non diabetico o < 70 mm Hg in un paziente diabetico, le lesioni ischemiche non possono guarire spontaneamente; una PA  70 mm Hg aiuta ad assicurare la guarigione della cicatrice di amputazione dell’arto sotto al ginocchio. La PA a livello delle caviglie può risultare falsamente elevata nei pazienti affetti da diabete mellito, a causa della calcificazione delle pareti arteriose (arterie non comprimibili). Informazioni più precise riguardo al grado di inabilità e alla gravità e localizzazione delle lesioni arteriose si ottengono dalla valutazione della PA segmento per segmento (coscia, polpaccio, caviglia) e dalla registrazione pletismografica delle onde di volume di pulsazione prima e dopo esercizio. I gradienti pressori e le anomalie delle onde spesso permettono di distinguere la malattia aorto-iliaca isolata da quella femoro-poplitea o da quella che riguarda la gamba sotto al ginocchio, oppure di individuare la presenza di entrambe queste forme.

L’angio-RMN è in grado di fornire immagini simili all’angiografia con mezzo di contrasto senza l’utilizzo di cateteri o radiazioni. Questa tecnologia sta facendo progressi continui e potrebbe soppiantare l’angiografia con mezzo di contrasto.

La radiografia tradizionale degli arti ha un valore diagnostico minimo nelle patologie ostruttive. Eventuali calcificazioni dell’intima confermano semplicemente la presenza di aterosclerosi e le calcificazioni della media non sono correlate con la gravità dell’arteriosclerosi obliterante.

Test diagnostici invasivi: l’angiografia, prerequisito per la correzione chirurgica o per l’angioplastica percutanea transluminale, fornisce dettagli sulla localizzazione e sull’estensione delle lesioni. I metodi angiografici per visualizzare l’aorta e le arterie distali fino a livello dei piedi includono l’aortografia translombare e il cateterismo transcutaneo attraverso l’arteria femorale (cioè arteriografia transfemorale) o un’arteria degli arti superiori, metodo oggi preferito e più sicuro.

L’angiografia a sottrazione digitale rende più chiara l’immagine angiografica in casi selezionati. Tale metodo di amplificazione dell’immagine e di interpretazione numerica consente la visualizzazione del sistema vascolare "sottraendo" gli altri tessuti molli. È necessaria una minore quantità di mezzo di contrasto e ciò rende la metodica più sicura e meglio accettata da parte del paziente.

Inizio Pagina

Profilassi e terapia

Va eliminato il tabacco in ogni sua forma.

Idealmente, i pazienti affetti da claudicatio intermittens devono camminare 30-60 min/die; se si presenta il fastidio, il paziente deve fermarsi, attendere la scomparsa del dolore e ricominciare a camminare. Tale approccio aumenta la distanza che il paziente riesce a percorrere senza dolore; il meccanismo di questo fenomeno non è noto, ma può darsi che sia la conseguenza dell’allenamento fisico e dell’aumento del circolo collaterale conseguente alle aumentate richieste muscolari.

Per il dolore notturno a riposo, la testata del letto va sollevata di 10-15 cm. Questa posizione migliora la perfusione dei piedi durante il sonno, grazie all’effetto della gravità sul flusso ematico.

Vengono comunemente prescritti farmaci vasodilatatori, sebbene la loro efficacia non sia stata provata. I calcioantagonisti e l’aspirina possono essere utili nei pazienti con arteriopatia occlusiva e vasospastica. La pentossifillina, alla dose di 400 mg tid ai pasti, può migliorare la claudicatio in casi selezionati migliorando il flusso ematico e aumentando l’ossigenazione tissutale delle aree affette. Dal momento che gli effetti collaterali della pentossifillina sono rari e lievi, va comunque effettuato un periodo di prova  2 mesi.

Occasionalmente, i b-bloccanti peggiorano la claudicatio intermittens e, di conseguenza, il loro effetto va tenuto sotto controllo. La terapia chelante non ha un ruolo dimostrato e non è consigliata.

La profilassi delle lesioni dei piedi è di primaria importanza, soprattutto nei diabetici. I pazienti devono osservare i propri piedi quotidianamente per rilevare fissurazioni, callosità, ferite o ulcere; i calli e le ferite devono essere trattati da un podologo. È bene lavare i piedi giornalmente in acqua tiepida e con sapone neutro e quindi asciugarli con attenzione e delicatamente. In caso di pelle squamosa e secca, va usata una sostanza ammorbidente (p. es., lanolina). In caso di sudorazione si deve far uso di polveri adatte non medicate. Le unghie vanno tagliate con cura non troppo vicino alla pelle. Quest’operazione può essere effettuata da uno specialista se la vista del paziente non è buona. Non vanno applicati sulla cute nastri adesivi, sostanze chimiche corrosive, rimedi per i calli, borse d’acqua calda o fredda o coperte elettriche. Le calze vanno cambiate giornalmente, evitando l’uso di elastici. Quando fa freddo, i piedi vanno tenuti al caldo facendo uso di morbide calze di lana. Le calzature devono essere comode, vanno evitate quelle con aperture posteriori o anteriori e inoltre vanno cambiate di frequente. Se il piede ha una particolare deformità (p. es., postumi di amputazione delle dita, dita a martello, calli voluminosi), vanno prescritte calzature speciali per ridurre il traumatismo. Occorre evitare di camminare a piedi nudi.

Nei pazienti portatori di ulcere da neuropatia diabetica vanno evitati i cuscinetti di supporto o, se ciò non è possibile, occorre proteggere l’ulcera mediante adeguati dispositivi ortopedici. Siccome la maggior parte dei pazienti portatori di tali ulcere non ha una patologia ostruttiva rilevante delle grosse arterie, l’uso di antibiotici appropriati, oltre che l’attenta pulizia chirurgica, assicura in genere una buona cicatrizzazione. Il drenaggio dell’infezione può prevenire la necessità di una terapia chirurgica. Dopo la cicatrizzazione dell’ulcera, occorre utilizzare calzature appropriate.

I casi refrattari, soprattutto in presenza di osteomielite, possono richiedere la rimozione chirurgica della testa del metatarso e l’amputazione delle dita interessate o l’amputazione transmetatarsale. La neuropatia articolare può essere adeguatamente trattata mediante tutori ortopedici (fasciature, calzature modellate, archi di supporto rivestiti di spugna o di gomma, stampelle e protesi).

Terapia endovascolare transcutanea: molte nuove terapie per le patologie vascolari (ostruzioni e aneurismi) permettono di evitare l’intervento chirurgico. Queste terapie possono essere eseguite da radiologi interventisti, chirurghi vascolari o cardiologi. Il primo di questi nuovi approcci è l’angioplastica transluminale percutanea (Percutaneous Transluminal Angioplasty, PTA): un palloncino ad alta pressione è usato per riaprire un vaso ostruito. Tuttavia, a causa dell’elevata percentuale di recidive, possono rendersi necessarie metodiche alternative.

All’interno del vaso, in corrispondenza dell’ostruzione, viene spesso impiantato uno stent (tubo metallico a rete). Gli stent sono molto resistenti e riescono a ristabilire la pervietà del vaso molto meglio che il palloncino da solo. Inoltre, la percentuale di recidive è inferiore. Gli stent danno i risultati migliori nelle arterie di grosso calibro con un flusso elevato (iliache e renali). Funzionano meno bene nelle arterie di minor calibro o quando l’ostruzione è lunga. Sono in corso di realizzazione stent per le arterie carotidi.

La PTA è utile nel trattamento di occlusioni arteriose localizzate di natura aterosclerotica. Con un’appropriata selezione dei pazienti, che dipende dall’esecuzione di un esame angiografico adeguato e completo, l’iniziale percentuale di successo si avvicina all’85-95% nelle arterie iliache e al 50-70% nelle arterie della coscia e del polpaccio. Una PTA riuscita evita l’intervento chirurgico e richiede solo 1-2 giorni di ricovero ospedaliero.

Le indicazioni alla PTA delle arterie periferiche sono simili a quelle per la chirurgia e sono: claudicatio intermittens progressiva e limitante che rende il paziente inabile al lavoro, dolore a riposo, gangrena. Vari studi documentano un successo iniziale in lesioni ottimali  90%. Lesioni trattabili sono le stenosi iliache brevi che riducono il flusso o le stenosi brevi, singole o multiple, del segmento femoropopliteo superficiale. Sono state dilatate con successo occlusioni complete e lunghe ( 10-12 cm) dell’arteria femorale superficiale, sebbene i risultati migliori si ottengano in lesioni  5 cm. Una stenosi iliaca localizzata, prossimale rispetto a un bypass femoropopliteo realizzato in precedenza, è un’altra buona indicazione per la PTA. La percentuale di recidive dopo l’angioplastica (25-35% a  3 anni) è il principale problema a lungo termine; la ripetizione della PTA può avere successo. La decisione di eseguire una PTA deve essere presa in maniera congiunta da un chirurgo vascolare, un radiologo e un cardiologo.

Controindicazioni alla PTA delle arterie periferiche sono rappresentate da forme diffuse, occlusioni lunghe e gravi calcificazioni arteriose. La trombosi sul sito della dilatazione, l’embolia distale, la dissezione dell’intima con occlusione provocata da "flap" intimale e complicanze dovute alla terapia eparinica richiedono l’intervento chirurgico.

Negli aneurismi, sono in corso di studio graft endoluminali in alternativa all’intervento chirurgico. Graft sintetici vengono impiantati attraverso cateteri di piccole dimensioni nella sede dell’aneurisma e vengono poi dilatati per rivestire il segmento del vaso che si presenta aneurismatico. Queste procedure vengono effettuate nel laboratorio di radiologia o in sala operatoria. Nella maggior parte dei casi, si utilizza una sedazione blanda. Queste tecniche, ancora sperimentali, sono promettenti e possono abbreviare la durata della degenza ospedaliera (di solito < 24 h per una semplice angioplastica). Dopo la dimissione, il paziente dovrà assumere aspirina o ticlopidina.

La terapia trombolitica, specialmente se somministrata localmente mediante cateterismo, è efficace soprattutto per le ostruzioni arteriose recenti (< 2 settimane). La trombolisi dell’arteria nativa o di un graft ostruito può chiarire la causa dell’ostruzione (p. es., stenosi aterosclerotica focale, stenosi cronica del graft). Questa caratterizzazione può permettere l’esecuzione di un intervento di rivascolarizzazione più mirato (PTA o chirurgia).

Chirurgia ricostruttiva: In pazienti selezionati i sintomi vengono alleviati, le ulcere guariscono e si può evitare l’amputazione dell’arto. Le procedure chirurgiche consistono nella tromboendoarteriectomia, nei bypass (tubi protesici o segmenti venosi autologhi anastomizzati in modo termino-laterale sul vaso al di sopra e al di sotto della lesione) e nella resezione con successivo impianto di protesi (soprattutto in caso di aneurisma dell’aorta addominale e ateromasia arteriosa prossimale con embolizzazione periferica). Una chirurgia efficace dipende dall’esecuzione di un’adeguata angiografia (aortografia e arteriografia femorale bilaterale), che definisce il sito dell’occlusione e lo stato dell’arteria prossimalmente e distalmente.

La tromboendoarteriectomia può essere usata per lesioni corte e localizzate del tratto aorto-iliaco, dell’arteria femorale comune o dell’arteria femorale profonda. I materiali più utilizzati per le protesi arteriose nei bypass del tratto aorto-iliaco sono il poliestere sintetico o il politetrafluoroetilene. Entrambi possono essere utilizzati per le ostruzioni femoropoplitee o tibiali, qualora non sia disponibile la vena safena. Le indicazioni per la terapia chirurgica del tratto aorto-iliaco sono rappresentate dalla claudicatio intermittens disabilitante e dall’ischemia grave dovuta a un’arteriopatia distale associata. La chirurgia per l’arteriopatia femoro-poplitea o tibiale va riservata ai pazienti affetti da ischemia grave con dolore a riposo, ulcerazioni o forme modeste di gangrena. I pazienti affetti solo da claudicatio intermittens vanno dapprima trattati in maniera conservativa; se la malattia progredisce verso una forma più grave di ischemia, diventa necessaria la terapia chirurgica. La simpatectomia può essere efficace quando il vasospasmo contribuisce all’ischemia; tale evenienza può essere determinata mediante un blocco simpatico di prova. La rivascolarizzazione è efficace per salvare l’arto e per alleviare la claudicatio, ma la comorbilità medica influisce sulla mortalità chirurgica e deve essere sempre presa in considerazione.

Il successo della terapia chirurgica dipende direttamente dall’adeguatezza del flusso ematico verso la protesi e proveniente da essa. Solitamente si utilizzano vene autologhe (in genere la grande safena) per bypassare lesioni occlusive del tratto femoro-popliteo superficiale o dell’arteria tibiale.

In caso di lesioni ischemiche del piede, qualora risultino inappropriate la rivascolarizzazione, la terapia endoarteriosa o la terapia trombolitica, altre misure terapeutiche possono prevenire l’amputazione. Nei pazienti diabetici, è fondamentale uno stretto controllo dei valori glicemici. Il riposo a letto con la testiera del letto sollevata può alleviare i sintomi. La lesione deve essere detersa quotidianamente con sapone neutro o soluzioni di NaCl e quindi fasciata con garze asciutte sterili. Si può usare una blanda pomata antibiotica. Vanno evitate soluzioni irritanti e sensibilizzanti. In caso di infezione franca, va eseguito l’esame colturale e gli antibiotici appropriati vanno somministrati per via sistemica. Il ricorso a preparati a base di enzimi può essere fonte di irritazione e di aumento del dolore. La pulizia chirurgica, in caso di ischemia grave, è molto dolorosa e provoca più danni che benefici. Occorre avvertire il paziente che la cicatrizzazione può essere molto lenta. La pentossifillina può migliorare il flusso attraverso i piccoli vasi, con miglioramento della sintomatologia e guarigione delle lesioni cutanee.

L’amputazione per infezioni incontrollabili, dolore a riposo intrattabile e gangrena progressiva va effettuata il più distalmente possibile (p. es., amputazione sotto il ginocchio); è importante preservare il ginocchio per garantire al paziente la possibilità di utilizzare al meglio una protesi.

Terapia genica e ormonale: sono in corso diversi studi circa la terapia genica nella malattia vascolare ostruttiva. Trial clinici con FGF ("Fibroblast Growth Factor") al fine di stimolare la crescita di nuovi vasi hanno dato risultati incoraggianti.

Inizio Pagina

-indietro- -ricerca- -indice sezione- -indice generale- -indice tabelle- -indice figure- -help-

Copyright © 2002 Merck Sharp & Dohme Italia S.p.A. Via G. Fabbroni, 6 - 00191 Roma - Tutti i diritti riservati.

Informativa sulla privacy